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13 Aprile 2006

Appunti di viaggio

Pietra e sostenibilità


Panoramica del Parco del Subbetica, provincia di Cordoba
fg184
Tra la provincia di Cordoba e Granada, in Andalusia, sono molto frequenti bacini estrattivi di pietra calcarea di un bel colore bianco, molto ricercata attualmente, dalle notevoli possibilità applicative e di generalmente buona qualità e disponibilità.
Pietra che genericamente viene denominata Calizia Capri, ma che presenta notevoli differenze tra un sito estrattivo e l’altro, sia per venatura e granulometria che per resistenza all’usura e durevolezza.
Ma questo non è che la premessa alla riflessione che questo viaggio di lavoro mi ha sollevato.
Nella fattispecie ho visitato delle cave recentemente chiuse, facenti parte di un territorio naturalistico tutelato, per le quali è stata revocata la concessione, a causa di non precisatemi, ma immaginabili, emergenze ambientali.
Dalla foto n. 1 si evince la spettacolarità del territorio, una distesa di rocce affioranti, che determinano un particolarissimo ambiente naturale semi arido, ricco di una specializzata avifauna, che trova in questo raro contesto un motivo di proliferazione e nutrimento impareggiabile.
Nella foto n.2, 3 e 4, sono evidenti le lacerazioni del territorio che la coltivazione delle cave hanno provocato, senza un benchè minimo tentativo di ripristino del territorio.
Ora mi chiedo se non sia arrivato il momento, in questo nostro spazio interattivo, di pensare alla pietra come ad un bene non rinnovabile, un bene di cui non possiamo ignorare i processi di approvvigionamento, una materia prima che presuppone un prelievo al territorio, consistente ed invasivo.
Le moderne tecniche di coltivazione, i possenti caterpillar, hanno fortunatamente sollevato le fatiche umane nel lavoro di cava; i livelli di sicurezza imposti, almeno per quanto riguarda le cave italiane, sono tali da non compromettere la sicurezza dei lavoratori più che in altri settori.
La sostenibilità nello sfruttamento dei giacimenti litici è sicuramente possibile, non fosse altro perchè la quantità realmente asportata è inferiore a quanto viene movimentato e/o scartato.
Ho visto degli splendidi esempi nell’altopiano di Asiago di ripristino ambientale di ex cave, ma sicuramente delle mosche bianche rispetto agli scempi ecologici che dominano la maggior parte dei siti estrattivi.
Purtroppo il livello e la sensibilità culturale del settore è molto bassa, questi imprenditori che si occupano di cave di pietra si assomigliano in tutto il mondo, il concetto di predazione del territorio li accomuna e supera le barriere geografiche e religiose.
Se il fronte della Domanda, invece, fosse più attento a questi aspetti, potrebbe favorire quelle produzioni che dimostrino di aver assimilato il concetto di sostenibilità della risorsa.
Si è molto parlato di Pietra di Apricena, delle grandi qualità estetiche e prestazionali, del bisogno di promuoverne l’utilizzo, ma le cave, ad Apricena, come sono gestite? Il territorio sta soffrendo della popolarità della pietra locale?
Mi piacerebbe avere qualche informazione in più di una pietra che conosco molto poco.

Un caro saluto
Damiano Steccanella

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