aprile 2024
L M M G V S D
« Dic    
1234567
891011121314
15161718192021
22232425262728
2930  

Ultimi articoli

Ultimi commenti

Rubriche

Pubblico dei lettori

 

rss

 

 

13 Aprile 2012

Ri_editazioni

Mirabilia

English version


Lastra di marmo Vigaria, Luce e Materia, Marmomacc 2011, Solubema

Metamorfosi. All’interno di Marmomacc 2011, per conto dei brand Merbes-Sprimont (Belgio) e Solubema (Portogallo), Raffaello Galiotto è impegnato nel progetto “Luce e Materia” indirizzato a dare senso ed evidenza formale a due materie molto particolari ed estremamente diverse fra loro, provenienti dal mondo naturale delle rocce: il Nero del Belgio e il Vigaria del Portogallo.
Tale progetto allestitivo rinnova così la sfida al confronto con le materie, con le energie e le vocazioni formali che ognuna di esse è in grado di “sprigionare”.

«Le materie – per dirla con Henri Focillon – comportano un certo destino o, se si vuole, una certa vocazione formale. Esse hanno una consistenza, un colore, una grana. Sono forme, come dicemmo, e per ciò stesso, chiamano, limitano o sviluppano la vita delle forme dell’arte. Sono scelte, non soltanto per la comodità del lavoro, oppure, nella misura in cui l’arte serve ai bisogni della vita, per la bontà del loro uso; ma anche perchè si prestano ad un trattamento particolare, perchè danno certi effetti. (…) Ma giova osservare subito che questa vocazione formale non è un determinismo cieco, poichè a quelle materie così ben caratterizzate, così suggestive ed anche così esigenti riguardo alle forme dell’arte sulle quali esercitano una specie d’attrazione, si trovan da queste, di rimbalzo, profondamente modificate.
Così si stabilisce un divorzio tra le materie dell’arte e le materie della natura, anche se unite tra loro da una rigorosa convenienza formale. S’assiste allo stabilirsi d’un ordine nuovo. Sono due regni, anche se non intervengono gli artifici e la fabbrica. Il legno della statua non è il legno dell’albero; il marmo scolpito non è più il marmo della miniera; l’oro fuso è un metallo inedito; il mattone, cotto e messo in opera, è senza rapporto con l’argilla della cava. I colori, l’epidermide, tutti i valori che agiscono otticamente sul senso tattile, sono cambiati. Le cose senza superficie, nascoste dietro la scorza, interrate nella montagna, bloccate nella pepita, inglobate nella mota, si sono separate dal caos, hanno un’epidermide, aderito allo spazio ed accolto una luce che la lavora a sua volta. Anche se il trattamento subito non pure ha modificato l’equilibrio ed il rapporto naturale delle parti, la vita apparente della materia s’è trasformata.»

Se la forma – come ci suggerisce Focillon – è il “come della materia” sottratta al regno della natura, allora il designer è il medium, il demiurgo capace di conferire “forma” alla materia stessa facendola apparire “così” e non in “altri modi”. Questo, indubbiamente, è il primo punto di applicazione dell’esercizio progettuale di Raffaello Galiotto in “Luce e Materia”. Obiettivo del designer è realizzare il mutamento, assicurare la trasformazione o, addirittura, la metamorfosi delle materie litiche. In forma inedita – a differenza di altre occasioni – qui intravediamo un Galiotto operare più come un artista, creatore di esperienze sensoriali e illusive, che come un designer concentrato sulla definizione di prodotti funzionali e seriali. Ma sappiamo che le forme della materia non sono soltanto i punti salienti di uno schema grafico o le superfici di un’immagine virtuale.


