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28 Febbraio 2011

Opere Murarie

L’opera muraria poligonale*

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L’opera muraria poligonale classica di Alba Fucens (ph. Alfonso Acocella)

L’opera poligonale “classica”
Con caratteri architettonici perfettamente distinguibili dei muri ciclopici si presenta il dispositivo dell’opera muraria poligonale a blocchi lavorati con le facce a vista rigorosamente complanari ed assemblate fra loro a formare un paramento a giunti stretti; una tecnica costruttiva indubbiamente tra le più peculiari e specifiche dell’ambiente greco. Ancora oggi, comunque, si discute su quanto di “miceneo” possa leggersi in questa evoluzione dell’architettura in pietra.
Archeologicamente l’opera poligonale è largamente documentata in tutta la Grecia continentale con le testimonianze più antiche riscontrabili nell’Attica, nel Peloponneso, in Acarnania. Tale modalità di esecuzione delle murature, oggigiorno, non è più valutata come una tecnica di ricongiunzione fra l’opera ciclopica e quella quadrata in quanto si sviluppa, sotto il profilo cronologico, parallelamente a quest’ultima rappresentandone una differenziata e specifica concezione realizativa.
Caratteristiche d’impiego ricorrenti sono quelle che ne inscrivono l’adozione all’interno di strutture con particolari funzioni (cinte urbiche, bastioni, zoccoli, basamenti, sostruzioni di grandi terrazze ecc.) attraverso una restituzione della sezione muraria sempre significativa e maggiore di quella assegnabile all’opera quadrata. A fronte di una diminuzione d’uso dell’opera poligonale lesbia maturata negli ambienti greci d’oriente è da registrare, lungo il VI e il V sec. a.C., l’affermazione di quella poligonale classica come un prodotto d’ingegno peculiare dei greci del Peloponneso. Sotto il profilo della cronologia di diffusione può essere rilevato come essa conservi – all’interno della tecnica costruttiva ellenica – la massima fortuna nel corso del V sec. a.C., continuando comunque ad essere adottata più sporadicamente nei secoli successivi.
Da un punto di vista esecutivo l’opera poligonale richiede, in genere, una consistente ed accurata lavorazione dei blocchi lapidei impiegati. I massi dalla configurazione poligonale sono posti in opera con le facce irregolari verso l’interno della sezione muraria, mentre verso l’esterno ricevono una lavorazione e una disposizione del tutto particolare contribuendo alla formazione del caratteristico disegno generale “a rete” conseguito attraverso linee di connessione estremamente precise dei giunti. I grandi blocchi – nelle opere più rappresentative – sono regolarizzati alla perfezione nelle superfici da lasciare a vista risultando frequentemente “pareggiate”, spesso anche “picchiettate” a martello, più raramente sono lavorate con solchi verticali.

«È opportuno osservare – evidenzia Antonino Giuffré – come nulla di tale regolarità può essere riscontrata nelle mura ciclopiche. In esse nessuna astrazione geometrica è concessa dai massi le cui facce venivano lavorate in situ, e quindi né orizzontamenti, né euritmie di giunti sono concepibili. I blocchi affiancati restituiscono idealmente la continuità della roccia originale, col solo artificio di ricostruire un contatto regolare dove le pietre estratte dalla cava offrivano superfici di forma diversa». 1

