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21 Novembre 2007

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Architetture di gabbioni*

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Dettaglio di un gabbione metallico con riempimento in pietrame.

Le più antiche testimonianze dell’impiego di stuoie e di canestri in materiale vegetale intrecciato per il trasporto ed il consolidamento di cumuli di terra o di pietrisco incoerente risalgono alle civiltà sumera e a quelle babilonese ed egiziana. È tuttavia a partire dall’epoca moderna, e più precisamente dal XVI secolo, che i costruttori di opere militari o idrauliche, soprattutto in Italia, iniziano ad impiegare su larga scala veri e propri sistemi costruttivi per trattenere il terreno basati sull’impilamento dapprima di grandi cesti, poi di contenitori in rete metallica. Tale pratica, particolarmente efficace e di semplice e veloce esecuzione, si diffonde rapidamente con la denominazione di sistema “a gabbioni”.
La tecnica produttiva dei gabbioni si è evoluta rapidamente nel corso dei secoli fino a standardizzarsi oggi perlopiù nella fabbricazione di in una forma parallelepipeda di base di 100x100x200 cm, costituita da una gabbia di rete in filo zincato, riempita da pietrisco selezionato di varia pezzatura al posto dell’originario riempimento terroso. L’elemento così composto è estremamente robusto, dotato di buona resistenza ai carichi statici e di discreta resistenza a flessione, suscettibile di numerosissime varianti dimensionali, cromatiche e materiche e può dar vita per impilazione a dispositivi autoportanti resistenti per gravità; le potenzialità di impiego strutturale di tali sistemi nel resistere alle spinte laterali e nel sopportare carichi statici verticali sono evidenti e si sono principalmente esplicate fino ad ora nella realizzazione muri di sostegno e contenimento per argini, terrazzamenti, pendii collinari, scarpate stradali, e in generale in opere anti-erosione e anti-frana di difesa del suolo e di progettazione del verde e del paesaggio, a piccola e grande scala.
Se in passato i gabbioni venivano realizzati sul posto, attualmente sono oggetto di sempre più diffusi processi di prefabbricazione fuori opera: a partire dal gabbione tradizionale, in filo zincato ritorto perlopiù a maglia esagonale1, ancora largamente impiegato nelle opere di landscape design, tali processi di fabbricazione in stabilimento hanno portato numerose aziende specializzate a realizzare sistemi componibili di gabbioni in rete di tondini rigidi di acciaio2, piegati e saldati, a maglia quadrata o rettangolare, zincati a caldo dopo la costruzione della struttura scatolare affinchè nessun punto della struttura metallica rimanga privo del ricoprimento protettivo. La prefabbricazione inoltre prevede il rinforzo del fondo, l’integrazione in ogni elemento di tiranti interni che ne aumentano la stabilità e di appositi ganci che ne facilitano la movimentazione. Il peso di un gabbione cubico di un metro di lato così realizzato, dell’ordine di alcuni quintali, è estremamente variabile a seconda del tipo di riempimento; l’incidenza della massa della sola struttura metallica si aggira tra i 15 e i 25 kg.
Il pietrame di riempimento non deve essere gelivo o friabile e deve presentare una pezzatura media pari a 1,5-2 volte la massima dimensione della maglia della rete; nonostante il riempimento avvenga oggi con efficaci metodi di vibrocompattazione durante la fabbricazione del gabbione viene comunque operato un leggero overfilling, poichè i pezzi litici durante le successive operazioni di movimentazione e posa tende ad assestarsi ulteriormente, lasciando eventuali vuoti che possono diminuire le prestazioni di resistenza statica dell’elemento. I metodi di fabbricazione rendono possibile integrare la struttura dei gabbioni con pannelli fonoassorbenti anti-rumore.
Tali nuovi prodotti, sono altamente modulari, più rigidi e di più facile movimentazione rispetto a quelli tradizionali e si prestano alla realizzazione di muri autoportanti alti fino a 7 metri. I tipi di riempimento lapideo sono numerosissimi e consentono di pervenire a molteplici tessiture di stratificazione e di colore; la facies di un muro in gabbioni è quella di una parete con dispositivo irregolare a secco, percepita attraverso la filigrana metallica e segnata dalle sottili discontinuità tra i moduli appoggiati l’uno sull’altro e l’uno accanto all’altro.
Anche grazie ai perfezionamenti produttivi sin qui descritti, se i gabbioni rappresentano ancora un’efficace soluzione nella progettazione del verde, del paesaggio e delle opere civili di ingegneria idraulica e stradale, per essi si prefigura oggi un nuovo orizzonte applicativo nell’architettura tout court: del resto alcune interessanti sperimentazioni condotte in questo campo dai primi anni ’90 del secolo scorso dimostrano la praticabilità di questo scenario.
Il nuovo concetto di muralità veicolato dai gabbioni, nella sua plasticità, nelle sue superfici irregolari, espressive e vibranti di vuoti e di pieni, di arretramenti e avanzamenti, di chiaroscuri, è riguardabile come una trasfigurazione della redazione architettonica rustica; la rete, diaframma permeabile alla vista ed eventualmente al tatto, imprigiona le pietre semplicemente spaccate o grossolanamente sbozzate, sostenendole, conferendo loro una volumetria ed impedendo ad esse di franare per disporsi nella forma spontanea del cumulo; ma tutto ciò senza intaccare minimamente con la sua presenza l’informalità naturalistica della compagine litica.
Accanto a tali aspetti formali, certo suscettibili di valorizzazione nella cultura costruttiva attuale, l’applicazione dei gabbioni presenta una serie di caratteri tecnico-prestazionali in linea con alcune fondamentali istanze dell’architettura contemporanea: la fabbricazione e la posa di tali elementi sono a bassissimo impatto energetico e sono ecocompatibili; essi hanno una elevata capacità di integrazione espressiva con il paesaggio naturale e, grazie alla loro originale capacità di combinare funzioni di drenaggio con proprietà di modesta ritenzione idrica, possono costituire luogo di sviluppo di una biocenosi vegetale spontanea o indotta; i gabbioni sono permeabili all’aria e, al contempo, hanno in genere elevata inerzia termica; sono, economici, facili da trasportare, durevoli3; non richiedono manutenzione, sono modulari, smontabili e possono essere riutilizzati; inoltre, già dalla prima fabbricazione, possono impiegare materiale di riciclo come riempimento.

