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8 Febbraio 2012

Opere Murarie

I bugnati a punta di diamante*

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Dettaglio della Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli (foto A. Acocella)

Lungo la seconda metà del XIV secolo, sull’influenza esercitata dai già famosi palazzi fiorentini, affiorano nelle principali città italiane residenze di rango con facciate bugnate di cui alcune impreziosite anche da motivi a bozze inusuali. E’ il caso dei modellati geometrici a punta di diamante: celeberrimi i casi di Bologna (Palazzo Sanuti, poi Bevilacqua) e Ferrara (Palazzo dei diamanti). Il primato di questo bugnato sembra, comunque, doversi assegnare ad una città importante e molto distante dai centri padani qual’è Napoli con il piano basamentale di Palazzo Sicola (oggi completamente scomparso) e soprattutto con il Palazzo Sanseverino (1455-1470), realizzato da Novello di Sanlucano che, anticipatamente rispetto ad ogni altro centro, mettono in bella mostra pietre aguzze in forma di piramidi schiacciate. Le anticipazioni rinascimentali partenopee a loro volta, in qualche modo, registrano l’influenza diretta del “bugnato regale” presente nel basamento scarpato delle torri di Castel Nuovo.
Le bugne in piperno dal colore bruno della residenza dei Sanseverino risorgono a nuova vita, dopo la distruzione della fabbrica stessa, nella nuova facciata della chiesa del Gesù Nuovo (1584) insistente sull’omonima piazza. La chiesa e le stesse bugne saranno soggetto fotografico ravvicinato e oggetto di un’annotazione a schizzo da parte di Le Corbusier nei suoi famosi Carnets del Voyage d’Orient che documentano l’itinerario di visita e di studio all’interno dei siti delle civiltà del Mediterraneo; il maestro svizzero trascrive le dimensioni delle bozze: 60 x 60 cm alla base, 30 cm altezza del vertice. Le foto, fortemente “selettive” del tema del bugnato, sono restituite prospetticamente di scorcio; colpisce, in particolare, la tecnica di “ripresa dinamica”, effettuata in posizione radente dal basso verso l’alto, con la disposizione in diagonale delle teorie delle bugne a diamante, a testimonianza dell’interesse più volte espresso nei suoi taccuini per l’effetto e il forte valore plastico dell’architettura italiana.


Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli. Schizzo di Le Corbusier dal Carnet del “Voyage d’Orient”

Se il primato nell’utilizzo rinascimentale del paramento bugnato a diamante va assegnato a Napoli è a Ferrara che sorge l’esempio più compiuto e raffinato di palazzo “nobilitato” da facciate interamente rivestite di diamanti lapidei. Nella capitale degli Estensi, dove s’impone il quasi assoluto predominio dei rossi laterizi, l’universo di pietra s’insinua attraverso le vie d’acqua che fanno affluire verso la città i calcari veronesi, quelli d’Istria come pure i marmi più preziosi.
Splendida facciata monumentale bugnata a profilo aguzzo è quella del Palazzo dei diamanti, fra gli edifici di maggior risalto se non addirittura il più eccelso della città, realizzato a partire dal 1493 da Biagio Rossetti per Sigismondo d’Este. Il riferimento esplicito al bugnato da parte di un cronista modenese, in visita a Ferrara nel 1496, ne conferma la paternità ideativa di Biagio Rossetti che, a questa data, coordina i lavori della fabbrica coadiuvato da Gabriele Frisoni da Mantova; il visitatore già ne ammira la facciata a scarpa con pietra lavorata a punta di diamante.


Dettaglio angolare del Palazzo dei Diamanti a Ferrara (foto A. Acocella)

