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Intervista a Giuliano Vangi*

L’uomo giovane:
“La mia arte racconta un’umanità che deve ancora crescere e migliorare”


Il Maestro. Giuliano Vangi

Biografia
Giuliano Vangi nasce nel 1931 a Barberino di Mugello (Firenze). Studia all’Istituto d’Arte e all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Dal 1950 al 1958 insegna presso l’Istituto d’Arte di Pesaro e dal 1959 ed il 1962 si trasferisce in Brasile dove si dedica a studi astratti, lavorando cristalli e metalli. Le sue opere iniziano ad essere conosciute: vince il Primo Premio al Salone di Curitiba, espone al Museo di San Paolo e partecipa ad una mostra negli USA. Nel 1962 torna in Italia e riprende l’attività didattica all’Istituto d’Arte di Cantù. È stato presente alle più prestigiose rassegne d’arte, dalla Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma, alla Biennale di Scultura di Carrara. Memorabili restano la grande antologia del 1995 al Forte Belvedere di Firenze, la mostra agli Uffizi “Studi per un crocefisso e opere scelte 1988-2000” del 2000, l’esposizione personale all’Ermitage di S. Pietroburgo. Vangi ha realizzato diversi monumenti collocati in contesti prestigiosi: la statua di San Giovanni Battista a Firenze, il Crocefisso ed il nuovo Presbiterio per la Cattedrale di Padova, il nuovo altare ed ambone del Duomo di Pisa, “Varcare la Soglia”, scultura in marmo posta nei Musei Vaticani, una scultura in legno policromo per la sala Garibaldi del Senato e un ambone sul tema di Maria di Magdala per la Chiesa di Padre Pio a S. Giovanni Rotondo.

L’intervista
L’amico Alessandro, che abita di fianco allo studio di Giuliano Vangi, ci tranquillizza sulla disponibilità dell’artista. Quando lo dobbiamo incontrare per concordare l’appuntamento, infatti, ci coglie una inquietudine che mescola soggezione nei confronti di un personaggio di fama internazionale con il retaggio di voci che da più parti dicono di una presunta ritrosia a parlare di sè, se non attraverso il proprio lavoro.
“Va bene, se ha tempo possiamo fare anche subito”. Stupore, gratitudine, ma sopratutto sollievo; ringraziamo, ma purtroppo non abbiamo ancora preparato l’intervista. Torniamo nello studio di Giuliano Vangi, poco fuori l’abitato di Pietrasanta, due giorni dopo; il sole si propone come prezioso collaboratore alla nostra missione,offrendo una luce calda e avvolgente, perfetta per gli scatti fotografici. (S.D.F.)

Stefano De Franceschi: Leggiamo dalla sua biografia che dopo aver studiato a Firenze ed insegnato all’Istituto d’Arte di Pesaro, dal 1959 al 1962 si è trasferito in Brasile. Perchè questa trasferta e cosa ha significato per la sua attività di scultore?
Giuliano Vangi: Dopo aver insegnato a Pesaro per 8 anni iniziai ad avere la sensazione che la città fosse troppo piccola e senza particolari prospettive per il futuro della mia attività di giovane scultore. Mi trasferii allora prima a Milano, poi a Roma ed in altri luoghi, ma la mia attenzione fu attratta dal Brasile dove esisteva una architettura molto avanzata grazie alla presenza e ai lavori di architetti all’avanguardia sotto l’aspetto professionale. Grande interesse suscitava in me anche la presenza in quel paese di enormi disparità sociali ed umane, una realtà che poteva dare importanti spunti al mio lavoro. Diversi temi che ho approfondito in occasione del soggiorno in Sudamerica sono rimasti fondamentali e caratterizzanti della mia produzione artistica successiva.


