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13 Febbraio 2006

Letture

Europa, civiltà del costruire

Europa, civiltà del costruire
Dodici lezioni di cultura tecnologica dell’architettura
a cura di Giovanni Morabito

Collana Studi & Ricerche
Gangemi Editore
2004
Pagg. 278
Prezzo 25 euro

La tecnica vista come ‘ strumento di dialogo e comprensione della realtà ‘ (Vittorio Gregotti) è il leit motiv della raccolta di interventi curati da Giovanni Morabito, docente di Tecnologia dell’Architettura presso la Prima Facoltà di Architettura di Roma ‘la Sapienza’.
Partendo da questa, infatti, e avanzando in un ordine cronologico che vede nel tardo medioevo gli albori della tecnica moderna e che arriva fino alla contemporaneità, gli interventi danno origine ad un testo in cui l’elogio di questa disciplina avviene proprio grazie alla multidisciplinarità che, allora come oggi, sta alla base di un buon progetto. I dodici contributi portati da Mario Como, Mario Manieri Elia, Arnaldo Bruschi, Claudia Conforti, Sandro Benedetti, Vittorio Nascè, Salvatore Di Pasquale, Fulvio Irace, Fabio Brancaleoni, Vittorio Gregotti, arricchiscono il testo con autorevolezza.
La trattazione dei modelli di progetto e di tecnica di Brunelleschi e di Leon Battista Alberti, ad esempio, da parte di Mario Manieri Elia, propone un parallelismo tra i due architetti rinascimentali e due architetti moderni, rispettivamente Mies Van Der Rohe e Le Corbusier. Brunelleschi riesce per primo a coniugare il gotico al classico grazie allo sviluppo della tecnica, allo ‘spirito di precisione’ e al metodo induttivo, realizzando la cupola di Santa Maria del Fiore senza centinatura. Questo lo porterà in primis ad inventare un ruolo nuovo per l’architetto, ovvero quello di direttore dei lavori, poi ad assumere un ruolo socio-politico, grazie alla nomina da parte di Cosimo I de’ Medici a vicario culturale. La ricerca di un nuovo linguaggio unisce e al tempo stesso separa questo architetto da Leon Battista Alberti. Il primo cerca di coniugare ‘ l’ordine e la misura dell’architettura classica ‘ alla ‘ disponibilità funzionale e l’intelligenza economica di quella gotica ‘, trovando nel classico la soluzione al disordine medievale: nella loggia dell’Ospedale degli Innocenti il tempo sembra fermarsi, ci si distacca dal caos e dalla stratificazione medievale, giungendo alla perfezione formale e alla leggerezza sintattica. Mies Van Der Rohe persegue il medesimo risultato nell’ Illinois Institute of Technology grazie all’iterazione di un elemento che diventa modulo, studiato in ogni suo dettaglio e caricato di creatività, segnando così il passaggio da ‘ modello ‘ a ‘ tipo ‘. Il loro linguaggio si pone a difesa dell’architettura dalla confusione comunicativa, dalla contemporaneità, rinchiudendosi in un modello ermetico che diventa linguaggio implicito e universale. Al contrario l’Alberti mette in comunicazione il contemporaneo con il classico: in Palazzo Rucellai riesce a reinterpretare gli stilemi degli ordini architettonici, fondendoli però con la confusione e la stratificazione medievale. In maniera analoga Le Corbusier lavora con l’immagine icastica, tendendo a prescindere dalla materia e dalla costruzione. Si genera così uno scisma tra architetti scrittori e architetti che comunicano solo grazie alle loro costruzioni. Se per i primi il linguaggio è quello della molteplicità interpretativa, per i secondi tutto si racchiude in un modulo universale caricato di valore.
Salvatore di Pasquale, invece, ci propone un Le Corbusier alle prese con la filosofia della natura, e in particolar modo con la matematica. Incaricato, infatti, da Francois Le Lionnais di apportare un contributo alla sua rivista con un testo dal titolo ‘ L’Architecture et l’esprit mathèmatique ‘, ricerca il ‘ fattore umano ‘ all’interno della geometria. Da questi ragionamenti nascerà il Modulor, e la teoria che vede l’unione tra geometria e figura umana, in cui l’uomo, appunto, diventa dominatore assoluto dello spazio. La teoria, datata 1948, vede l’inserimento di un uomo con il braccio alzato in due quadrati, all’interno dei quali si possono ritrovare le sezioni auree, da cui nascerà la moderna ergonomia.
Fulvio Irace ci riporta alla tecnologia, ed in particolare al tema dell’alleggerimento della facciata. Dalla ‘curtain wall’ americana si vuole giungere a definire uno stile italiano grazie a figure come Giò Ponti, Caccia Dominioni e Asnago e Vender. In particolare l’intervento affronta il tema della facciata leggera in ambito milanese, attraverso alcuni lavori di Ponti, e di come la tensione verso la leggerezza e l’immaterialità si siano concretizzate nella sua evoluzione progettuale. Dal Primo Palazzo Montecatini alla Cattedrale di Lecce, attraverso il grattacielo Pirelli, Ponti ha fatto propria la tecnologia e la ricerca sui materiali. La leggerezza diventa un fenomeno sociale, una peculiarità del contemporaneo. Asnago e Vender vi lavorano in ‘ maniera maniacale ‘, creando una loro poetica fatta di scostamenti quasi impercettibili e di leggere varianti, producendo un’edilizia residenziale di qualità. Caccia Dominioni è tra i portavoce delle idee di Rogers: il rifiuto dell’astrattismo del moderno in favore di una diversificazione formale e tipologica, e il recupero della complessità visiva dell’antico.
Si giunge anche alla trattazione di un tema attuale e discusso come il ponte sullo Stretto di Messina spigato in maniera molto chiara da Fabio Brancaleoni. Le difficoltà legate a questo sito, la distanza di 3000 metri, la profondità delle acque (110-120 metri), la presenza di forti correnti e venti in superficie, non hanno impedito agli ingegneri di trovare delle risposte a tutte queste domande. Dal concorso indetto nel ’69, alla presentazione del progetto preliminare del 2002, si sono avvicendati studi, teorie e progetti. Ma la soluzione è arrivata dopo otto anni di studio (dall’84 al ’92) sulla campata unica. La profondità delle acque impedisce infatti la costruzione di piloni intermedi. La vera innovazione viene dal progetto dell’impalcato, divenuto già famoso all’estero come ‘Messina Style’, costituito da una struttura a 3 cassoni larga 60 metri. Questo impalcato per le sue caratteristiche è già diventato modello di riferimento per due ponti di prossima costruzione a Hong Kong.
L’intervento conclusivo del curatore racchiude un riassunto delle principali nuove tecnologie applicate all’architettura, convenendo che il progresso tecnologico rimanga un mezzo, e non un fine del processo progettuale.

Veronica Cupioli

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