MURI AUTOPORTANTI. Se Enric Miralles nel Cimitero di Igualada (1985-96) e nel Centro di Tiro con l’Arco di Barcellona (1989-92) ha utilizzato muri di gabbioni ancora come elementi di contenimento per grandi basamenti o gradonature di terreno, i primi prototipi di architetture “greenfield” che hanno trasferito la tecnologia dei gabbioni dal mondo delle opere idrauliche e stradali ad un campo applicativo più propriamente architettonico sono stati realizzati in Francia e nel Regno Unito da Ian Ritchie e John Smart, progettisti inglesi impegnati in una serie di incarichi in cui, accanto ad una forte integrazione tra architettura e paesaggio naturale, erano necessari un notevole impegno nel campo della sostenibilità energetica ed economie temporali e finanziarie per la messa in opera. In questa complessa gamma di istanze espressive, funzionali e prestazionali, i gabbioni hanno rappresentato una risposta efficace ed innovativa.
Ritchie nella Greenhouse a Terrasson del 1994 e Smart nel London Regatta Centre del 1999, come anche nella Casa del reality show Big Brother a Londra del 20014, impiegano le scatole di rete metallica a riempimento litico per l’esecuzione di muri massivi a scarpa le cui proprietà di notevole inerzia termica, e al contempo di permeabilità all’aria, soddisfano le esigenze prestazionali di edifici ad alta efficienza energetica. Se gli architetti inglesi sono stati i primi a sperimentare l’applicazione in architettura di tali elementi è con l’edificio della Cantina vinicola Dominus in California (1995-97) di Herzog & De Meuron5 che il muro in gabbioni viene elevato per la prima volta a vero e proprio sistema costruttivo architettonico e medium espressivo di una inedita trasfigurazione dell’opera rustica.
Nell’edificio i solidi di rete metallica delle dimensioni di 45x45x90 cm, sono riempiti con bozze di un basalto locale (stratificate all’interno delle “scatole” in letti di differenti pezzature e densità) e formano un involucro spesso che contribuisce a regolare con la sua massa cospicua le notevoli escursioni termiche locali riscontrabili tra il giorno e la notte. Pur essendo ancorate a secco ad una sottostruttura metallica intelaiata, le gabbie danno vita ad un muro autonomo, autoportante, dotato di un suo spessore, di una sua fisicità, e vanno a comporre una dispositivo regolare quasi fossero i blocchi parallelepipedi di un’opera quadrata.

