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27 Ottobre 2011

Opere di Architettura

Glasswood house
Kengo Kuma


Dall’esterno e dall’interno le differenze fra architettura modernista ed addizione contemporanea.

Quella della glasswood house è la storia di due approcci di progetto completamente differenti: l’approccio di progetto di John Black Lee e l’approccio di progetto di Kengo Kuma.
John Black Lee è un architetto americano, locale, espressione della cultura progettuale modernista sin dagli anni ’40 di secolo scorso quando, assieme a colleghi del calibro di Philip Johnson e Marcel Breuer, ha improntato ai dettami dell’international style il proprio lavoro e, con esso, il rinnovamento dell’immagine architettonica della cittadina di New Canaan. In un bosco d’aceri secolari e abeti allestisce un padiglione abitativo in sottili montanti d’acciaio e curtain-wall, padiglione che pare essere semplicemente appoggiato a terra, come per un tempo finito e non per sempre. Pure verso una natura sontuosa quale quella posta oltre i grandi cristalli perimetrali, il Moderno si propone con un atteggiamento di superiorità. La cifra esplicita della volontà di controllo sul mondo naturale è segnata dal calpestio rialzato dal suolo. Il tema è ben spiegato da Waro Kishi in Storia e contemporaneità nell’era moderna, fra le pagine della monografia personale dedicatagli da El Croquis: non si ricerca la continuità con la madre terra, ma ci si distacca e ci si eleva. Le forme sono squadrate, la planimetria di progetto è simmetrica, la struttura è chiara, i solai si distendono piani e bianchi, tutto secondo copione.
Tra Lee e Kuma stanno moltissime cose, tra cui cinquant’anni di storia, un oceano, ed un retroscena culturale completamente differente. Con riferimento al progetto, tra i loro due interventi stanno anche i contributi di Toshiko Mori e Thomas Phifer. Il dettaglio degli eventi è puntualmente spiegato da Architectural Record, da cui liberamente estrapoliamo e traduciamo un commento di Lee all’intervento di Kuma: “è ben inserito nel paesaggio”, pronunciamento con il quale coglie forse la dote principale del progetto, come pure spiega la Committente nel video disponibile in rete.
Se l’accostamento fra il Kuma di oggi ed il Lee di allora è stato possibile senza traumi, molto merito va alla sottile, delicata sensibilità dell’architetto giapponese, poiché in realtà la diversità ci appare totale e dirompente.


La naturalità dell’intorno e quella ricostruita fra le pareti domestiche.

Kuma affianca ad ovest del padiglione originario una nuova ala indipendente; scardina così la rigorosa simmetria centrale del primo impianto introducendo nel progetto temi di direzione e movimento. Insegue il bosco come a volerci entrare, finendo per elevarsi rispetto al suolo ancor più della quota di partenza segnata da Lee, ma ingaggiando in realtà un articolato gioco di relazioni fra calpestio naturale ed artificiale: ora via via più distanti, ora addirittura radenti. I montanti verticali chiari del padiglione si tramutano in elementi scuri nell’addizione, col risultato della mimesi nella visuale d’insieme, in cui si confondono i montanti ed i tronchi delle alte alberature. L’intradosso dei solai è paragonabile solo per la scelta del colore chiaro a contrastare i toni scuri del parquet pavimentale, ma il divario è per il resto notevolissimo fra l’orizzontalità perfetta di partenza e la nuova sequenza ordinata di esili lame in legno lamellare. Una breve passerella conduce da un mondo all’altro, per così dire: da una parte i dogmi assoluti ed immutabili del modernismo più forbito, dall’altra, come per i templi scintoisti, il senso di transitorietà delle cose materiali ed il rapporto di delicata simbiosi con l’intorno. Lo stesso Kuma propone il paragone del genkan giapponese per il ribassamento del primo tratto di passerella di collegamento.
I montanti verticali perimetrali dell’addizione arretrano completamente rispetto all’involucro, consentendo alle specchiature in cristallo di estendersi in lunghezza senza alcuna soluzione di continuità. In esse magicamente si riflettono e moltiplicano le meraviglie naturali circostanti. L’architettura si carica sulle spalle la responsabilità altissima di farsi specchio della natura, o di esserlo essa stessa, e forse per questo cerca, tramite il suo progettista, di epurarsi di ogni componente superflua d’inopportuna artificialità. Entro tale scenario di legni e cristalli Il Casone è chiamato a realizzare il nuovo essenziale ambiente cucina nelle tonalità liquide delle arenarie appenniniche. Superata con successo la prova estrema dello stone pavilion la conoscenza del materiale è ormai tale da parte dell’architetto, da riproporlo all’opposto ora secondo linee massimamente basiche. Unica eccezione ai parquet dei calpestii, appena oltre la discesa alla nuova espansione dell’abitazione, i lapidei offrono asilo in mancanza di sicurezze e solidità.


Due scorci dello spazio dedicato alla preparazione dei cibi.

[photogallery]glasswood_album[/photogallery]

di Alberto Ferraresi

Vai al sito di Kengo Kuma
Vai alla pagina di Architectural Record
Vai al video di presentazione dell’abitazione
Vai al sito Casone
Vai alla pagina di stone pavilion

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