Pietre d'Italia

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Pietre dell'identità 

Stili tecnologici plastico-murari

 

A seguito della crisi ambientale connessa alle tecnologie costruttive a largo uso di materiali artificiali e seriali, abbiamo assistito negli ultimi decenni alla riconsiderazione critica e alla rivalorizzazione dei materiali naturali, sia sul piano teorico che su quello della prassi esecutiva, rivolta oltre che agli interventi di recupero e conservazione anche a quelli di nuova edificazione.
A livello personale, spero, di aver dato un qualche contributo in tale direzione con le ricerche che mi hanno visto impegnato per circa un ventennio sulla riabilitazione della tecnologia laterizia. Numerosi e diversificati convincimenti mi hanno animato in tale azione. Fra tutti - indubbiamente - per importanza mi è apparso proprio la perdita di identità, di radicamento ai diversi ambiti territoriali di appartenenza, da parte della nuova architettura a largo uso di materiali artificiali standardizzati nelle prestazioni, nelle soluzioni costruttive, negli assetti materici finali.
Riguardando, invece, a ritroso in Italia le logiche insediative e l'utilizzo delle risorse che hanno accompagnato la trasformazione dei territori dall'incontaminata natura alla formazione dello spazio storico antropizzato, è invece evidente come la diversa e specifica costituzione geologica, orografica e vegetazionale dei luoghi ha offerto per molti secoli sigilli inequivocabili per fissare lo spirito dei centri abitati.
Con la riabilitazione della tecnologia a base laterizia abbiamo inteso produrre, alla fine, un recupero di tradizione costruttiva soprattutto per quella estesissima area territoriale di ambito sovraregionale individuabile a larghe maglie nella pianura Padana.
In questa vasta area (contrassegnata dall'assenza pressochè totale di masse rocciose e dall'estensione veramente cospicua di terreni argillosi), si respira - principalmente - la diffusione e la predominanza all'uso del laterizio sia pure, spesso, alternato ed impreziosito dall'integrazione di altri materiali (legno, intonaco o pietra utilizzata nei nodi di maggiore rilevanza costruttiva).
Evocare le immagini di alcune di queste città e dei loro territori come nel caso di Torino, Mantova, Cremona, Parma, Bologna, Ferrara, Ravenna ecc. significa, inequivocabilmente, richiamare alla mente i profondi ed incancellabili segni lasciati sul volto delle città dal "rosso mattone".
Ma anche in tante aree geografiche a ridosso degli Appennini è facile rilevare una presenza rimarchevole del laterizio; basti pensare a Siena, ad Urbino, a Macerata, a Roma o ai tanti centri storici minori dove la semplice continuità dei tetti a falde con manti di coppi infonde unitarietà e familiarità agli insediamenti.
A queste aree soprattutto il nostro sguardo era rivolto conducendo le ricerche sulla tecnologia laterizia tentando di gettare un ponte, librato sulle macerie del Moderno, capace di riconnettere, in qualche modo, il presente al recente passato, troppo spesso frettolosamente dimenticata da parte dalla cultura architettonica egemone del Novecento.