Lastra di marmo Vigaria, Luce e Materia, Marmomacc 2011, Solubema

Esse prendono corpo e consistenza tangibile a partire dalla modellazione di atomi fisici, assumono configurazioni tattili e visive, s’inverano – soprattutto – in uno spazio a tre dimensioni occupandolo e rendendolo esperienziale. In questo spazio tridimensionale, che organizza e mette in relazione le forme e materiali, rintracciamo il secondo punto di ricerca di Galiotto, capace di “mettere in scena” e spettacolarizzare il primo.
Nello spazio tridimensionale in cui ci muoviamo il nostro corpo è oggetto fra “altri” oggetti, ma è anche quello che vede gli artefatti, li misura, li tocca involvendoli in personali esperienze, emozioni e associazioni mentali; lo spazio e gli oggetti – attraverso il dialettico rapporto di vuoti e di pieni, di materialità ed immaterialità, di densità e di peso, di ombre e di luce – consegnano a noi la loro aura per attrarre i sensi e produrre sensazioni.

Mirabilia. L’allestimento di “Luce e Materia” sembra riattualizzare la direzione concettuale delle Wunderkammer – letteralmente camere delle meraviglie – concepite dal XVI al XVIII secolo dai grandi collezionisti europei per conservare, studiare, mostrare e soprattutto “godere” di oggetti dalle evidenti e intrinseche particolarità esteriori.
L’interesse scientifico, l’amore per l’eccezionale, il raro – tipici dell’era illuminista – posti alla base della creazione di ogni Wunderkammer si sono intersecati sempre con l’innata pulsione umana al possesso di oggetti capaci di destare meraviglia; oggetti non necessariamente preziosi ma ineludibilmente straordinari; oggetti provenienti direttamente dal mondo della natura (naturalia) o creati dalle mani dell’uomo (artificialia).

L’eccezionalità o l’originalità della forma, la rarità del reperto, l’unicità dimensionale, l’esoticità della provenienza, la preziosità della lavorazione ecc. costituivano gli elementi tipici affinchè gli oggetti delle Wunderkammer si costituissero come raccolta di mirabilia da custodire ed esibire.
Possedere una Wunderkammer da mostrare in privato ad amici ed illustri visitatori è stato appannaggio delle èlite: nobili e re, scienziati emeriti o uomini dotti e facoltosi.

A Marmomacc 2011, con “Luce e Materia”, sembra rinnovarsi l’aura – sia pur “democratizzata” e rivolta ad un pubblico vasto e cosmopolita – di una Wunderkammer litica contemporanea disponibile alla fruizione e al disvelamento dell’inusuale e del magico legato alla vita di due specialissimi marmi.
Attore protagonista assoluto è la luce che mette in scena materie litiche molto particolari – il Nero del Belgio e il Vigaria del Portogallo, come già anticipavamo – giocando con le loro epidermidi e con tutti i valori in grado di agire sul senso ottico attraverso i diversificati trattamenti impressi grazie a sofisticati e avanzati software di lavorazione.
La Wunderkammer si dischiude al visitatore come un percorso continuo, sia pur segmentato e scandito tematicamente da spazi e da artefatti molto particolari proponendo un’esperienza fruitiva concettuale ed emozionale allo stesso tempo.

Illusive figuratività. I primi ambienti di “Luce e Materia” sono segnati da superfici litiche riflettenti, riverberanti, deformanti associate all’utilizzo del Nero del Belgio.
Come cinema e teatro presuppongono zone di penombra (se non di buio assoluto) contrapposte a spazi illuminati su cui far svolgere l’azione scenica, così l’incipit di tale dispositivo spaziale è annunciato da sfondi neri e da un’atmosfera plumbea che invita alla concentrazione fruitiva.
Sulle pareti – o al centro degli ambienti – sono esposti, quali oggetti inusuali e “meravigliosi”, una serie di artefatti marmorei tirati a lucido risplendente. La narrazione “ad episodi” che viene svolta sulla continuità delle pareti è la metamorfosi del Nero del Belgio – materia solida, uniforme e assoluta – qui alla ricerca di una presenza “altra”, di una esistenza “parlante”, nel momento in cui “va incontro alla luce”.

