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Creativi a Confronto. Il Convegno di Rapolano Terme


Cava dell’Oliviera a Serre di Rapolano (foto Francesca Pellegrini)
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La materializzazione delle idee
Il viaggio intrapreso nell’entroterra italiano ci ha portato nei luoghi di Toscana dove storia, arte, terra, acqua e pietra coesistono magistralmente; e qui, al confine orientale del territorio senese, uno dei centri protagonisti delle “Pietre di Toscana” – Rapolano Terme – ha ospitato il 2 settembre scorso, presso lo stabilimento termale dell’Antica Querciolaia, il convegno dal titolo “Pietra e Creatività”. Piccolo borgo medievale, Rapolano Terme è conosciuto principalmente per la ricchezza della sua terra: acqua e pietra vi convivono in un connubio che dona ricchezza e bellezza al territorio. Famoso per il suo travertino e le sue acque termali Rapolano è sembrato il luogo ideale per ospitare questa giornata di studi organizzata, all’interno del Settembre Rapolanese 2006, in occasione dell’inaugurazione della mostra “Il Travertino di Rapolano fra materia e prodotto”, allestita nella suggestiva area del Parco dell’Acqua.
Promosso dalla Regione Toscana in collaborazione con il Comune di Rapolano Terme, il Consorzio del Travertino di Rapolano e la Camera di Commercio di Siena, il convegno è divenuto occasione di incontro fra esperti del settore della lavorazione della pietra, imprenditori, architetti, ingegneri e ricercatori che, all’interno di una sorta di “workshop di idee” hanno creato insieme un interessante e stimolante momento di approfondimento su ciò che rappresenta la pietra oggi e su ciò che potrebbe offrirci domani.
La giornata di studi, organizzata in due sessioni, è stata avviata e coordinata per la prima parte da Alfonso Acocella, da cui nasce l’incipit dell’iniziativa. Questo evento, infatti, si pone all’interno di quel suggestivo panorama e viaggio di ricerca e sviluppo che si sta formando all’interno del mondo della pietra. Iniziato con la pubblicazione del libro “L’architettura di pietra. Antichi e nuovi magisteri costruttivi”, esito di una ricerca pluriennale sulle pietre d’Italia condotta dallo stesso Acocella e promossa dalla Lucense di Lucca, il viaggio è proseguito sulla strada del web, dove da una costruzione autoriale di contenuti si è passati ad un progetto collettivo attraverso cui articoli sul tema si susseguono liberi da condizionamenti di stretta attinenza al tema.
Da qui la nascita di una vera e propria comunità scientifica, di un network di persone provenienti da settori diversi con il comune interesse al confronto e alla produzione di contenuti, a fianco di veri e propri esperti con la voglia di offrire il loro contributo ed il loro sapere. Network virtuale che periodicamente si trasforma in incontri diretti, in una serie di eventi, manifestazioni, mostre, delle quali l’incontro di Rapolano fa parte, primo appuntamento per cominciare a prendere coscienza delle nuove dinamiche di sviluppo dell’economia del terzo millennio, al cui interno la Toscana può divenire fucina di idee e di proposte concrete.
Il convegno si apre con i saluti e ringraziamenti da parte di Patrizia Baldaccini, sindaco del Comune di Rapolano Terme che sottolinea e rende partecipe il pubblico dell’importanza del “travertino” per la realtà rapolanese, la quale ha iniziato da anni un percorso sinergico tra pietre e terme, due risorse che, valorizzandosi a vicenda possono dare la possibilità a questa terra di sviluppare, insieme all’attività estrattiva, la sua vocazione al turismo diventando importante polo d’attrazione.
Insieme a lei, il Presidente del Consorzio del Travertino di Rapolano, Enzo Giganti, delinea il quadro della realtà imprenditoriale del territorio e delle sue potenzialità. Quadro che risulta in questo momento più che mai complesso, vista la crescente concorrenza straniera: Giganti porta l’esempio della Turchia che, insieme ad altri Paesi, si sta affacciando sul mercato internazionale. È in questo momento che risulta chiara la centralità dell’obiettivo primario di questo incontro, un confronto fra le aziende ed il mondo delle idee: solo queste, infatti, insieme ad una risposta innovativa delle organizzazioni di produzione, possono, insieme, risultare vincenti proponendo nuovi percorsi di sviluppo.
La Regione Toscana è rappresentata in questa sede da Massimo Cervelli rappresentante del coordinamento dell’Assessorato alla Cultura per i progetti speciali Porto Franco e TRA ART; Cervelli, nell’incipit del suo intervento si sofferma proprio su questo aspetto: l’importanza dello sviluppo della cosiddetta “economia della conoscenza” all’interno della new economy, l’importanza dell’incontro dei giovani con gli artisti che trasferiscono loro il proprio sapere lasciando un segno indeledile sul territorio. La Regione Toscana infatti, nell’ambito della nuova legge regionale 33/2005 – “interventi finalizzati alla promozione della cultura contemporanea in Toscana” – sta tentando di consolidare sempre più la rete regionale di attività ed iniziative volte allo sviluppo dell’arte e dell’architettura contemporanea all’interno della quale troviamo anche il progetto Pietre di Toscana.
Il tema di questa giornata che, come afferma Maria Antonietta Esposito ricercatrice e docente presso l’Università di Firenze, attraverso la materializzazione di idee, ci riporta alle nostre radici, alla riappropriazione della nostra identità attraverso la mappatura dei distretti litici italiani e non solo, ci fa capire una volta di più che solo attraverso simili percorsi cultura, attività produttiva e sviluppo possono convivere e crescere insieme.


