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Chiesa di San Giovanni Battista a Firenze (1960-1964) di Giovanni Michelucci*


Chiesa di S. Giovanni Battista a Campi Bisenzio di Giovanni michelucci (1960-1964) (foto: Alfonso Acocella)


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“Quando feci la chiesa dell’Autostrada, chiamai vari operai di varie regioni, li portai sul posto dov’era la pietra e dissi “questa è la pietra che dovete lavorare, fatemi un muro alto un metro”. E loro provarono. Qualcuno non riusciva. Nel senso che non conosceva il materiale e non sapeva interpretarlo. Allora si preoccupava di levigare la pietra. Non sapeva che quella pietra si poteva schiantare con un martello e da quello schianto venivano fuori le forme meravigliose. Era il muro vivo che veniva fuori”1.
Nella poetica di Michelucci l’uso del materiale ha un ruolo determinante e la pietra, così diffusamente impiegata dall’architetto pistoiese, diviene indispensabile per suggellare il radicamento dell’architettura al luogo e alla società. Il materiale lapideo comunica con immediatezza il senso di appartenenza topologica e nell’incontro tra la naturalità della pietra grezza e il lavoro dell’uomo l’architettura trova un forte legame con il singolo e con la comunità.
Per la chiesa di Firenze, destinata a commemorare i lavoratori caduti nella costruzione dell’autostrada, Michelucci sceglie le pietre toscane. Sono i materiali di quella regione centrale in cui il santuario sorge per saldare idealmente, nel segno della memoria, gli estremi di un paese unito dalle strade ma spesso diviso per storia e vocazioni diverse. Il pietrame dorato di San Giuliano di Pisa è utilizzato per le murature, il marmo Viola di Rosa del Campo per il pavimento della grande aula, e i marmi Bianco e Cipollino delle Apuane sono impiegati per l’esecuzione degli altari.
L’immagine della chiesa è quella della grande tenda per i riti collettivi, di un telo drappeggiato realizzato in cemento armato e coperto con lastre di rame. Si tratta di una copertura complessa le cui spinte oblique sono trasmesse al terreno da pilastri ad albero e da muri portanti in “pietra armata”. Grazie ad una tecnica sperimentale tesa ad aumentare la resistenza a trazione della compagine muraria, i ricorsi sub-orizzontali del dispositivo, realizzati in blocchi di calcare pisano, sono alternati a semplici letti o più consistenti cordoli di cemento armato. Il paramento esterno è quello di una muratura dall’irregolarità studiata, lavorata, fatta di abbondanti giunti di malta e di superfici litiche scabre, “pichiettate” da scalpellini toscani ed emiliani che spesso hanno inciso indelebilmente le pietre con il proprio marchio muratorio.
La straordinaria suggestione degli spazi liturgici, evocativi di ultraterrene dimensioni mistiche, è ancora una volta segnata dalla forza dei materiali e dei loro caratteri. La rugosità dei paramenti murari interni in pietra a vista trova un punto di contatto imperfetto con la grana diversa del cemento, esibito nei soffitti e nei pilastri ramificati. La ruvida neutralità cromatica del cemento armato si arricchisce dei toni rosso-violacei screziati di bianco del pavimento, perfettamente levigato e composto da anelli concentrici marmorei giuntati con il piombo.

Davide Turrini

(*) Il saggio rieditato è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624
1 Mario Lupano, “Colloquio con Giovanni Michelucci”, Domus n. 720, 1990, pp.21-32.

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