Opere dalla grande antologia del 1995 al Forte Belvedere di Firenze.
(foto Alfonso Acocella)

S.D.F.: Quale è stato il percorso che l’ha portato al figurativo ed ad un’opera incentrata sull’uomo contemporaneo?
G.V.: Fin dal periodo pesarese ho avvertito l’esigenza di confrontarmi con altri temi oltre quello della rappresentazione della figura umana appresa dall’insegnamento scolastico e che pure resta alla base del mio lavoro. Chiuso nel mio studio, maturando una nuova personalità artistica, ho concentrato l’impegno nella ricerca di altri orizzonti. Sentivo limitative le nozioni della scuola e volevo aprirmi verso nuove libertà, una sete di conoscenza che era placata dalla lavorazione di un particolare materiale: l’acciaio. Solo saldando un pezzo con l’altro, infatti, potevo creare inesplorate forme e plasmare nuovi volumi capaci di riempire lo spazio in cui viviamo.
L’uomo di oggi e la sua lotta contro un mondo ostile resta comunque il tema fondamentale della mia opera, tutto il resto m’interessa poco. Voglio raccontare i suoi conflitti interiori e i problemi che affronta a livello sociale, solo così sento dei essere a posto con la mia coscienza: aver “raccontato” qualcosa che riguarda tutti gli uomini e non essermi limitato alle mie piccole gioie o dolori personali.”

S.D.F.: Nel 2002 è stato inaugurato a Mishima un museo dedicato a Giuliano Vangi. E’ la prima volta che un intero museo giapponese viene dedicato ad un artista straniero vivente. Perchè è stato scelto Vangi, scultore italiano? Come è nata l’idea del museo?
G.V.: Sono stato scelto perchè alcune mie opere erano già state esposte a Tokyo ed altre erano state acquistate da musei e collezionisti privati. Il mio nome era dunque conosciuto in Giappone, tanto più che alcuni miei lavori erano riportati su alcuni libri di testo scolastici.
L’idea del museo è nata grazie ad un industriale e uomo di cultura giapponese, al quale avevo fatto un ritratto in occasione di una sua visita in Italia. Dopo aver acquistato alcune mie sculture in pietra le ha spedite in Giappone per esporle in un giardino. Poi, grazie all’accordo con il Comune di Mishima è nato il museo, progettato dall’architetto Munemoto. All’interno ci sono 60 sculture e altre 40 opere, tra modelli in gesso policromato, disegni e opere di grafica.

S.D.F.: Sempre nel 2002 è insignito del Praemium Imperiale giapponese, un riconoscimento fondato con l’obiettivo di promuovere una cultura senza confini, la cooperazione e la solidarietà fra gli uomini. Quale può essere il contributo in questo senso dell’arte italiana a livello internazionale?
G.V.: Non possiamo ridurre l’arte ad un concetto nazionalistico e parlare di una scultura italiana, francese o americana. L’arte è come un libro aperto in cui è scritto un messaggio universale scritto in una lingua accessibile a tutti gli uomini indistintamente. Lo sforzo dell’artefice dovrebbe essere allora in questo senso, fare in modo che la pittura, la scultura e tutte le altre espressioni della creatività umana siano comprensibili da tutti, senza distinzione di classe o cultura.


Opere dalla grande antologia del 1995 al Forte Belvedere di Firenze.
(foto Alfonso Acocella)

S.D.F.: Veniamo in particolare ai contenuti della sua opera. Il critico d’arte Giorgio Segato afferma che “Vangi ripropone la policromia – ottenuta accostando materiali eterogenei come bronzo, ceramica, marmo, legno e vetroresina – non solo come citazione della scultura classica colorata, ma come risposta ad una sollecitazione del nostro tempo: i colori della la fotografia, del cinema e della la pittura fanno parte ormai della nostra cultura visiva”. L’opera d’arte, allora, per essere lingua veramente viva che ci racconta dell’uomo, deve essere policroma?
G.V.: Non c’è nessuna legge che impone la policromia. Utilizzare i colori è per me un gesto istintivo che ho fin da bambino, quando mi cimentavo con qualsiasi materia mi capitasse fra le mani per formare piccole sculture che poi coloravo. Forte era il bisogno di esprimere me stesso attraverso la materia. Nel corso della mia maturazione professionale, poi, ho imparato a sfruttare la policromia per ottenere luci e riflessi particolari, per dare profondità dell’immagine e per separare volumi nella continuità di una singola forma.