Soundgarden, Busan, Corea del Sud, 2005 di Pongratz Perbellini Architects


Il Soundgarden in Gwangbok Street (scultura in metallo di Pino Castagna) di Pongratz Perbellini Architects

Sperimentazioni e nuove concezioni
I lavori della giornata di studi proseguono attraverso una molteplicità di approfondimenti: architetti, saggisti e ricercatori si confrontano indagando la realtà contemporanea e le prospettive future dei possibili utilizzi di questo antico materiale qual è la pietra.
Christian Pongratz, giovane architetto con esperienze internazionali che insieme a Maria Rita Perbellini dirige due studi associati con sede a Berlino e Verona, mostra i percorsi della loro ricerca che traspone la progettazione tridimensionale in digitale su elementi litici che vengono così modellati e lavorati attraverso tecniche nuove in continua sperimentazione ed evoluzione. Due sono i progetti che ci vengono mostrati: il riuso di una cava dismessa nel veronese ed un progetto di concorso per un nuovo sistema di spazi pubblici a Busan, nella Corea del Sud. L’apertura di nuove prospettive nell’utilizzo di uno dei materiali tradizionali per eccellenza richiamano subito l’attenzione del pubblico. Un paesaggio reinventato attraverso la pietra, il riportare la pietra assente in una cava dismessa attraverso la costruzione di una superficie a doppia curvatura sospesa su una struttura in acciaio, ha richiesto un lavoro di èquipe multidisciplinare ed una manodopera altamente qualificata.
La costruzione è ancora alla fase di sperimentazione, e ciò porta a porsi un fondamentale quesito che tornerà più volte nel corso degli interventi: giunti alla consapevolezza di quali possano essere le potenzialità insite in una stretta collaborazione fra creativi, ricercatori ed aziende del settore, ci si chiede se queste diverse realtà sono pronte ad accogliersi l’un l’altra, se la manodopera e le tecnologie che offrono le aziende sono pronte e capaci di rispondere agli inputs che arrivano dal settore ricerca e sviluppo.
Un secondo progetto, altrettanto stimolante, ci riporta ai due elementi centrali del convegno e del luogo che lo ospita: la pietra e l’acqua. Un percorso pubblico lungo un chilometro che nasce dall’acqua e si trasforma in pietra per ritornare ad essere acqua; uno spazio urbanizzato che, attraverso un gioco libero degli elementi, vuole ritornare alla naturalità delle sue origini. L’utilizzo di differenti materiali lapidei, la loro diversa posa in opera e l’alternarsi di sculture che giocano sul senso tattile e sonoro dei passanti differenzia il percorso ed il tipo di spazio pubblico che si sviluppa in un susseguirsi di variazioni di scene. Tutto ciò grazie alla lavorazione della pietra “modellata” attraverso il diversificarsi di textures superficiali sapientemente studiate grazie ad un’approfondita conoscenza delle proprietà litiche, delle sue potenzialità e di nuove possibili lavorazioni compiute da abili artigiani.