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Cantina vinicola Dominus in California di Herzog & De Meuron. Dall’alto, vista del fronte e studi di sezioni costruttive dell’involucro in gabbioni.

Alla rete metallica contenitiva sono affidate le qualità di definizione e rettificazione dimensionale e volumetrica della massa strutturale, dello spessore murario; all’accumulo interno di pietre incoerenti la coesione per forza di gravità, il peso necessario agli elementi per formare una compagine solidale per impilamento, oltre che la definizione dei caratteri cromatici e di grana materica del muro.
Il “fare muro” con i gabbioni apre ad implicazioni importanti anche dal punto di vista della modulazione luminosa al di qua e aldilà della cortina muraria; la dimensione delle pietre imprigionate nelle gabbie come detto varia, andando a costituire, nell’alternanza di tessiture più fitte o più rade, un diaframma differenziato che modula il passaggio della luce e dell’aria all’interno dell’edificio. Il muro litico contemporaneo si presenta ancora una volta con un volto ambiguo di pelle massiva, spessa e sottile al tempo stesso, pesante e leggera, arcaica e innovativa. In linea con la tradizione dei bugnati antichi è la progressione dei dosaggi statici e figurali della materia che prevede un alleggerimento della compagine litica procedendo da terra verso la sommità dell’edificio: infatti, la tessitura più minuta e regolare delle pietre ingabbiate negli ordini più bassi fa sì che la massa lapidea sia più compatta, opaca e pesante alla base mentre, un progressivo aumento della pezzatura delle bozze, nonchè della loro irregolarità procedendo verso l’alto, impone al muro di gabbioni una crescente rarefazione e ricchezza di vuoti, fino alla decisa smaterializzazione della consistenza traforata negli ultimi ricorsi in prossimità della copertura. Ma è ancora una volta una sottile ambiguità a caratterizzare anche l’aspetto della gradazione degli ordini di questa muraglia rustica contemporanea: se infatti i registri delle facciate bugnate del passato nel procedere dalla base verso l’alto andavano dalla redazione informe di bugne plastiche ed espressive fino alla versione di conci sempre più lisci e regolari, nella Cantina Dominus tale canone è invertito e le pietre “più rustiche” stanno in sommità.
Ai gabbioni, Herzog & De Meuron affidano il compito di conferire alla realizzazione una forte riconoscibilità nel panorama architettonico internazionale e allo stesso tempo chiedono a questi elementi, da tempo usati per dissimulare nel paesaggio naturale le imponenti presenze delle opere artificiali di contenimento del terreno e irregimentazione idraulica, di fondere la cospicua e rigida volumetria chiusa della cantina nel morbido paesaggio fatto di colline e verdi vigneti distesi a perdita d’occhio; e dei gabbioni sfruttano anche appieno le qualità tecniche di inerzia termica e di permeabilità all’aria particolarmente indicate per il tipo di funzionalità produttiva richiesto al progetto. A partire dalla realizzazione dell’edificio californiano il processo di trasferimento della tecnologia delle gabbie metalliche con riempimento litico dal campo del landscape design all’architettura si è consolidato, uscendo dalla dimensione sperimentale, per ripetersi più volte con esiti progettuali discontinui ma in ogni caso stimolanti per le molteplici valenze figurali che può offrire tra le scelte oppositive di dar vita a forti segni scenografici o a dispositivi mimetici rispetto ai diversi contesti in cui si esplica; felice esempio di quest’ultimo atteggiamento progettuale è la recentissima Villa a Garrigàs di Boncompte & Font Arquitectes6, in cui un lungo muro in gabbioni fa da sfondo alla costruzione inserita nel paesaggio collinare alle porte di Girona.

