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1 Dicembre 2008

Opere Murarie

IL SITO ARCHEOLOGICO DI MORGANTINA (EN).
MATERIALI LAPIDEI E TESSITURE MURARIE

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Il sito di Morgantina

Morgantina: profilo storico-topografico
Il sito di Morgantina, situato in provincia di Enna, presenta un primo insediamento arcaico, fondato sul Monte la Cittadella da popolazioni indigene provenienti dall’Italia meridionale, risalente alla tarda età del bronzo, e un secondo impianto ellenizzato del sec. V a.C., sul pianoro di Serra Orlando, occupato dai Romani nel 211 a.C. La ricchezza di Morgantina è testimoniata dalla presenza di numerosi edifici pubblici: il teatro, l’ekklesiasterion, il prytaneion, il bouleuterion, il macellum, una grande fornace e ben cinque stoài. La città, che presenta un impianto a maglia ortogonale con l’agorà pressochè centrale, era delimitata da un sistema difensivo con quattro porte di accesso. Morgantina venne abbandonata per ragioni sconosciute intorno al sec. II d.C.

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Il Macellum e l’Ekklesiasterion.

Caratterizzazione dei materiali lapidei naturali
Al fine di caratterizzare i materiali lapidei con i quali sono realizzate le murature nel sito, è stata eseguita una campagna di indagini diagnostiche su campioni di materiale prelevati direttamente nel sito a cura dell’Università degli Studi di Palermo. Dopo il prelievo, i campioni sono stati catalogati e schedati e sugli stessi sono state eseguite analisi mineralogico-petrografiche su sezioni sottili, sezioni lucide, diffrattometrie ai raggi X, assorbimento d’acqua per immersione totale e capacità di imbibizione. Si è scelto di analizzare tre diverse tipologie di rocce, un calcare e due rocce sedimentarie di origine clastica, arenarie sensu lato, una calcarenite quarzosa, ricca in quarzo, e una bio-calcarenite ricca in calcite e gusci di fossili.
Il calcare presenta macroscopicamente un aspetto piuttosto cavernoso, brecciato e coerente, e alla prova di assorbimento d’acqua ha restituito un valore medio dell’8,1% che, secondo la classifica di Artini e Principi, dimostra trattasi di un “calcare cavernoso”, cioè di una roccia calcarea ricca in cavità, suscettibile ai fenomeni di degrado. La roccia risulta composta esclusivamente da carbonato di calcio (calcite), con una pasta di fondo micritica, ed è caratterizzata dalla presenza di microlesioni ramificate di dimensioni intorno a micron 140, probabilmente dovute alla dissoluzione del carbonato di calcio a opera delle acque circolanti.
La calcarenite quarzosa rilevata nel sito, macroscopicamente appare di colore giallo-paglierino, abbastanza compatta e cementata, scabrosa al tatto, con una certa ricchezza in quarzo. In superficie si è rilevata la presenza di mesovene ramificate con dimensioni decimetriche e con spessore dell’ordine del millimetro, riempite di quarzo. Dall’osservazione della sezione sottile al microscopio ottico a luce trasmessa, si rileva che, in genere, la morfologia dei grani è sub angolosa, mentre i clasti feldspatici presentano un habitus poligonale; la struttura presenta una pasta di fondo micritica e una tessitura Packstone. Sono evidenti inoltre resti di fossili (lamellibranchi, pecten) e microfossili. Si osserva una porosità secondaria dovuta alla dissoluzione del carbonato di calcio dei gusci di fossili e microfossili operata dalle acque circolanti, con conseguente deposizione di vene di calcite spatica nelle micro fessure, originatesi secondariamente per cause tettoniche. La porosità è distribuita in modo uniforme nella pasta di fondo ed è presente in corrispondenza dei clasti calcitici. Le dimensioni dei pori, che raramente presentano un contorno frastagliato, variano da micron 20, per i pori di dimensioni minime, a micron 160 x 56 ad micron 80 x 56.