Giovanni Bulian durante la conferenza

Dalle prospettive future dell’utilizzo dei materiali lapidei si passa al rapporto che l’architettura antica può instaurare con la contemporaneità. Di questo parla Giovanni Bulian, direttore della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio per le province di Siena e Grosseto e dal primo settembre, “ad interim”, per la Soprintendenza di Firenze, Prato e Pistoia. L’architetto Bulian ci racconta una delle sue molteplici esperienze, il restauro delle Terme di Diocleziano portato a compimento in occasione del Giubileo. Questo immenso sistema termale, divenuto nel corso dell’ultimo secolo uno di principali nodi del sistema museale romano, letteralmente spezzato in due distinte parti da Via Cernaia, voleva essere riportato ad unità attraverso la creazione di un nuovo percorso. Insieme a questo la trasformazione del planetario, ospitato all’interno di una grande Sala Ottagona utilizzata nel ‘500 come granaio, in un museo di bronzi dell’età ellenistica. Uno dei caratteri fondamentali dell’importante intervento di restauro e riqualificazione, su cui in questa sede è importante focalizzare l’attenzione, è l’imponente presenza della pietra, nei rivestimenti di marmo e nei pavimenti in mosaico, o ancora nelle lastre di travertino con cui è “tappezzato” il complesso termale. Presenze litiche originali che, grazie a restauri sapienti, possono essere riportati al loro antico splendore se non ulteriormente esaltati attraverso l’accostarsi di nuovi materiali e tecnologie.
Antonello Stella, fondatore insieme a Susanna Ferrini dello studio romano n! Studio, e docente di Progettazione architettonica presso la Facoltà di Architettura di Ferrara, considerando la pietra “un piccolo racconto” al centro del quale si trova l’identità del luogo, narra due progetti che partono dalla materia per arrivare al paesaggio su cui l’architettura insiste.
Entrambi i progetti di spazi museali si confrontano con l’identità litica del sito; il primo in Francia, nel cuore della Savoia, non lontano da Chambery, il secondo ad Amalfi. Prospiciente il fiume Le Cheran che corre in mezzo alle montagne dell’alta Savoia francese, l’area protagonista del primo progetto si situa in un paesaggio di pietra quasi incontaminato, che, seppur ricoperto quasi completamente dalla vegetazione, mette in luce la sua massività, resa ancora più imponente dal contrastante rapporto con la leggerezza del vicino ponte costruito agli inizi del XX secolo. L’elemento massivo della pietra diventa esso stesso progetto; l’architettura interpretata come trasformazione del paesaggio si concretizza in un edificio che sembra essere pietra che si trasforma. La pietra che riveste e penetra all’interno dell’elemento architettonico viene interrotta episodicamente da finestre di cristallo che rendono ancora più tangibile la mancanza di confine fra il “dentro” ed il “fuori” del museo. II progetto di Amalfi, in un’area di mulini dismessi, decide invece di porre in primo piano l’elemento dominante del paesaggio – i limoneti – a discapito della liticità del luogo. Quindi la decisione di far risaltare i grandi teli che proteggono i limoni durante l’inverno, donando un senso di leggerezza a questo edificio che quasi scompare sotto la sua copertura. Teli che si mimetizzano fra altri teli diventano l’elemento caratterizzante dell’opera. Ancora una maniera diversa di fare “architettura di pietra”: il paesaggio che si trasforma sotto le mani dell’uomo, la pietra che diventa pretesto per scegliere se voler donare pesantezza o leggerezza all’episodio architettonico.
E’ il momento di Vincenzo Pavan, importante pubblicista con ventennale esperienza di ricerca sull’utilizzo della pietra in architettura. L’architetto vuole innanzi tutto ribadire e sottolineare l’importanza della rivitalizzazione e del conferimento di nuove prospettive al materiale litico, senza le quali nuove realtà internazionali rischiano di superare il panorama italiano. Da qui Pavan si addentra in un’interessante panoramica e rilettura storica dell’architettura dell’ultimo secolo secondo una nuova chiave interpretativa: quella della liticità. Dall’immaterialità dell’architettura del movimento moderno, attraverso Le Corbusier e Terragni che utilizzavano la pietra astraendola dalla sua massività, al recupero dell’identità lapidea dell’architettura degli anni ottanta con Stirling e il suo museo di Stoccarda. La nuova consapevolezza della pietra quale elemento fondativo dell’architettura; la riscoperta del rivestimento lapideo e la graduale rivalorizzazione della sua materialità.
Così ogni progettista sceglie accuratamente il materiale che meglio valorizza il singolo episodio architettonico: facciate in pietra che negano esse stesse la propria fisicità si confrontano con altre che la sottolineano attraverso la scelta di elementi lapidei ricchi di materiali organici inglobati al loro interno. Architetture di pietra che sempre più assumono in sè il ruolo di “oggetto artistico”, pietre testimoni di raffinate operazioni concettuali, fra le quali impossibile non citare uno degli esempi contemporanei di maggiore bellezza e maestria progettuale, le Terme di Vals di Peter Zumthor, una vera e propria operazione di decomposizione e ricomposizione del blocco lapideo.
Risulta sempre più evidente che il rinnovamento dell’uso della pietra e del materiale in genere non può prescindere dalla sua reinvenzione; ci viene nuovamente sottolineato da Simone Sorbi, Dirigente del “Settore politiche regionali dell’innovazione e della ricerca” della Regione Toscana, che chiude l’intensa mattinata ribadendo l’importanza dell’integrazione fra intrasettorialità e intersettorialità e della trasformazione di un’idea (realtà astratta) in bene produttivo (realtà tangibile).