I lavori di preparazione delle bozze del rivestimento e la loro messa in opera continuano, dal 1503, sotto la direzione di Girolamo Pasini e Cristoforo da Milano; solo nel 1567 l’esecuzione delle due grandi superfici murarie bugnate può ritenersi sostanzialmente conclusa. La composizione non è “verticalizzante”, così come nei modelli fiorentini, bensì si struttura su un ritmo orizzontale, tipico della tradizione dei palazzi rinascimentali dell’Italia settentrionale.
Eccezionale appare il partito parietale con bugne a punta di diamante che ostenta i caratteri di un’inedita eleganza offerta dalla modellazione geometrica della materia lapidea dislocata spazialmente all’interno dell’alzato su strada del palazzo. Le due fronti, che materializzano una muraglia continua di raffinata fattura chiaroscurale, appena stemperata ed articolata attraverso l’uso di paraste angolari decorate a motivi di candelabre e di cornici orizzontali, sono realizzate attraverso il regolare dispositivo additivo di migliaia di bugne aguzze e prominenti in calcare veronese bianco con qualche sporadica bozza rossastra. Immaginiamo la difficoltà a procurarsi e a trasportare da lontano tanta pietra; ma la legge del materiale più raro e più nobile, capace di imporsi rispetto al laterizio più comune ed economico, non è poi avvenimento così infrequente nella storia delle costruzioni.
Un’analisi attenta del bugnato, condotta in occasione di recenti rilievi, ha messo in risalto alcune peculiarità inedite. Si è riscontrato, in particolare, un graduale spostamento dell’asse delle piramidi; nella fascia bugnata del basamento i vertici sono sensibilmente rivolti verso il basso; nella zona centrale gli assi sono rigorosamente normali al piano murario della facciata; nel registro sommitale dei prospetti bugnati s’inclinano di nuovo, ma verso l’alto. Il sospetto che possa trattarsi di un caso fortuito o di un’imperfezione tecnica è dissipato da un’altra osservazione: man mano che ci si avvicina alle paraste angolari, le diagonali congiungenti i vertici delle piramidi seguono un andamento curvilineo regolare, mentre esso si attenua gradualmente nelle zone discoste dallo spigolo. E’ mai opinabile che il Rossetti e il Frisoni non ne fossero consapevoli? Queste impalpabili correzioni ottiche sono essenziali nell’effetto estetico complessivo, poiché negano ogni staticità figurativa al muro bozzato, lo rendono vibrante, lo esaltano.
L’alzato delle facciate risulta gerarchicamente quadripartito nella sua stratificazione compositiva dal basso verso l’alto, mentre è ritmato verticalmente dalle candelabre scolpite da Gabriele Frisoni con figure in delicato modellato (inscritte nella tradizione dei leggiadri pilastri angolari che serrano frequentemente le pareti in rosso laterizio delle fabbriche ferraresi) poste come lesene decorative e, allo stesso tempo, con ruolo “funzionale” in quanto arrestano le bugne a diamante prima della linea di spigolo al fine di eliminare i problemi di intersezione angolare. La scarpata di base, continua ed ininterrotta, conclusa da una cornice aggettante in forma di toro, si presenta come la trasposizione della tipica soluzione basamentale dell’edilizia ferrarese in cotto; segue in perfetto appiombo, il registro murario uniforme del piano terra segnato in basso da aperture appena ritagliate e, in alto, dalla cornice ad ovuli con la fascia architravata; su quest’ultima, che funge da marcapiano e bancale di appoggio, s’inseriscono le finestre del piano nobile sormontate da un timpano triangolato; intorno alle aperture si espande ulteriormente il rivestimento fino a trovare una “fascia neutra” di filtro che separa il bugnato dal cornicione.


Dettagli della facciata del Palazzo dei Diamanti a Ferrara (foto A. Acocella)

Rispetto ai modelli fiorentini archeologizzanti, il paramento a bozze aguzze di Biagio Rossetti si mostra in modo più leggiadro – una sorta di grande mosaico parietale – attraverso la giustapposizione di un’infinità di tessere litiche dalla base quadrata disposte con molta regolarità l’una accanto all’altra, sfalsate nei filari contigui di mezzo modulo in modo che i vertici delle piramidi risultino allineati secondo linee diagonali portatrici di un singolare dinamismo e di sottolineati effetti luministici.1
Altri edifici importanti adottano, a cavallo del XV e XVI sec., i temi della facciata bugnata con bozze a punta di diamante: il palazzo detto lo Steripinto a Sciacca, la casa Ciambra (o Giudecca) a Trapani, il palazzo Raimondi a Cremona, il palazzo Sanuti (poi Bevilacqua).
In avvio del Cinquecento il tema del bugnato è già canone dotato di un consolidato statuto all’interno della fiorente trattatistica rinascimentale, sublimato in un vero e proprio stile architettonico. Nelle opere d’architettura si mostra spesso “composto” ed “ordinato” all’interno di un rigore compositivo di sapore classicista come nelle fabbriche di Raffaello, Peruzzi, Sangallo il Giovane; ma già poco più tardi, a distanza di una sola generazione, viene impiegato in modo scenografico ed illusivo – come nel caso di Giulio Romano a Mantova – codificandone una vera e propria maniera: l’opera rustica. Nei secoli successivi salvo poche eccezioni significative (come i Palazzi Pesaro e Rezzonico a Venezia di Longhena) il tema del bugnato viene ricondotto a impieghi meno spettacolari.
In epoca moderna il disegno dei bugnati lapidei sarà trasferito anche a tutta quell’edilizia più ordinaria risolta – in esterno – ad intonaco, dove “finte bugne” saranno chiamate a nobilitare costruzioni matericamente più povere. L’origine della simulazione del bugnato lapideo si può, comunque, rintracciare già nel pieno Cinquecento in una città povera di pietra – qual’è la Mantova rinascimentale dei Gongaza – dove il genio di Giulio Romano sarà chiamato a trasferire il tema dei muri bozzati dall’accezione autenticamente pietrificata a un piano eminentemente decorativo, mimetico, illusivo.

Davide Turrini

Note:
* Il saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.
1 Sul Palazzo dei diamanti di Ferrara si veda: Bruno Zevi, Sapere vedere l’urbanistica. Ferrara di Biagio Rossetti, Torino, Einaudi, 1971 (ed. or. 1960), pp. 365. Per una analisi dettagliata del rivestimento a bugnato si vedano Carla Di Francesco (a cura di), Palazzo dei diamanti. Contributi per il restauro, Ferrara, Spazio Libri, 1991, pp. 168; Chiara Bentivoglio, “Luci e ombre nel rivestimento esterno del Palazzo dei Diamanti”, Marmo n.10, 2000, pp. 8-15.

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