Monolite di travertino di Rapolano al taglio con filo diamantato

Le "Pietre delle citta d'Italia".
Conclusosi questo ciclo di ricerca - fortunato sotto il profilo editoriale e delle influenze esercitate, come qualcuno ha sottolineato, entro la prassi realizzativa italiana recente - avendo atteso invano, in tutti questi anni, un analogo lavoro ad opera di altri studiosi che investisse la tecnologia a base lapidea (l'altro caposaldo della gloriosa tradizione costruttiva del Paese) progressivamente mi ha intrigato l'idea di avviare una esplorazione sul tema dell'architettura di pietra . Il web site che ospita questo Post scriptum è la testimonianza ultima di tale impegno.
Ciò al fine di rendere omaggio all'ampia varietà e ricchezza tipologica delle rocce del Paese (dalle Alpi alla lunga dorsale appenninica, dagli altopiani pugliesi e all'orografia del tutto individuale delle Isole maggiori) che ha offerto generosamente materiali all'azione costruttiva contribuendo a contrassegnare peculiarmente l'architettura urbana e rurale dei diversi territori .
"Anche fra le pietre che da sole improntano l'aspetto edilizio di qualche città - evidenzia Francesco Rodolico nel suo bellissimo libro "Le pietre delle città d'Italia" che ogni architetto dovrebbe leggere - le differenze sono tali da colpire il viaggiatore più distratto: i calcari compatti di Trento, di Brescia, d'Assisi o di Sulmona, quelli teneri di Lecce o di Noto; il travertino di Ascoli Piceno; l'arenaria grigia di Cortona o quella giallastra di Volterra; gli gneiss di Bellinzona; il tufo vulcanico di Viterbo; la lava etnea di Randazzo. Nè differenze di tanto rilievo si notano solo tra città lontane; l'accennato frazionamento geologico agisce anche sul breve spazio, differenziando città vicine, sotto questo particolare aspetto."
Com'è noto la tradizione all'uso delle pietre in architettura - ancor più di quanto sia avvenuto per la tecnologia laterizia - ha registrato, soprattutto nella seconda metà del XX secolo, un forte ridimensionamento applicativo con una specializzazione d'uso che ha ricondotto tali materiali alla limitata funzione ornamentale, sottoforma di lastre sottili per rivestimenti parietali o superfici orizzontali di calpestio.
È forse il momento anche qui di riprendere a studiare i lasciti di tradizioni costruttive plurisecolari e, insieme a queste, le condizioni e i materiali suscettibili di un uso tecnologicamente avanzato ricercando anche un aggiornamento dei modi applicativi.
D'altronde, salvo pochi casi, ogni regione d'Italia possiede integro, ancora oggi, un rilevante patrimonio di materiali lapidei da costruzione che è pensabile - soprattutto a fronte delle nuove e potenziate tecnologie di escavazione e di trasformazione che investono la lavorazione della materia grezza di cava - poter rivalorizzare, sia pur in modo non generalizzato ed estensivo come nell'architettura del passato.
Oggigiorno, se si escludono i materiali di pregio (quali sono i marmi che oramai individuano una categoria indirizzata prevalentemente al rivestimento ornamentale attraverso semilavorati in forme di lastre sottili), restano di potenziale utilizzo architettonico - a fini strutturali o quantomeno collaborativi alla costituzione degli involucri murari - i graniti, i travertini e soprattutto l'ampia famiglia delle pietre che si offrono attraverso una diversificata distribuzione geografica e una relativa facilità di trasformazione soprattutto per le cosiddette "pietre tenere". È il caso, in particolare, dei materiali lapidei correnti dell'Italia centro-meridionale che - oltre ad essere contraddistinti da parametri di economicità e facilità di taglio in conci squadrati o sagomati - posseggono considerevoli requisiti di resistenza, di compattezza, di buon aspetto.
Fra questi, poi, possiamo ancora evidenziare le varie tipologie di tufi che si possono vantaggiosamente lavorare in blocchi di ogni forma e il cui uso, ancora vivo e diffuso, informa i caratteri ambientali ed urbani di regioni quali l'Umbria, il Lazio, la Campania, la Sicilia, la Puglia.
Respingendo l'atteggiamento più ricorrente indirizzato alla promozione della pietra come semplice rivestimento (nella fattispecie di lastre o masselli di pochi centimetri di spessore) alcune proposte sono di nuovo oggi indirizzate a sfruttare la suggestione corposa e massiccia dei vari strati di pietra murati in masse tali da mostrare la natura più autentica del materiale.
È da evidenziare, comunque, come all'interno di chi si è riavvicinato recentemente all'uso della pietra non sempre è riscontrabile la padronanza di una cultura progettuale ed esecutiva specifica, capace di riproporre un rapporto profondo fra pietra ed architettura.
Di qui la necessità di impostare, a vari livelli - coinvolgendo le forze più vive presenti nella cultura tecnica, nel settore produttivo, nel mondo accademico - una seria rilettura delle tradizioni a base lapidea differenti, avviando anche l'approfondimento delle nuove potenzialità connesse alla alta specializzazione ed innovazione di lavorazione dei litotipi (e anche delle "pietre ricomposte")
Un impegno in tal senso sembra indispensabile oggi. Per quanto ci riguarda lavoreremo in tale tale direzione nei prossimi mesi.