La pietra svelata, trasformata, imitata
È Davide Turrini, ricercatore presso la Facoltà di Architettura di Ferrara, a riaprire il tavolo di confronto della giornata rapolanese, soffermando la propria attenzione su un aspetto del materiale lapideo inconsueto e poco esplorato che una volta di più contribuisce a palesarne la poliedricità. Traslucenza e trasparenza della materia litica, architettura interpretata attraverso il rapporto instaurabile fra luce e materia. Aprendo la sua narrazione con una citazione di Louis Kahn, Turrini ci svela come la pietra possa diventare una sorta di “lanterna illusoria” capace di rendere visibile la propria natura interna, invisibile ad occhio nudo. Investita di luce, la lastra lapidea diventa materia preziosa che pervade di fluido luminoso lo spazio che racchiude. Dall’antichità, attraverso l’epoca tardo antica, fino a quella moderna ed al panorama contemporaneo, l’uomo ha saputo apprezzare ed utilizzare questa particolarità di molte pietre. Originariamente importanti per il loro utilizzo in luogo dell’attuale vetro, molte pietre, dalla mica, agli alabastri, agli onici, ai marmi, hanno risposto nel corso dei secoli in maniera raffinata all’esigenza di lussuosità di architetti e committenti.


Edificio LVMH ad Osaka di Kengo Kuma. Vista notturna del roof garden.

