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Pietre di Toscana. L’alabastro di Volterra


Alabastro informe (foto: Alfonso Acocella)

“Il mattino era di nuovo freddo e grigio con la campagna gelida e inospitale, spalancata, spaccata, sprofondata sotto di noi. Il mare non si vedeva. Ci incamminammo per i vicoli stretti e tetri che sembravano quasi addossarsi l’un l’altro e demmo un’occhiata ai laboratori dell’alabastro, dove gli operai, con il cattivo umore e la sonnolenza del lunedì mattina, stavano tornendo, tagliando e lucidando il tenero alabastro.
Oggi tutti conoscono il cosiddetto “marmo di Volterra” per via dei vasi di questo materiali appesi come paralumi alle lampade elettriche negli alberghi di mezzo mondo. È trasparente quasi come l’allume e quasi altrettanto tenero. Lo tagliano a fette come se fosse sapone e poi lo tingono di rosa, d’ambra o di azzurro e lo lavorano in tutta una gamma di oggetti di cui non si ha mai bisogno: paralumi, plafoniere, statue colorate oppure no, vasi, ciotole con colombe sul bordo oppure pampini e vezzi del genere. Le vendite hanno l’aria di andar bene: forse è la richiesta dell’industria elettrica, forse è un revival dell’arte statuaria. Tuttavia, il lavoratore volterrano di alabastro non sembra nutrire un grandissimo amore per il pallido grumo della sua terra che trasforma in oggetti commerciali. Peccato per la dea della scultura, che se n’è andata anche da qui.
Ma sono le urne di alabastro antiche, non quelle nuove, che vogliamo vedere.”1


Urne etrusche funerarie in alabastro. (foto: Alfonso Acocella)

1La citazione è tratta da David Herbert Lawrence, “Volterra” p. 148, Paesi etruschi, Siena, Nuova Immagine Editrice, 1997 (tit. or. Etruscan Places, London, 1932), pp. 180.

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