Alfonso Acocella

 

28 Giugno 2005

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Stili tecnologici plastico-murari

 

A seguito della crisi ambientale connessa alle tecnologie costruttive a largo uso di materiali artificiali e seriali, abbiamo assistito negli ultimi decenni alla riconsiderazione critica e alla rivalorizzazione dei materiali naturali, sia sul piano teorico che su quello della prassi esecutiva, rivolta oltre che agli interventi di recupero e conservazione anche a quelli di nuova edificazione.
A livello personale, spero, di aver dato un qualche contributo in tale direzione con le ricerche che mi hanno visto impegnato per circa un ventennio sulla riabilitazione della tecnologia laterizia. Numerosi e diversificati convincimenti mi hanno animato in tale azione. Fra tutti - indubbiamente - per importanza mi è apparso proprio la perdita di identità, di radicamento ai diversi ambiti territoriali di appartenenza, da parte della nuova architettura a largo uso di materiali artificiali standardizzati nelle prestazioni, nelle soluzioni costruttive, negli assetti materici finali.
Riguardando, invece, a ritroso in Italia le logiche insediative e l'utilizzo delle risorse che hanno accompagnato la trasformazione dei territori dall'incontaminata natura alla formazione dello spazio storico antropizzato, è invece evidente come la diversa e specifica costituzione geologica, orografica e vegetazionale dei luoghi ha offerto per molti secoli sigilli inequivocabili per fissare lo spirito dei centri abitati.
Con la riabilitazione della tecnologia a base laterizia abbiamo inteso produrre, alla fine, un recupero di tradizione costruttiva soprattutto per quella estesissima area territoriale di ambito sovraregionale individuabile a larghe maglie nella pianura Padana.
In questa vasta area (contrassegnata dall'assenza pressochè totale di masse rocciose e dall'estensione veramente cospicua di terreni argillosi), si respira - principalmente - la diffusione e la predominanza all'uso del laterizio sia pure, spesso, alternato ed impreziosito dall'integrazione di altri materiali (legno, intonaco o pietra utilizzata nei nodi di maggiore rilevanza costruttiva).
Evocare le immagini di alcune di queste città e dei loro territori come nel caso di Torino, Mantova, Cremona, Parma, Bologna, Ferrara, Ravenna ecc. significa, inequivocabilmente, richiamare alla mente i profondi ed incancellabili segni lasciati sul volto delle città dal "rosso mattone".
Ma anche in tante aree geografiche a ridosso degli Appennini è facile rilevare una presenza rimarchevole del laterizio; basti pensare a Siena, ad Urbino, a Macerata, a Roma o ai tanti centri storici minori dove la semplice continuità dei tetti a falde con manti di coppi infonde unitarietà e familiarità agli insediamenti.
A queste aree soprattutto il nostro sguardo era rivolto conducendo le ricerche sulla tecnologia laterizia tentando di gettare un ponte, librato sulle macerie del Moderno, capace di riconnettere, in qualche modo, il presente al recente passato, troppo spesso frettolosamente dimenticata da parte dalla cultura architettonica egemone del Novecento.