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Campioni di calcare cavernoso, calcarenite quarzosa, biocalcarenite Clikka sull’immagine per ingrandirla

La biocalcarenite si presenta ricca in fossili; si rilevano gusci, impronte e calchi di conchiglie, frammenti di molluschi, quali pecten e resti di ostree. Dall’osservazione della sezione sottile al microscopio ottico a luce trasmessa, è emersa la prevalenza di minerali silicatici: clasti di quarzo, mono e policristallino, ma con inclusioni di zirconio e un habitus con spigoli vivi. La porosità non sembra essere uniforme in tutta la pasta di fondo, interessando però sia la matrice micritica che i clasti carbonatici. I pori, di dimensione in prevalenza di micron 100 x 160, presentano un habitus sub-rettangolare; sono presenti anche pori di forma ellissoidale, dalle dimensioni di micron 400 x 12, con un evidente bordo di reazione e, in questi casi, si tratta di una porosità secondaria dovuta alla dissoluzione dei grani carbonatici.

Tessiture murarie
Nell’intero sito sono state individuate, in prevalenza, tre modalità di assetto murario: murature irregolari in pietrame grezzo, murature regolari e murature in opus africanum.

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Muratura irregolare in pietrame grezzo.

Le murature irregolari in pietrame grezzo, sono in genere costituite da bozze o pietrame erratico, disposto a secco o con una malta realizzata con argilla locale, sabbia e calce. Tali strutture si presentano frequentemente senza corsi regolari, come in alcuni paramenti interni rilevati nel Granaio Est, o a corsi sub-orizzontali (figg. 9-10), come nelle pareti esterne del Santuario Centrale.

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Muratura squadrata a corsi sub-orizzontali.

Le murature regolari, in genere pseudo-isodome, sono realizzate con blocchi squadrati, che in alcuni casi raggiungono dimensioni notevoli, come nella Casa Fontana ellenistica nella quale si rilevano blocchi regolari della superficie media di cm2 4.500, con uno spessore di circa cm 60, o nel muro di analemma frontale del Teatro. Una tecnica discretamente diffusa a Morgantina è l’opera squadrata a corsi sub-orizzontali o orizzontali, costituita da blocchi di dimensione variabile, disposti con l’apporto di zeppe.

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Muratura squadrata pseudo-isodoma.

Ma la tipologia più diffusa nel sito, rilevata in quasi tutti gli edifici pubblici, è l’opus africanum, con vari tipi di tamponamento realizzati sempre in materiale lapideo, che vanno dalle pietre grezze, alle bozze più o meno squadrate di medie dimensioni, fino ad arrivare ai blocchi squadrati della parete di contenimento della Stoà Ovest. La tecnica comportava indubbiamente numerosi vantaggi derivanti da una riduzione dei costi di costruzione, sia perchè si utilizzava pietrame di scarto nei riempimenti, sia perchè la realizzazione di tali murature consentiva tempi di esecuzione più rapidi. Inoltre, rispetto ad una muratura continua a tessitura uniforme, il telaio, come muratura discontinua, presentava un comportamento migliore dal punto di vista strutturale, poichè i resistenti piedritti sopportavano le forze verticali, mentre i deboli e plastici tamponamenti erano idonei ad assorbire le sollecitazioni trasversali che, ad esempio, potevano derivare da un terremoto.

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Muratura in opus africanum con riempimento in grandi blocchi.

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Tale considerazione, a Morgantina, è confermata dalla precisa posizione che il telaio assume nel contesto murario: mai casuale, ma legata alla distribuzione dei carichi della struttura nel suo complesso. Troviamo pertanto, ad esempio, che nella Stoà Est il telaio è disposto in corrispondenza dei pilatri che, con molta probabilità, reggevano il tetto di copertura dell’edificio.

di Alberto Sposito1 e Federica Fernandez2
1 Professore Ordinario, Facoltà di Architettura di Palermo
2 Assegnista di Ricerca, D.P.C.E. Università di Palermo

Bibliografia essenziale
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