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30 Marzo 2009

Opere di Architettura

Domus Galilae a Chorazim, Israele
Kiko Arguello Wirtz / Rino Rossi

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Immagini tratte dalla rete

Come è noto vi sono realtà estere – ne sono un esempio i casi degli Stati Uniti o del Giappone – in cui il made in Italy davvero costituisce agli occhi dell’acquirente una condizione di particolare significanza commerciale. Pur essendo però la provenienza italiana un valore aggiunto generalmente riconosciuto nel mondo negli ambiti in cui intervengano l’artigianalità ed il sapere manifatturiero, forse non si direbbero sempre per primi i mercati mediorientali, come i bacini in cui questo dato potesse sempre fare maggiormente breccia. Con particolare riferimento all’area israeliana e palestinese, la consapevolezza di una storia millenaria e parimenti importante alla nostra, e pure l’eccezionalità della condizione legata alla presenza delle sedi religiose, risultano punti di contatto con la cultura italiana ma anche creano ragionevolmente i presupposti di un’orgogliosa possibile rivendicazione di autosufficienza.
Nel settore delle pietre poi, la presenza di materiali lapidei caratteristici locali è tale da connotare il volto di un’intera città come Gerusalemme, fino al punto di imporne in quota parte l’utilizzo nelle nuove costruzioni intervenenti nel centro storico.
Su queste premesse, quand’anche occasionalmente, la capacità di riuscire a convincere questo specifico mercato oltre confine costituisce per noi risultato ancora più significativo. In favore di aperture sovranazionali possono in effetti subentrare volontà di progetto orientate a richiamare episodi monumentali diversi da quelli tipici locali, come pure scelte di vincolarsi strettamente alle caratteristiche tecniche di una specifica pietra rispetto alle altre simili sul mercato, ma queste due condizioni da sole non paiono del tutto sufficienti a scardinare il banco delle materie prime autoctone in assenza di un adeguato sostegno dedicato di struttura aziendale.

Domus Galilae
Netta nel tratto e, se osservata da talune visuali, affiorante come pietra dura in superficie, la Domus Galilae vicino a Gerusalemme è una nuova occasione offerta al rivestimento litico parietale d’essere protagonista. Gli stilemi sontuosi occhieggianti alla tradizione locale e le connotazioni altre d’ispirazione più internazionale, anche di richiamo alle esperienze indiane di Khan, sono trattenuti in dinamico accordo dall’opera connettiva svolta della materia grigia arenaria.
Un monumento, un oggetto articolato vocato all’essere contemplato d’attorno, si completa qui di un ampio spazio verde perimetrale.
Il complesso abitativo affronta il tema della moltitudine di unità nell’unico edificio e si offre quale sistema urbano a sé stante; nelle sue profondità e nei suoi raccordi trovano spazio misurati intenti scultorei e riusciti accostamenti polimaterici, ora evocativi con l’intarsio, ora orientati all’immagine più innovativa mediante il ricorso alle tecnologie del cristallo.

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Il percorso centrale contenuto da setti lapidei (le immagini sono fornite da Il Casone)

Pietra serena e colombino levigati sono utilizzati entrambi, secondo il desiderio del progettista. E’ notevole, nella complessità dell’opera, il controllo del dettaglio.
Un primo esempio sono i tracciati segnati dai giunti di pavimentazione allo sbarco della scala monumentale, simmetrici rispetto al varco del camminamento. Allo stesso modo risultano simmetrici quelli fra gli elementi costituenti le pedate della scala contigua; particolarmente all’ultimo gradino d’ogni rampa, la tripartizione dei conci si ridistribuisce guadagnando l’intera dimensione del percorso compreso fra i due setti di contenimento.
Un secondo esempio è l’arco strombato: esso si compone a sua volta di sette differenti piani di profondità, cui corrispondono altrettanti autonomi archi lapidei tracciati su una geometria a tre centri, a ribadire significati di trinità religiosa. Oltre alla perizia tecnica di disegno e di realizzazione dei conci, s’evidenzia in questo caso l’impegno nel far sorreggere senza dissimulazioni i pesi propri e portati di materia dalle quattordici colonne sottili in base d’arco.
La vocazione più generale dell’intero complesso è religiosa. Alla prima realizzazione dai richiami formali d’accento kahniano, segue il completamento nell’adiacente costruzione del piccolo convento e della cappella del Santissimo posta al centro, a pianta circolare.
Al medesimo tempo connessione e cesura fra le due metà dell’intero intervento, scende da monte a valle l’ampio percorso pedonale su più livelli; i setti scalettati d’ordine gigante lo delimitano assecondando le linee di pendio naturale. Il progettista li riveste con conci regolarmente giustapposti per due corsi, cui sempre segue un corso con sormonto in mezzeria; poi la sequenza si ripete ordinatamente.
Le arenarie dell’Appennino tosco-emiliano fornite da Il Casone di Firenzuola, coerentemente con quanto allestito nei fabbricati a fianco, ancora cercano equilibri polimaterici; sono coinvolti allora i marmi bianchi, le fusioni dei metalli, il vetro e l’acqua. A ciascuno di questi è riservato specifico, singolo ruolo; alle arenarie grigie spetta invece quello di presenza dominante e caratterizzante. Il progetto indaga infatti, per i grigi di provenienza italiana, la gamma completa di applicazioni: abbiamo pavimentazioni esterne ed interne, rivestimenti di parete, poi addirittura coperture, oltre a vari elementi scultorei.
Questi ultimi, così come i conci posati a definire la copertura delle celle situate al perimetro del nuovo spazio aperto, tentano la reinterpretazione in chiave contemporanea delle geometrie orientali tipiche.
I piani pavimentali sono proposti con disegno regolare e costante delle lastre, senza diversità fra i conci nei differenti corsi di posa. Così facendo il calpestio predispone una piattaforma neutra da cui poter contemplare senza impedimenti il paesaggio naturale. Ci troviamo infatti di fronte ad un tempio sul mare, come a Tharros o Delfi.
Se dunque la prima parte dell’intervento risulta elemento scultoreo nel paesaggio pronto ad essere osservato dall’esterno, il suo completamento si offre come spazio contemplativo da cui finalmente potersi fermare ed ammirare l’intorno naturale.

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Alcune viste d’insieme dell’intervento (le immagini sono fornite da Il Casone)

di Alberto Ferraresi

(Vai alla pagina del progetto per la Bezalel Academy a Gerusalemme)
(Vai al sito Casone)

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