RIVESTIMENTI A SPESSORE. Due progetti d’avanguardia di particolare interesse hanno dimostrato nel corso degli ultimi anni come le peculiarità formali e prestazionali dei gabbioni possano esplicarsi al meglio anche in applicazioni in cui tali elementi vengono assottigliati fino a spessori di 10-15 cm, dando vita a sistemi di rivestimento non più autoportanti ma agganciati come veri e propri pannelli di chiusura a sottostanti strutture metalliche o in calcestruzzo armato.
Il primo esempio in tal senso è rappresentato dall’edificio per 64 alloggi popolari a Montpellier (1997-2000) di Edouard Francois & Associès7. Il grande corpo residenzile è stato realizzato grazie ad una ibridazione tra la tecnica esecutiva dei normali gabbioni metallici con riempimento litico e la tradizionale prefabbricazione a piè d’opera di pannelli di chiusura in cemento armato. La misura dei pannelli compositi così ottenuti e di 277 x 135 cm e lo spessore varia dai 30 ai 40 cm. Lo spessore del gabbione, che va a costituire il paramento esterno di facciata, è di circa 15 cm ed esso risulta irreversibilmente integrato allo strato di cemento retrostante.

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Alloggi popolari a Montpellier di Edouard Francois & Associès. Dall’alto, vista parziale della facciata e schemi delle fasi di esecuzione dei gabbioni.

La rete metallica del gabbione con maglie di 5 cm di lato è stata, in una prima fase esecutiva, posizionata sul fondo della cassaforma in cui è stato poi gettato il pannello; successivamente si è proceduto al riempimento di pietrame e alla battitura di uno strato di terra, sabbia e semi di piante che ha agito da spessore separatore per impedire al getto concretizio finale di penetrare negli interstizi tra le pietre; infine si è operato il getto dopo aver annegato nello spessore del pannello le staffe utilizzate per il montaggio dei vari moduli alla struttura metallica intelaiata dell’edificio. Il pacchetto di chiusura che si è venuto a costituire presenta una integrazione delle caratteristiche di coibenza della pietra (in particolare si tratta di pietra lavica dotata di un alto coefficiente di porosità) e dello strato di isolante interno posizionato a montaggio avvenuto primo dell’esecuzione dell’intonaco di finitura.
I semi di piante tappezzanti e cascanti inseriti nei pannelli, germogliando in parte con l’umidità atmosferica e in parte grazie ad un sistema integrato di microirrigazione, danno vita ad un giardino appeso in verticale, un piano inerbato dove pietra rustica e vegetazione compartecipano nella definizione di un’immagine rocciosa, naturalistica e informale.
Il secondo caso è rappresentato dalla Casa privata a Stadtbergen, (2002-03) di Titus Bernhard8, costituita da un semplice volume parallelepipedo di 9x9x6 m con copertura a padiglione. La costruzione è interamente ricoperta anche sul tetto da una serie di sottili gabbioni di acciaio zincato contenenti frammenti di pietra dolomite di un color avorio-dorato. Sotto l’aspetto espressivo gli elementi di rivestimento, posti in continuità a mostrare una compagine litica rustica, enfatizzano l’immagine scultorea di solida massività dell’edificio, intagliata da poche e semplificate vetrate rettangolari. Dal punto di vista prestazionale la massa lapidea che si viene a formare, con il suo peso complessivo di circa 40 tonnellate, assolve alla funzione di grande accumulatore di calore e di spesso involucro isolante contro il freddo.

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Casa privata a Stadtbergen di Titus Bernhard. Dall’alto, vista del fronte principale e immagini delle fasi esecutive dell’involucro in gabbioni.

