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12 Aprile 2008

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Filosofia e Architettura

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Lunedì 28 Aprile 2008, ore 16
Firenze, Sala Ferri, Gabinetto Viesseux, Palazzo Strozzi
5° incontro della serie “La Filosofia e l’altro”

Filosofia e Architettura
Architettura e produzione di senso

A cura di Patrizia Mello
Interventi di
Ubaldo Fadini, Massimo Ilardi e Patrizia Mello

PRESENTAZIONE
Tra i percorsi del pensiero contemporaneo indagati dal gruppo di lavoro “Quinto Alto”, quello dedicato al rapporto tra Filosofia e Architettura è l’ultimo di una serie che ha visto chiamate in causa la letteratura, il cinema, la pittura, il teatro.
Come scrive Gilles Deleuze, “l’arte comincia non con la carne, ma con la casa; per questo l’architettura è la prima tra le arti”. E per quanto riguarda la forma, “l’architettura più ricercata non cessa di costruire e congiungere piani e lembi. Per questo la si può definire una “cornice”, un incastro di cornici diversamente orientate che si imporrà alle altre arti, dalla pittura al cinema. L’affresco nella cornice del muro, la vetrata nella cornice della finestra, il mosaico nella cornice del pavimento sono stati visti come altrettante tappe della preistoria del quadro”.
Attualmente, in particolare nel nostro Paese, il dibattito sull’architettura si limita più che altro ad evidenziare possibili incongruità estetiche tra l’architettura e il resto della città, in qualche modo avvalorando il fatto che il resto della città abbia una forma “gradevole”, tale da dover essere preservata, magari dal grattacielo di un architetto un po’ troppo creativo. Mentre se si tratta del centro storico, il problema è il solito: tenerlo intatto, e nel frattempo procedere senza ritegno alla sua volgarizzazione estrema, così da tramutare i nostri amati centri storici in luoghi di culto per lo shopping a 5 stelle.
Ma basterà allungare lo sguardo sui lembi delle nostre città, dove quegli stessi grattacieli saranno costruiti, per accorgersi che l’architettura ha perso tutto il suo prestigio, che si tratta al massimo di edilizia, e che alla gente è stato veramente offerto poco. A Firenze neppure un progetto di pensiline per gli autobus, attualmente davvero deprimenti, mentre si sprecano energie nei referendum per la tramvia. Magari venisse offerto un nuovo grattacielo in grado di bucare l’orizzonte di paesaggi urbani piatti di idee, ma soprattutto di ideali! Per lo meno ognuno potrebbe di nuovo posare lo sguardo su qualcosa.
Questa si chiama produzione di non-senso.
Come scrive Fèlix Guattari, “l’oggetto dell’architettura ha perso il suo splendore”, poichè hanno prevalso i giochi politici, gli antagonismi economici, sociali e regionali.
Questo incontro di studio con la partecipazione di un architetto (chi scrive), un filosofo, e un sociologo, intende rimettere in campo alcune delle questioni lasciate in sospeso che riguardano l’architettura, proprio a partire dal confronto con la filosofia, campo disciplinare aperto sulla realtà, che ne estrapola visioni caratteristiche, forme di attrazione, deviazioni, intrinseca bellezza, disponibilità al dialogo.
Innanzitutto bisognerebbe riprendere in mano la sostanza dell’architettura, confrontarne il divenire rispetto alla realtà contemporanea, alle vicissitudini del contemporaneo. In questa direzione, l’incontro con l’Altro potrebbe essere produttivo.
Diversamente, si tratta di indagare sulla realtà di una disciplina che sta perdendo terreno mentre bisognerebbe contribuire a valorizzarne il tema della “cornice” come quello più adatto a ritagliare futuro, a catturare gli sguardi, mentre nello stesso istante i pensieri liberano energia, s-fuggono in ogni direzione e la cornice ne amplifica il ricordo.

Patrizia Mello

Ubaldo Fadini – La città deterritorializzata
L’idea-base di questo intervento è che la città abbia sempre costituito una sorta di sfida alla elaborazione filosofica e ciò a partire dalla sua ragion d’essere fondamentalmente “deterritorializzante”, per riprendere la terminologia concettuale di Deleuze-Guattari. Non è un caso, allora, che alcune delle riflessioni più stimolanti sul “caosmos” urbano provengano da pensatori “eccentrici”, particolarmente “fissati” sulle irregolarità “regine” del moderno: ad esempio, Alfred Sohn-Rethel, per non parlare di Walter Benjamin, ai quali sono dedicate alcune parti del contributo. Anche a partire da tale eccentricità, alla quale dà un suo contributo di spicco Guy Debord, è possibile sviluppare una critica della “geografia umana”, delle scritture ordinate e (auto)-controllate, delle rappresentazioni (in fondo comunque di “pericolo”…) proprie del discorso urbanistico, che non riescono a cogliere pienamente quelle “intensità” urbane che fanno delle città metropolitane una macchina proliferante, una sorta di dismisura mobile, con i suoi appunto ingordi interessi speculativi e i suoi soggetti costitutivamente fuori misura.