S.D.F.: A partire dagli anni ’80 lei si confronta anche con opere di carattere sacro. L’arte religiosa, non rischia di essere emarginata in una società odierna sempre più tecnologica e secolarizzata?
G.V.: E’ capitato che a volte la Chiesa stessa ha commissionato sculture “commerciali” e prodotti fatti in serie: ciò è avvenuto non soltanto per motivi economici ma forse anche a causa di una diffusa ignoranza. Sono però convinto che oggi si sia compiuto un passo in avanti sotto l’aspetto culturale, di cui abbiamo diverse prove tangibili: Renzo Piano, Mario Botta ed altri architetti, per esempio, hanno profuso un notevole impegno per un recupero della centralità del sacro. Nel nostro tempo l’arte sacra può trovare nuovi ed importanti spazi, non solo come punto di riferimento contro le difficoltà che sta vivendo il mondo, ma soprattutto a favore del singolo individuo; negli affanni e nelle ansie che tutti viviamo giorno per giorno c’è un maggior bisogno di fermarsi per un momento di riflessione intimo, necessario per non farsi travolgere dalla frenesia quotidiana.

S.D.F.: Nella sua ultima produzione affronta con frequenza il tema della figura della donna. Vangi racconta un’umanità contemporanea fragile, sola e inquieta: vuole dire che la speranza proviene dalla figura femminile, oppure si tratta semplicemente di un tributo alla bellezza?
G.V.: La figura femminile è caratterizzata da forme talmente armoniche e plastiche che viene spontaneo associarle alla natura e alla fecondità. La donna ha inoltre un grande “vantaggio” rispetto all’uomo, da sempre stato dedito agli aspetti più violenti dell’esistenza: essa rinnova la vita, è portatrice della maternità, l’evento forse più sconvolgente e meraviglioso che la natura ci ha donato. Nella donna, degna dunque del massimo tributo, riponiamo le speranze di un mondo migliore e più pacifico.

S.D.F.: Ha spesso accennato all’uomo che soffre e lotta sulla scena del mondo.
G.V.: Siamo ancora troppo”giovani” di fronte alla storia. Sembra passato tanto tempo dalle civiltà egizia o da quella greca, in realtà la nostra conoscenza è ancora molto superficiale. C’è tanta strada ancora da fare perchè l’uomo giunga ad un livello tale di “intelligenza” da capire che non possiamo continuare a violentare e sfruttare la nostra terra. Sono molto spaventato dall’eredità che lasceremo ai nostri figli e proprio per questo la mia arte è drammatica. Come posso poi rappresentare un uomo felice e sereno?

S.D.F.: Lei ha insegnato arte. Cosa direbbe ai quei giovani che vogliono intraprendere questa strada così affascinante ma anche estremamente difficile?
G.V.: Il talento naturale non basta, occorre infinita dedizione al sacrificio e al lavoro duro. Ma più di tutto serve l’umiltà di imparare, leggendo, viaggiando e con lo studio di quello che altri hanno fatto. Ai giovani che scelgono la strada gravosa dell’arte raccomando di non pensare al guadagno facile, al successo immediato, al gallerista che può fare un favore per una mostra. Lavorate, imparate e sarete scultori. Ma attenti: il passo successivo, il diventare artista, non è alla portata di tutti; si tratta di un dono che la natura non dispensa facilmente.”

Il fotografo ci dà appuntamento da lì ad un’ora per ritirare le fotografie del servizio, già pronte e digitalizzate. Vangi ha ragione quando ci racconta dell”uomo che ancora ha scarse cognizioni di fronte all’immensità della scienza. Ma è anche un genere umano avido di conoscenza che corre verso il progresso a velocità impressionante.


Opere dalla grande antologia del 1995 al Forte Belvedere di Firenze.
(foto Alfonso Acocella)

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(*) L’intervista è stata pubblicata su Versilia Produce n. 51, 2005. Si ringrazia Cosmave e Stefano De Franceschi, autore dell’intervista, per la disponibilità alla rieditazione.

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