Ogni gabbione-pannello misura 100×50 cm, per 12 cm di spessore, pesa circa 80 kg ed è installabile, ed eventualmente smontabile, singolarmente in facciata tramite agganci metallici fissati ad una sottostante orditura di acciaio. Tra i gabbioni e la struttura cementizia della casa, procedendo nell’analisi del pacchetto dall’esterno verso l’interno, si trovano uno strato di drenaggio impermeabile di 1 cm che consente all’acqua piovana o di condensa di raccogliersi e scorrere dal tetto fino a terra (i gabbioni infatti sono assolutamente permeabili e la casa non è dotata di pluviali e sistemi di raccolta delle acque meteoriche), uno strato di 14 cm di isolamento in polistirene, e un’ulteriore guaina bituminosa di tenuta di 5 mm.
Unitamente ai rivestimenti a spessore irregolari, riguardabili come inediti aggiornamenti del tema del bugnato, i muri in gabbioni e queste ultime particolarissime applicazioni degli stessi elementi in involucri di rivestimento dimostrano come nelle tendenze attuali dell’architettura in pietra le categorie concettuali ed estetiche di espressiva solidità, rude schiettezza materica, primitivismo ciclopico, polimorfismo naturalistico, rappresentino un contraltare praticabile e alternativo ai valori di leggerezza, regolarità, minimalismo, ermetismo figurale di una certa contemporaneità.

di Davide Turrini

Note

*Il post è una rieditazione riveduta dell’articolo già pubblicato nella rivista Costruire n. 293 – 2007.

1Le dimensioni standard della maglia esagonale sono di 8×10 cm, ma vengono anche realizzate maglie di 6×8 cm, o 10x12cm; il filo ha in genere un diametro di 2,7 mm, ma si possono impiegare anche fili di 3; 3,4; 3,7 mm.
2In genere il diametro del tondino rigido è di 6 mm e le dimensioni standard della maglia rettangolare è di 5×8 cm.
3I sistemi di zincatura e di trattamento anticorrosivo delle maglie più avanzati permettono di garantire la durata dei gabbioni per oltre 70 anni anche in contesti estremi di inquinamento o in ambiente marino.
4Sulle opere di Ritchie e di Smart si veda David Dernie, New stone architecture, Londra, Laurence King Publishing, 2003, pp. 52-53 e pp. 72-79.
5Si vedano: Vincenzo Pavan (a cura di), Spazio pietra architettura, Faenza, Faenza Editrice, 1999, pp. 50-71; Jean Francois Pousse, “Gabions de Lumiere. Dominus Winery, Yountville, Californie”, Techniques & Architecture n. 442, 1999, pp. 94-99; Maria Argenti, “Herzog & de Meuron. Dominus Winery”, Materia n.31, 2000, pp. 34-45.
6Cfr. Francesco Pagliari, “Villa a Garrigàs – Girona, Spagna. Boncompte & Font Arquitectes”, The Plan n. 16, 2006, pp. 54-63.
7Si vedano: Jean Francois Pousse, “Roc qui posse. Logements, Montpellier”, Techniques & Architecture n.442, 1999, pp. 102-107; Jean Francois Pousse, “Around the rock. Logements, Montpellier”, Techniques & Architecture n. 448, 2000, pp. 72-75; David Dernie, New stone architecture, Londra, Laurence King Publishing, 2003, pp. 94-97. Le prime sperimentazioni su pannelli prefabbricati in cemento con paramento esterno in gabbioni metallici a riempimento litico sono state realizzate sempre in Francia nei primi anni Novanta del secolo scorso da Bertrand Bonnier, grande precorritore di questa tecnica tesa a “reinventare” l’applicazione architettonica dei gabbioni. Il progettista ha realizzato con tali tipi di pannelli la sede del Centro Ricerche Agronomiche di Reims (1992), il basamento dell’edificio CESNAC all’aeroporto di Bordeaux (1993) e una serie di alloggi sociali a Pont-Audemer (1999): per un approfondimento cfr. Jean Francois Pousse, “Matieres. Logements PLA, Pont-Audemer”, Techniques & Architecture n.442, 1999, p.101.
8 Si vedano: Redazionale, “Wohnhaus in Stadtbergen”, Detail n. 11, 2003, pp. 1274-1277; Barbara Borello, “Titus Bernhard Architects. House” pp. 82-85, scheda in Alessandra Coppa (a cura di), Facciate a secco, Milano, Motta, 2006, pp. 404; Manuela Grecchi, “Scultura da abitare”, Arketipo n. 15, 2007, pp. 52-59.

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