I confini fra le superfici allestitive e gli oggetti esposti, fra zone illuminate e zone d’ombra, sono in questi primi ambienti molto attutiti (o contrastati) per conferire una sorta di evidenza magica agli artefatti – e predisporli ai rapporti e alle relazioni fruitive con i visitatori.
La luce di questi ambienti – diretta e direzionata – allorchè colpisce le superfici marmoree ne declina i profili, ne evidenzia gli aggetti e le profondità, ne accentua la deformazione ottica delle immagini riflesse come in un illusivo e disorientante gioco degli specchi.
Questo sapiente uso di materiali riflettenti come “schermi” replicativi e slargativi, atti a dar vita ad inedite configurazioni spaziali, rievoca e reinterpreta numerose suggestioni visive legate alla tradizione figurativa del passato attualizzata, poi, anche nel contemporaneo: dal misterioso specchio convesso dipinto con minuziosità microscopica da Jan Van Eyck nel celeberrimo Ritratto dei coniugi Arnolfini (1434), sino alle “distorsioni fotografiche” – illusionistiche ed estranianti – elaborate all’inizio del novecento da André Kertész. Ma se questi artisti hanno trasposto entrambi le superfici specchianti sul piano astratto e intagibile della rappresentazione bidimensionale (pittorica o fotografica che sia), al contrario l’atto creativo proposto in “Luce e Materia” ha restituito ad esse una propria matericità e tridimensionalità attraverso un sapiente uso di tecnologie innovative in grado di “riplasmarle” in veri e propri oggetti marmorei.


Lampada a sospensione, marmo Vigaria, Luce e Materia, Marmomacc 2011, Solubema

I primi ambienti di “Luce e Materia” sembrano instaurare, inoltre, stimolanti legami con sperimentazioni artistiche contemporanee. Volumi dalle forme insolite, ricurve, enormemente espanse e rivestite da materiali riflettenti (sia naturali che artificiali) rappresentano, di fatto, la cifra stilistica dell’artista e architetto Anish Kapoor, che da anni porta avanti con coerenza una ricerca volta a sperimentare esperienze spaziali alternative e mai cristallizzate. Molte delle sue installazioni sembrano condividere con l’incipit del percorso fruitivo ideato da Galiotto non solo la ricerca virtuosistica di dispositivi ambientali riverberandi e deformanti, ma anche la predilizione per i toni scuri del grigio e del nero, tali da rinviare allusivamente ad un oltre immateriale e intangibile.

Traslucenze. Il “secondo tempo” narrativo del percorso di “Luce e Materia” attinge alla vertigine seduttiva della “trasparenza” litica.
Abbandonati gli strati ispessiti dei banchi rocciosi o dei monoliti staccati dal fronte di cava, il Vigaria del Portogallo nelle mani creative di Galiotto diventa “pietra seducente e calda”, nel momento in cui la luce attraversando tutto il suo spessore disvela oltre l’essenza mineralogica intrinseca della pietra anche le forme d’artificio e di modellazione impresse alla materia.
Nella sezione finale del dispositivo allestitivo di “Luce e Materia” siamo di fronte ad un percorso narrativo dove la materia litica affronta e approfondisce creativamente il concetto dello “splendere attraverso”, diversamente dallo “splendere in superficie” come nel caso del Nero del Belgio.

Artefatti cilindrici, superfici figurate, pannelli complanari scavati si impongono per il fascino del fenomeno ottico della traslucenza dove la luce pervade tutto lo spessore della pietra trasferendone a quest’ultima il valore magico delle sue qualità peculiari.
L’azione attiva della luce, riverberativa di energia colorica, fa si che la pietra – il Vigaria del Portogallo nel caso specifico – diventi pietra luminosa, iridescente, illusoria sorgente di luce restituita magicamente allo spazio circostante.

Alfonso Acocella

Il saggio è tratto da:
Alfonso Acocella, “Mirabilia”, in Raffaello Galiotto (a cura di), Luce e materia, s.l., Solubema, 2011, pp. 96.

commenti ( 0 )

stampa

torna su