Monolite di travertino di Rapolano al taglio con filo diamantato

Le "Pietre delle citta d'Italia".
Conclusosi questo ciclo di ricerca - fortunato sotto il profilo editoriale e delle influenze esercitate, come qualcuno ha sottolineato, entro la prassi realizzativa italiana recente - avendo atteso invano, in tutti questi anni, un analogo lavoro ad opera di altri studiosi che investisse la tecnologia a base lapidea (l'altro caposaldo della gloriosa tradizione costruttiva del Paese) progressivamente mi ha intrigato l'idea di avviare una esplorazione sul tema dell'architettura di pietra . Il web site che ospita questo Post scriptum è la testimonianza ultima di tale impegno.
Ciò al fine di rendere omaggio all'ampia varietà e ricchezza tipologica delle rocce del Paese (dalle Alpi alla lunga dorsale appenninica, dagli altopiani pugliesi e all'orografia del tutto individuale delle Isole maggiori) che ha offerto generosamente materiali all'azione costruttiva contribuendo a contrassegnare peculiarmente l'architettura urbana e rurale dei diversi territori .
"Anche fra le pietre che da sole improntano l'aspetto edilizio di qualche città - evidenzia Francesco Rodolico nel suo bellissimo libro "Le pietre delle città d'Italia" che ogni architetto dovrebbe leggere - le differenze sono tali da colpire il viaggiatore più distratto: i calcari compatti di Trento, di Brescia, d'Assisi o di Sulmona, quelli teneri di Lecce o di Noto; il travertino di Ascoli Piceno; l'arenaria grigia di Cortona o quella giallastra di Volterra; gli gneiss di Bellinzona; il tufo vulcanico di Viterbo; la lava etnea di Randazzo. Nè differenze di tanto rilievo si notano solo tra città lontane; l'accennato frazionamento geologico agisce anche sul breve spazio, differenziando città vicine, sotto questo particolare aspetto."
Com'è noto la tradizione all'uso delle pietre in architettura - ancor più di quanto sia avvenuto per la tecnologia laterizia - ha registrato, soprattutto nella seconda metà del XX secolo, un forte ridimensionamento applicativo con una specializzazione d'uso che ha ricondotto tali materiali alla limitata funzione ornamentale, sottoforma di lastre sottili per rivestimenti parietali o superfici orizzontali di calpestio.
È forse il momento anche qui di riprendere a studiare i lasciti di tradizioni costruttive plurisecolari e, insieme a queste, le condizioni e i materiali suscettibili di un uso tecnologicamente avanzato ricercando anche un aggiornamento dei modi applicativi.
D'altronde, salvo pochi casi, ogni regione d'Italia possiede integro, ancora oggi, un rilevante patrimonio di materiali lapidei da costruzione che è pensabile - soprattutto a fronte delle nuove e potenziate tecnologie di escavazione e di trasformazione che investono la lavorazione della materia grezza di cava - poter rivalorizzare, sia pur in modo non generalizzato ed estensivo come nell'architettura del passato.
Oggigiorno, se si escludono i materiali di pregio (quali sono i marmi che oramai individuano una categoria indirizzata prevalentemente al rivestimento ornamentale attraverso semilavorati in forme di lastre sottili), restano di potenziale utilizzo architettonico - a fini strutturali o quantomeno collaborativi alla costituzione degli involucri murari - i graniti, i travertini e soprattutto l'ampia famiglia delle pietre che si offrono attraverso una diversificata distribuzione geografica e una relativa facilità di trasformazione soprattutto per le cosiddette "pietre tenere". È il caso, in particolare, dei materiali lapidei correnti dell'Italia centro-meridionale che - oltre ad essere contraddistinti da parametri di economicità e facilità di taglio in conci squadrati o sagomati - posseggono considerevoli requisiti di resistenza, di compattezza, di buon aspetto.
Fra questi, poi, possiamo ancora evidenziare le varie tipologie di tufi che si possono vantaggiosamente lavorare in blocchi di ogni forma e il cui uso, ancora vivo e diffuso, informa i caratteri ambientali ed urbani di regioni quali l'Umbria, il Lazio, la Campania, la Sicilia, la Puglia.
Respingendo l'atteggiamento più ricorrente indirizzato alla promozione della pietra come semplice rivestimento (nella fattispecie di lastre o masselli di pochi centimetri di spessore) alcune proposte sono di nuovo oggi indirizzate a sfruttare la suggestione corposa e massiccia dei vari strati di pietra murati in masse tali da mostrare la natura più autentica del materiale.
È da evidenziare, comunque, come all'interno di chi si è riavvicinato recentemente all'uso della pietra non sempre è riscontrabile la padronanza di una cultura progettuale ed esecutiva specifica, capace di riproporre un rapporto profondo fra pietra ed architettura.
Di qui la necessità di impostare, a vari livelli - coinvolgendo le forze più vive presenti nella cultura tecnica, nel settore produttivo, nel mondo accademico - una seria rilettura delle tradizioni a base lapidea differenti, avviando anche l'approfondimento delle nuove potenzialità connesse alla alta specializzazione ed innovazione di lavorazione dei litotipi (e anche delle "pietre ricomposte")
Un impegno in tal senso sembra indispensabile oggi. Per quanto ci riguarda lavoreremo in tale tale direzione nei prossimi mesi.

Alfonso Acocella

 

28 Giugno 2005

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