Nell’opera muraria poligonale, a differenza di quanto avviene nella coeva opera quadrata, i blocchi lapidei non sono mai fissati mediante grappe o cunei di qualsiasi genere; la statica e la resistenza meccanica della muratura fanno affidamento unicamente sulla massa, sul grande peso dei macigni impiegati; la stabilità è legata alla qualità del materiale e alla sapienza della sua messa in opera.
In generale nell’opera poligonale al “filo esterno” dei muri viene assegnata una leggera inclinazione orientata verso l’interno. Per evidenti motivi di stabilità, negli angoli e negli stipiti delle aperture, i blocchi poligonali sono sostituiti da massi più grandi ed accuratamente regolarizzati secondo una configurazione parallelepipeda in modo da contrastare lo slittamento dei blocchi ordinari. In queste parti specifiche delle costruzioni si effettua spesso l’integrazione dell’opera poligonale con le altre tipologie murarie (l’opera trapezia, l’opera quadrata).
La notevole abilità richiesta alle maestranze e la quantità di lavoro necessario alla precisa configurazione dei massi poligonali possono essere state le motivazioni alla base di quella progressiva tendenza alla regolarizzazione dei blocchi e della scelta di una linea di posa in corsi più o meno continui e costanti, come avviene nell’opera poligonale trapezia, o nell’ancor più regolare opera quadrata.

L’opera poligonale lesbia
Questa particolarissima variante all’interno della famiglia dell’opera poligonale è, giustamente, distinta ed enucleata a sé per i caratteri morfologici che presentano i singoli blocchi litici impiegati nella composizione muraria del paramento a vista. L’invenzione del tipo costruttivo è legata da alcuni studiosi alle particolari circostanze che rinvengono nell’isola di Lesbo la disponibilità di una roccia tendente, naturalmente, a “fendersi” secondo piani moderatamente curvilinei. Resta accertata un’adozione di tale genere di opera muraria nelle aree terrritoriali in rapporto con l’ambiente ionico (Delfi, Eretria, Samo, Thasos ecc.).


Delfi. Basamento in opera poligonale del Tempio di Apollo (ph. Alfonso Acocella)

La fase di maggiore diffusione lega l’opera poligonale lesbia al VI sec. a.C., con la propensione a datare, verosimilmente, la sua origine al secolo precedente. Il IV sec. a.C ne fa registrare l’abbandono quasi totale; questo, almeno, è da rilevare per l’ambiente greco. La lavorazione finale delle facce dei blocchi litici lasciati a vista evidenzia chiaramente – lungo alcuni lati – una configurazione curvilinea che si ripercuote anche sui giunti concepiti a spigolo vivo. La perfetta corrispondenza dei massi adiacenti (tanto per taglio dei giunti che per complanarità dei piani) dimostra come le curvature sono il frutto di una calcolata volontà ordinatrice che le seleziona e le pone in opera in modo figurativamente espressivo.
E’ da evidenziare, comunque, come molti studiosi delle tecniche costruttive antiche non abbiano riconosciuto all’opera lesbia un valore autonomo bensì l’abbiano considerata come una variante interna dell’opera poligonale classica. Al pari delle altre maniere poligonali il grado di finitura è molto severo, essenziale; anche qui uno dei trattamenti più ricorrenti dei blocchi è la regolarizzazione, in complanarità, con lavorazione a martello; più raramente il paramento murario riceve una specifica espressività mediante solchi verticali paralleli, più o meno fitti.
Volendo indicare una realizzazione eccellente dell’opera poligonale lesbia è possibile riferirsi al sito sacro di Delfi il cui grande tèmenos del VI sec. a.C, in forma di scosceso muro di recinzione (190×135 m), risulta – sia pur solo in parte – costruito con questa tecnica, offrendo una soluzione monumentale dell’ingresso al santuario panellenico. Ma di ancora di più raffinata esecuzione a Delfi è il basamento della terrazza centrale del santuario, su cui sarà costruito il tempio degli Alcmeonidi dedicato ad Apollo, posto a rappresentare una delle più monumentali e scenografiche realizzazioni della tecnica poligonale lesbia.
Nel santuario affollato da una moltitudine di piccole costruzioni (ex voto, offerte, Tesori, statue votive ecc.) il programma indirizzato ad integrare il nuovo tempio alla scala scenografica del paesaggio naturale dominato dalle grandiose rocce Fedriadi rende necessario un lavoro considerevole, con demolizioni e riallocazioni, per la realizzazione della terrazza; il poderoso basamento – la cui costruzione è effettuata, dopo il 548 a.C., assecondando le irregolarità del terreno – mostra, ancora oggi, tutta la sua possanza a chi vi si avvicini percorrendo in salita la via sacra. Guadagnata la terrazza si rimane stupefatti del lavoro murario con gli arabeschi dei suoi giunti curvilinei, perfettamente combacianti, che disegnano le facce dei blocchi poligonali. Moltissime iscrizioni incise sulla pietra (circa 800) ci restituiscono, inoltre, uno dei più importanti e consistenti archivi dell’antichità greca.


