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Una costruzione in pietra a Baja Sardinia*


Uno scatto dell’interno del night club Ritual in Gallura (foto Mario Ciampi)

l titolo della tesi di laurea di Andrea Francesco Fiore, postuma rispetto alla grande parte dell’edificio, introduce alla visita virtuale della realizzazione per un night club nel nord della Sardegna. L’eccezionalità, oltre ai molteplici fattori di unicità di luogo e tempi d’ogni opera di architettura, risiede nella suggestione naturale intatta post-intervento, nella sensibilità interpretativa volta all’intromissione silenziosa dei completamenti edili, nella tenuta complessiva sia formale sia materica a più di trentacinque anni dalla posa della prima pietra.

Olivastri, lentischi, graniti e mirti
Frutto dell’intuizione architettonica di Andrea Fiore, poi proprietario, alla fine degli anni ’60, l’edificio si propone da subito come tipologicamente innovativo non solo nell’adeguamento alle peculiarità della roccia, ma anche nel ripensamento delle collocazioni degli spazi funzionali al night club rispetto a quanto consuetamente praticato fino ad allora, specialmente riguardo il posizionamento ed i rapporti reciproci di sorgenti sonore, del personale interagente con il pubblico e dei fruitori della sala da ballo: consolle e strumentazioni di riproduzione musicale prima solo si avvicinano, poi finalmente si insinuano tra il pubblico.
Gli anni di concretizzazione dell’idea originaria e di realizzazione del locale coincidono con quelli di nascita ufficiale della Costa Smeralda parallela, a pochi chilometri. Gli eletti da Aga Khan nel 1962 a tenere a battesimo il vero e proprio Consorzio Costa Smeralda ed a sovrintenderne la trasformazione territoriale ancor prima che architettonica sono i progettisti Michele Busiri Vici assieme soprattutto a Luigi Vietti ed al francese Jacques Couëlle. Quest’ultimo particolarmente pare essere riferimento citazionale di Fiore, per l’approccio geomorfico caratterizzante la sua ricerca già dalla metà del secolo e per l’atteggiamento artistico-interpretativo d’avvicinamento alla natura dei luoghi.
In forma di parentesi occorre per altro precisare come alla luce dei successivi quarant’anni di costruzione lungo la costa affacciante in direzione di Corsica, l’impronta di Vietti e Couëlle ha segnato una traccia cui poter ricondurre opere altre, mentre invece interventi pur importanti di progettisti di talento indiscusso in questa sede – tra cui Marco Zanuso, Cini Boeri, Umberto Riva ed altri ancora – hanno preferito misurarsi con la reinterpretazione del portato tipologico tradizionale degli stazzi sardi – i complessi d’abitazione rurale tipici – ma approdando ad esiti dal valore puntuale e non generalizzabile.


