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12 Maggio 2009

Design litico

Prototipazioni lapidee di Claudio Silvestrin

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Una prima versione della vasca Po in pietra serena (le fotografie sono fornite da Palmalisa Zantedeschi)

[photogallery]zantedeschi_album_1[/photogallery]

Palmalisa Zantedeschi gentilmente condivide con noi una raccolta di scatti fotografici tutti relativi ad opere lapidee da lei seguite su progetti ed idee di Claudio Silvestrin.
A chi può ritenere che la pietra sia un materiale sordo, erroneamente associando le caratteristiche di resistenza e durezza proprie dei prodotti di cava con quella di poca duttilità, Palmalisa Zantedeschi oppone un approccio al materiale per così dire musicale. Strumenti sono i tanti campioni lapidei che, ciascuno con proprio colore, spessore, vena, caratteristiche, trovano posto nella parete del suo studio, come fossero gli utensili più preziosi di un artigiano, od ancor meglio i componenti fondamentali di un chimico. E la musica proposta è sempre diversa, anche suonata in modo differente a seconda delle partiture offerte dai progetti e dall’interpretazione di ogni occasione realizzativa: vi è infatti la consapevolezza di come la medesima lavorazione eseguita da una mano differente, o dalla medesima mano ma in momenti differenti, o nel medesimo momento ma su differenti conci, porti ad un risultato sempre unico ed irripetibile come lo può essere la performance di un solista. L’impegno di Palmalisa è dunque volto alla produzione ad hoc e non seriale, secondo un approccio allo stesso tempo tecnico ed emozionale che s’inserisce fra la progettazione architettonica al tavolo e la realizzazione cantieristica, in un certo senso come specialista della pietra.
Il primo carattere, quello tecnico, le deriva dalle esperienze anche familiari dell’industria vocata all’estrazione e lavorazione dei materiali, specialmente di bacino veronese. A questo si sovrappone la consapevolezza della perizia nell’esecuzione, della certezza del risultato, della fattibilità prestazionale. L’attenzione alle nuove opportunità offerte dall’avanzamento tecnico, quale l’acquisizione recente, per il suo studio, della possibilità della lavorazione circolare su diametro di 2 metri, sono da un lato certamente conseguenza di un’attenzione al mercato ed ai suoi slanci, dall’altro sono il frutto di un intento slargativo guidato dalla passione per la materia e per le sue possibili applicazioni. Ritorniamo in questo modo al lato emozionale d’approccio, di cui già siamo a conoscenza a partire dalla breve antologia raccolta nella sua personale pubblicazione di presentazione, inframmezzata a molte intime fotografie, riproposte ciclicamente sul blog (Madre, Abbraccio, Casa, Forza, Silenzio, Rispetto, Bellezza, Architettura, Unicità, Patrimonio non rinnovabile).

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La sala da bagno di una casa privata a Venezia, in pietra di Lecce (le fotografie sono fornite da Palmalisa Zantedeschi)

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Tra i racconti di pietra alcune frasi estrapolate dal testo più ampio di Peter Zumthor ci possono nuovamente traghettare all’opera di Claudio Silvestrin: “Più di ogni altra sostanza, la pietra partecipa di quella bellezza aurorale, incontaminata, danzante sull’epidermide delle cose ma anche filtrante in profondità. Una bellezza pronta a rigenerarsi lungamente anche quando la vita della materia e’ costretta a subire le erosioni del tempo o le azioni trasformative dell’uomo.
Amiamo questa bellezza molto particolare; beltà fisica, sobria e pacata, emanata non tanto dalle figure quanto dalla materia monografica in sé che ci richiama e ci fa sentire vicini, avvinti altre volte dall’essenza delle cose.”
Abbiamo già avuto modo di dire e dimostrare quanto la ricerca di Claudio Silvestrin sia orientata a raggiungere il significato profondo delle cose, appunto si diceva l’essenza. Abbiamo acquisito il concetto secondo cui la pietra rappresenta in ogni lastra la materia solida generatrice, come parte viva e millenaria del cuore del pianeta da cui è sottratta. Questa vicinanza ideale col sottosuolo si traspone in architettura in modo facilmente consequenziale nella caratterizzazione dei suoli, i piani di calpestio. Silvestrin non propone però in pietra i soli pavimenti, ma anche dunque elementi d’arredo e di design di una fluida tridimensionalità, sempre comunque accostata direttamente alla bidimensionalità delle superfici d’appoggio, quasi gli oggetti fossero dirette emanazioni dei piani orizzontali.
Ebbene queste fotografie raccontano di come la ricerca ontologica condotta dall’architetto passi dal contatto diretto col fare artigianale, con l’esperienza concreta sulla materia, con i tentativi eseguiti realmente sul materiale.
L’artigianalità è allora forse il punto d’incontro fra il gesto scultoreo e la funzione, laddove per gesto scultoreo s’intenda l’astrazione con le finalità espressive immaginate dal progettista, mentre per funzione si pensi all’utilità concretamente pratica di ogni oggetto collocato nello spazio.
Queste fotografie raccontano inoltre di come gli stessi prodotti di design costituiscano il punto d’arrivo non solo della ricerca condotta da Silvestrin entro i binari tracciati ogni volta dal programma dell’azienda produttrice, ma pure di come rappresentino punti d’arrivo e contemporaneamente di ripartenza-superamento lungo la carriera stessa dell’architetto. Si noteranno infatti in nuce ai lavabi ed al piano per la sala da bagno per un’abitazione privata a Venezia in pietra di Lecce, alla lampada in arenaria rossa per Abitare il Tempo 2001, ai tavoli in arenaria rossa e giallo sottobosco per Abitare il Tempo 2002, i tratti dei successivi lavabi per Boffi, del piano cucina per Minotti, della lampada “notte” di Viabizzuno, delle scrivanie di PoltronaFrau.

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Il tavolo in granito Nero Assoluto levigato a mano esposto ad Abitare il Tempo 1998 (le fotografie sono fornite da Palmalisa Zantedeschi)

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di Alberto Ferraresi

(Vai al sito di Claudio Silvestrin)
(Vai al sito di Palmalisa Zantedeschi)
(Vai al sito di Abitare il Tempo)
(Vai al sito di Boffi)
(Vai al sito di Minotti cucine)
(Vai al sito di PoltronaFrau)
(Vai al sito di Viabizzuno)
(Vai al sito Casone)

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