Delfi. L’opera poligonale lesbia nel basamento del Tempio di Apollo (ph. Alfonso Acocella)

L’opera poligonale trapezia
L’opera poligonale trapezia è posta da alcuni studiosi a rappresentare solo una fase transitoria fra l’opera poligonale vera e propria e quella quadrata; da altri è considerata, invece, una variante autonoma tra le tipologie murarie dotata di un proprio magistero costruttivo che coesistette, sin dalle origini, con le altre; mantiene, in ogni caso, un “contatto” evidente con la tradizione tecnica dell’opera poligonale.
Le prime attestazioni documentali sono restituite, in avvio del V sec. a.C, in sincronismo con la diffusione dell’opera poligonale più canonica. È verosimile ipotizzare che tale tecnica possa essere stata codificata, contestualmente in più luoghi, come logico e consequenziale adattamento in direzione di un lavoro di regolarizzazione della muratura poligonale valutando – sul piano della cronologia – la sua compresenza soprattutto lungo tutto il V sec. a.C. (quando si diffonde in diversi luoghi della Grecia continentale, in particolare nell’Attica e nel Peloponneso) insieme all’opera poligonale e all’opera quadrata.
Sul piano esecutivo, a fronte di un maggior impegno “adattatorio” da parte dei cavatori o dei lapicidi, l’opera trapezia consente una consistente semplificazione e velocizzazione delle fasi esecutive. L’apparecchio murario, nella sua codificazione canonica, organizza la connessione reciproca di blocchi lapidei pareggiati, con i lati maggiori paralleli al suolo e i lati minori disposti obliquamente.
La fronte del muro resta così caratterizzata dalla morfologia dei trapezi giustapposti in modo tale che l’inclinazione obliqua dei lati minori risulti complementare a quella dei conci contigui; in questa apparecchiatura i piani di posa risultano, a differenza dell’opera poligonale, orizzontali, sia pur a tratti interrotti. Il disegno complessivo che ne scaturisce, soprattutto in presenza di blocchi lapidei di differenti proporzioni ed altezze, è estremamente variato, risultando progressivamente “progettato” lungo le fasi esecutive.


Muro in opera poligonale trapezia della sala ipostila di Delo

La caratterizzazione superficiale del paramento a vista di questa particolare maniera dell’opera poligonale – al pari delle altre – è abbastanza semplificata in quanto è frequentemente affidata ai blocchi lasciati grezzi o solo sommariamente ricondotti, mediante l’azione incidente del martello, ad un assetto di morbida convessità (una sorta di trattamento a “cuscino”). Più raro è il pareggiamento delle facce e l’uso di solchi incisi sui conci lapidei.
Assai frequenti sono le deroghe rispetto all’apparecchiatura canonica appena illustrata; fra queste vi è la soluzione in cui i blocchi – pur configurati frontalmente in quadrilateri irregolari – presentano con insistenza i lati minori perpendicolari alla base maggiore; in questo caso si produce una maggiore similitudine del disegno murario all’opera quadrata, soprattutto quando si è in presenza di moduli costanti per ciò che riguarda l’altezza dei conci stessi. Si parla, in questi casi, di un’opera trapezia regolare ed isodoma destinata ad essere impiegata almeno fino alla fine del IV secolo a.C.

Alfonso Acocella

Note:
* Il saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.
1 Antonino Giuffré, “Le tipologie murarie classsiche” p.4, in Letture sulla Meccanica delle murature storiche, Roma, Edizioni Kappa, 1991, pp. 84.

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