Ubaldo Fadini, insegna all’Università di Firenze, occupandosi, prevalentemente, di estetica e di antropologia filosofica. Tra le sue ultime pubblicazioni, si segnalano: Sviluppo antropologico e identità personale. Linee di antropologia della tecnica (Dedalo, 2000), Figure nel tempo. A partire da Deleuze/Bacon (Ombre corte, 2003), Soggetti a rischio. Fenomenologie del contemporaneo (Città Aperta, 2004), Le mappe del possibile. Per un’estetica della salute (Clinamen, 2007). Ha curato con A. Zanini, Lessico postfordista. Dizionario di idee della mutazione (Feltrinelli, 2001) e con A. Negri e C. T. Wolfe, Desiderio del mostro. Dal circo al laboratorio, alla politica (Manifestolibri, 2001). Ha tradotto e curato, tra l’altro, testi di T. Lessing, T. W. Adorno, A. Gehlen, H. Plessner, P. Virilio, G. Deleuze. Fa parte dei comitati di redazione e dei comitati scientifici delle riviste “Fenomenologia e società”, “Iride”, “Millepiani”.

Massimo Ilardi – teoria, progetto e territorio
Per il progetto di architettura dove si situa oggi il terreno della ricerca? Il progetto sembra avere davanti a sè tre direzioni: o si rivolge, operando sull’immagine per mezzo dell’immagine, all’individuo sociale plasmato e governato dal mercato con la conseguenza di trasformarsi in design perchè sempre più associato a operazioni economiche e di marketing che esaltano il valore comunicativo (e cioè la logica dell’et…et e non dell’aut…aut) ed estetico della merce; oppure lavora sulle questioni della pura forma sganciata da ogni funzione e contenuto, decidendo così di liberarsi della realtà evitandone ogni compromesso e rifugiandosi in discussioni concettuali sulla natura dell’architettura; o, infine, decide di mantenere il suo carattere fenomenologico e di radicamento nell’esperienza valorizzando drasticamente la sua funzione che è quella di creare territorio dove mettere a confronto attori istituzionali e sociali per spingerli verso un nuovo ma mai definitivo equilibrio, senza per questo implicare un radicale cambiamento della struttura economica.
Scrive l’architetto svizzero Peter Zumthor che la realtà dell’architettura,”il nocciolo vero e proprio di ogni compito architettonico”, risiede nell’atto del costruire. L’architettura non è nè messaggio nè segno, ma è “ciò che si è fatto forma, massa e spazio.” E Franco Purini: “La propensione per l’ibrido, per l’indeterminato, per il discontinuo, per l’interrotto e il frammentario, è costretta a confrontarsi con la constatazione che ogni azione progettuale, seppure la più anarchica e imprevedibile, produce ordine e misura.”
Assumiamo queste affermazioni come un buon punto di partenza per la riflessione perchè non c’è nulla di più vero del fatto che l’architettura non è solo astrazione o gioco virtuale ma ha bisogno di punti fermi che la inchiodino al suolo per individuare il suo campo d’intervento dentro l’esperienza e l’organizzazione urbana.

Massimo Ilardi, insegna Sociologia Urbana presso la Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, Università di Camerino. E’ direttore della rivista ‘Gomorra’. Le sue ultime pubblicazioni sono: Negli spazi vuoti della metropoli (Bollati Boringhieri, 1999), In nome della strada.Libertà e violenza (Meltemi, 2002), Nei territori del consumo totale. Il disobbidiente e l’architetto (DeriveApprodi, 2004), Il tramonto dei non luoghi (Meltemi, 2007)

Patrizia Mello – sul concetto di autonomia etico-estetica dell’architettura
L’intervento parte da una serie di considerazioni sulle possibili modalità di incontro tra filosofia e architettura, per arrivare in ultima analisi a sottolineare la necessità di una autonomia etico-estetica dell’architettura in vista di una effettiva produzione di senso, osservando come una delle cause di maggiore dispersione di senso sia proprio il fatto che certa architettura contemporanea si adoperi per costruire significati a priori, tenendo il pubblico in una sorta di suspense del significato, perdendo di vista il fatto che – come ha recentemente spiegato il filosofo Koji Taki – “gli edifici devono essere significanti per se stessi”. Che cosa allora renderebbe l’atto progettuale significante per se stesso? In definitiva: quali i presupposti perchè si verifichi una autonomia etico-estetica dell’architettura?
In risposta a tali interrogativi vengono riprese idee e riflessioni di filosofi come Jean Baudrillard, Gilles Deleuze, Fèlix Guattari, Enzo Paci, Taki, di architetti come Jean Nouvel e Toyo Ito.

Patrizia Mello, si interessa di teoria del progetto contemporaneo, di architettura e di disegno industriale, argomenti su cui svolge attività di ricerca, con pubblicazione di numerosi articoli e saggi, organizzazione di convegni e incontri di studio. Insegna presso la Facoltà di Architettura di Firenze.
Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Philippe Starck. Progetti in movimento (Festina Lente, 1997), Spazi della patologia Patologia degli spazi (Mimesis, 1999), L’ospedale ridefinito. Soluzioni e ipotesi a confronto (Alinea, 2000), Metamorfosi dello spazio. Annotazioni sul divenire metropolitano (Bollati Boringhieri, 2002), Ito Digitale. Nuovi media, nuovo reale (Edilstampa, 2008), Design Contemporaneo. Mutazioni, oggetti, ambienti, architetture (Electa, 2008).

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