Uno stralcio della Domenica del Corriere n° 33 del 1974

Ciò che per i più costituisce episodio di costume variamente etichettabile, per l’autore e progettista è anche ricerca intima di personale verità. La riconduzione ai saperi autoctoni non avviene in questo caso, come detto, per allusioni alle tipologie edilizie rurali consolidate, ma piuttosto per citazione simbolica di elementi di tradizione millenaria quali le incisioni rupestri della Tomba del Labirinto a Benetutti presso Luzzanas in provincia di Sassari. Nel fare questo, per altro, il progettista indaga un filone da sempre di personale interesse, come testimoniato anche dalle ricerche sulle simbologie iconografiche e geometriche della chiesa parmigiana di San Francesco del Prato1. Ebbene dalle rappresentazioni primitive del labirinto circolare di Benetutti discendono per successivi passaggi alcune delle soluzioni distributive dell’odierno locale, da cui anche trasporre in ideogramma le metafore grafiche utili, nelle varie forme della comunicazione ai fruitori, agli usi attuali. Pure gli insediamenti nuragici più complessi si candidano inoltre ad obiettivo allusivo dell’articolata planimetria dell’edificio.
Il Club si sviluppa in parte al coperto entro superfici dischiuse nel ventre roccioso dei rialzi di terreno a ridosso della costa gallurese ed in parte all’aperto: qui solo i giardini pensili disposti alle diverse quote offerte dal terreno si intromettono nella visuale di fondo uniformemente litico ed assumente differenti cromie alle diverse condizioni di irraggiamento solare. Olivastri, lentischi, graniti e mirti sono gli ingredienti dosati con misura pressochè naturale ai vari livelli dei dorsi rocciosi su cui le planimetrie di progetto si distendono.
Il granito, materia notoriamente generosa in rapporto al lavorìo del vento, reca nel proprio nome la caratteristica sensoriale epidermica di chi lo sottoponga alla prova tattile: l’etimo deriva infatti dal latino granum, vale a dire grano, con riferimento e per via della rugosità superficiale. Offre tonalità cromatiche varie – e variamente localizzate nelle cave dell’isola – dal grigio chiaro al rosa, al solito concedendo minime variabilità entro la tonalità dominante. Riguardo l’intervento di Baja Sardinia di fine anni ’60 ed ora integrato con opere di estensione e completamento del locale, la materia litica si offre nella sua veste più imponente, espressiva ed in definitiva incontaminata. L’idea quasi onirica di partenza risiede nel portare l’uomo ad essere per così dire intruso entro uno spazio a lui estraneo ed allo stesso tempo di renderlo attore inconsapevole a disvelare la scenografia naturale preesistente. Progettualmente il nodo da sciogliere è da subito quello della linea caratteriale di intervento da prescegliere per le minime e pur necessarie integrazioni alla cavea primigenia individuata da Fiore quale sede del futuro esercizio. Pare proprio di poter sostenere, a maggior ragione per le intromissioni negli spazi interni di maggior suggestione e caratterizzazione autoctona, come la via adottata sia quella dell’inserimento silenzioso ed interprete delle spiccate connotazioni naturali del sito: si pensa in particolare alle intromissioni con riquadri in graniglia dalle diverse dominanze cromatiche e pure dai diversi dimensionamenti nella pavimentazione della sala da ballo, in cui si ripropone in chiave personale l’approccio simile a quello già di Couëlle al tema dei piani pavimentali.


Uno scatto delle fasi di primo cantiere (repertorio Orecchioni)
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La photogallery ora si arricchisce di un percorso prezioso di immagini composte da Mario Ciampi. Ripercorrere visivamente i fotogrammi impressi sulla pellicola negativa per la lunghezza consentita da due o probabilmente tre rullini offre l’opportunità di immaginare il breve tempo trascorso, forse un paio di giorni, dal fotografo assieme al progettista, sotto la cui guida comprendere le suggestioni alla base del progetto di Baja Sardinia.
Quasi come terzi passeggeri nell’autovettura, poi come accompagnatori silenziosi a piedi, si visiteranno fuori stagione alcune opere di Jacques Couëlle non lontane dal Porto Vecchio di Porto Cervo, poi l’abitazione personale dell’architetto francese, per raggiungere il locale da ballo anticipato dall’affiorare delle costruzioni di foggia organica in esterno ed esperirne infine gli interni in cui la manomissione è lieve al portato di natura.

di Alberto Ferraresi

(Vai a Ritual.it)

Note
Il ringraziamento particolare è dovuto alla famiglia Fiore per la disponibilità e la condivisione della documentazione iconografica e testuale sul locale notturno in Baja Sardinia (Ss); ancora a Piermario Orecchioni per alcuni scatti di repertorio e a Matteo Lumaca per la preziosa collaborazione alle immagini fotografiche.

(*) La titolazione dell’articolo “Una costruzione in pietra a Baja
Sardinia” richiama direttamente la tesi di laurea in Architettura
sostenuta da Andrea Francesco Fiore ed avente per oggetto la
realizzazione del night club in Gallura, così come alla stessa tesi si allineano alcuni passi del testo proposto.

1 Paola Marchetti, Andrea Francesco Fiore, “San Francesco del Prato in Parma”, Fondazione Monte di Parma, dicembre 1988.

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