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31 Marzo 2015

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Cronaca di “…per esempio, la pietra: Aristotele aveva torto”


Guido Laudani, senza titolo

“Nulla di ciò che è per natura può assumere abitudini ad essa contrarie: per esempio, la pietra che per natura si porta verso il basso non può abituarsi a portarsi verso l’alto, neppure se si volesse abituarla gettandola in alto infinite volte”. Questo sostiene il grande filosofo Aristotele (nella sua Etica Nicomachea nel Libro II detto del Giusto mezzo, IV sec. a.C.). Se leggiamo tale stralcio solo valutando il riferimento alla pietra fatto dal discepolo di Platone – sbaglieremmo a circoscrivere il ragionamento solo a questo, ma diamoci ora tale limitazione – possiamo affermare che egli aveva torto. Perché? Perché sappiamo quanto il materiale lapideo sia modellabile e come l’uomo sia riuscito a condurlo verso l’alto, a quote vertiginose: sfidando la legge gravitazionale. Tale temerarietà costruttiva ha retto nel tempo e quando è finita rovinosamente in caduta libera lo è stata e lo è a causa, quasi sempre, di distrazione, scellerata incompetenza e colpevole dolo umani. Ma questa è un’altra storia; quella che attiene al nostro approfondimento riguarda, invece, la pietra che sta su nell’architettura: sia nel caso di realizzazioni litiche solide, strutturali, molto comuni nel passato, sia come rivestimento, più o meno sottile, applicato sugli edifici specialmente dal Novecento, che poi nella progettazione più recente consentono – nelle migliori delle ipotesi – esperimenti sempre più intrepidi.


Claudio Nardulli, Prua

Risulta alquanto incredibile rendersi conto di come un elemento tanto solito nella vita delle persone – siano esse più cittadine sia più a contatto con la Natura –, e comune nell’Architettura e nelle Arti visive, per esempio, sia poco riconosciuta nelle sue diversità tipologiche e sia tanto parte del panorama quotidiano, specialmente a Roma, da essere diventato invisibile ai più. Eppure, posiamo i nostri piedi sulla pietra, materia concreta tanto quanto fortemente celebrativa e simbolica.
Ciò detto, lo sguardo fotografico di Guido Laudani, Claudio Nardulli, Claudio Orlandi, Rita Paesani e Giovanna Zinghi cerca di fare chiarezza su questa realtà e di riconsegnare immagini di materiali lapidei maneggiati appositamente per diventare parte della Città eterna. Di questo territorio, la straight photography1 dei nostri autori anatomizza solo costruzioni moderne e contemporanee: per allontanarsi da significati aggiunti che la remota storia porta con sé ed evoca; ed anche da una visione oleografica che quasi fatalmente la Capitale sollecita. Prescindendo dalla sua ricchezza e delle sue declinazioni antiche, ci interessa, pertanto, una considerazione che tenga conto delle più odierne entità fisiche costruttive urbane e delle tensioni dinamiche correlate di cui le foto qui esposte ci danno un’estrema sintesi geometrica.


Claudio Orlandi, senza titolo

Pietra e astrazione, insomma, sono le dominanti di quello che i nostri autori tirano fuori dal paesaggio urbano. Ovviamente, ognuno con la propria cifra stilistica: Guido Laudani, assecondando la sua propensione enciclopedica atta a catturare il lato speciale della e nella normalità, prendendo dettagli di scale e corrimani marmorei che appaiono come curve, rettangoli che si fanno trappole per esaltare il chiaroscuro; Claudio Nardulli, radicato nella pratica scultorea e nella specialistica conoscenza dei materiali – anche in quanto architetto –, scoprendo incavi e prue in bianchi edifici del Novecento e riassumendo l’ardimento monumentale in espansioni in successione. Claudio Orlandi modula i contrasti cromatici, attenua o esalta porzioni dello spectrum2 con calibrato equilibrio, indicando piani e superfici a richiamare l’astrattismo pittorico; Rita Paesani, guidata dal suo eccellente occhio fotografico, evidenzia fughe e incastri che si animano di luminescenze marmoree magnificate proprio dalla predominante asciuttezza compositiva; Giovanna Zinghi, sostenuta dalla sua formazione come architetto, dopo la sua erranza tra le strutture romane le riassume svuotate di narrazione storica per dare protagonismo a trasversali, verticali e ortogonali. In tutte le immagini è cercata la ritirata dalla Fotografia più strettamente realistica, dalla figurazione, dal bel panorama… La riconoscibilità delle strutture rappresentate e, anzi, tutto l’insieme che le connota come architetture identificabili, non sono più – e volutamente – agili perché è favorita l’ambiguità che emerge grazie al peculiare punto di vista di ognuno dei singoli autori.


Giovanan Zinghi, senza titolo

Che si tratti del Foro italico (Paesani, Orlandi), dell’Eur e dell’Ara Pacis (Zinghi), della Città Universitaria La Sapienza (Nardulli), dei comprensori di quartiere (Laudani), del Ponte del Brasini (Paesani) ha relativa importanza, per i nostri fotografi: quel che per loro e nei loro lavori spicca è ciò con cui tali manufatti sono prodotti o ricoperti – travertino, granito, ardesia, tufo, marmo, porfido – e il loro manifestarsi attivatori di porzioni di astrazione, di ritmo e combinazioni schematici.
Vediamo, pertanto, immortalate delle “impalcature matematiche” che – come giustamente già affermava Salvador Dalì – non “uccidono” la magnifica “aspirazione dell’artista” per la fallace idea che esse siano troppo essenziali e irrigidite; diversamente da quanto da lui ipotizzato, però, tale griglia geometrica non è escamotage a cui affidarsi come “guida alla simmetria” e per “non avere da pensare e riflettere”.


Rita Paesani, Astratto litico

[photogallery]aristotele_album[/photogallery]

La scelta visiva praticata da Guido Laudani, Claudio Nardulli, Claudio Orlandi, Rita Paesani e Giovanna Zinghi, anzi, innesca il “pensiero” e accompagna proprio alla “riflessione”: scattando su edifici dove – abbiamo detto – la pregnanza litica è consistente, ci consegnano la loro ricerca certosina del particolare, il singolare orientamento diretto alla decontestualizzazione figurativa in funzione di una sintesi e di un minimalismo compositivi; ed è proprio grazie a questa posizione selettiva, minuziosa, trasversale e analitica, di cui la loro Fotografia si fa paladina, che si crea un approdo a un nuovo protagonismo del materiale. Esso si evidenzia sia a livello fisico, reale, sia poetico, concettuale. Non solo. Si palesa il dialogo proficuo tra Estetica e Spazio e tale colloquio, ricomposto nelle loro belle, nette fotografie, è motivo di novella conoscenza: e, per citare ancora il filosofo maestro (Platone), in fondo in fondo, “La conoscenza che la geometria cerca è quella dell’eterno”.

di Barbara Martusciello

Note
1 Sadakichi Hartmann, A Plea for Straight Photography, in “Camera Work”, 1904
2 Roland Barthes, La chambre claire, Gallimard, Paris, 1980

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