Dall’inizio del ‘900, attraverso l’International Style fino alla realtà contemporanea, la traslucenza e trasparenza della pietra, grazie a molti dei più abili architetti ha contribuito a creare veri e propri scrigni litici preziosi e affascinanti. Dagli anni novanta del XX secolo questa modalità applicativa è diventata oggetto di importanti sperimentazioni: pietre laminate ibridate con altri materiali hanno aperto la strada a nuove possibilità espressive e cotruttive. L’accostamento di pietra e vetro rendono possibile l’utilizzo di lastre lapidee di spessori ridotti al minimo, implementandone le prestazioni statiche e di coibenza termica e fonoacustica. La materia lapidea non risulta quindi indebolita nella negazione della propria natura , ma arricchita e valorizzata nei suoi caratteri più nascosti.
È la volta di Alessandro Porta del gruppo “Campolonghi Italia” che ci fa partecipi di un’esperienza concreta dove la creatività si è trasformata in produzione industriale. L’Opera House di Oslo, nuovo teatro cittadino che aspira a diventare il simbolo della cultura nord-europea, è stato oggetto di ricerca da parte di architetti, ingegneri e professionisti dell’industria del marmo. Architettura polifunzionale che oltre ad essere luogo di spettacolo diventa spazio pubblico dal quale poter ammirare il mare del Nord, questo edificio rende protagonista il marmo bianco di Carrara, capace di ricreare la forza espressiva degli iceberg. Scelta felice ma difficile nello steso tempo, come afferma Alessandro Porta; non sempre il marmo di Carrara ha avuto prestazioni ottimali, come, quindi, riuscire ad utilizzarlo con successo? L’unica risposta possibile è l’approfondimento tecnico del materiale ed un approccio innovatvo nella progettazione; sono stati questi gli strumenti vincenti per superare un percorso impegnativo ma ricco di nuovi stimoli.


Oslo Opera House di Snøetta: componenti in marmo a forte spessore.

Un apporto tecnico è invece dato da Anna Maria Ferrari, rappresentante della Tenax, azienda leader nella produzione di resine e stucchi per la lavorazione superficiale della pietra. La relatrice si sofferma sul travertino, roccia sedimentaria, e riporta in evidenza la complessità del materiale litico; conoscerne il processo di formazione, le caratteristiche di resistenza, la composizione, diventano nuovamente esigenze primarie per un suo saggio utilizzo.
Ritorniamo ai nuovi percorsi: “Architettura di pietra” ma anche “Arte di pietra”. Giuseppe Lotti, ricercatore presso l’Università di Firenze, ci spiega che anche gli scarti di lavorazione della pietra, stimati in circa il 75% del materiale estratto, possono essere riutilizzati. Lotti ci racconta la sua partecipazione a due progetti: il primo svoltosi a livello universitario, in una collaborazione fra gli studenti di Firenze, Marsiglia e Tomar, piccola città portoghese. Gli studenti, nel corso di una settimana di lavoro presso Serre di Rapolano hanno proposto nuove idee e progetti per l’utilizzo degli scarti di lavorazione dei blocchi lapidei. Anche il secondo progetto, denominato T-POT e patrocinato dalla Regione Toscana, prevede lo studio di nuove soluzioni per l’utilizzo della pietra: la pietra che imita la ceramica, il travertino utilizzato come elemento riscaldante, l’accostamento della pietra con altri materiali, sono solo alcune delle soluzioni proposte.
All’interno della maglia sempre più vasta che si sta formando nel mondo della liticità, un nuovo input verso realtà future ci è dato da Veronica Dal Buono, giovane ricercatrice della Facoltà di Architettura di Ferrara, che propone una riflessione su un altro interessante tema: le “pietre d’artificio”. Il sottile confine fra mimesi e invenzione, fra natura e artificio; tema anche questo che risale a tempi antichi, è oggetto oggi di nuove sperimentazioni che coinvolgono in maniera particolare la ceramica a imitazione della pietra. Esistono altre forme e materiali affini, e tanti sono in corso di sperimentazione; la possibilità di lavorare attraverso la modellazione del materiale a differenza del dover “andare a levare”, rende possibile e facilita la creazione di forme e superfici inusuali, che arricchiscono il linguaggio delle “pellicole bidimensionali” sempre più utilizzato nel panorama architettonico contemporaneo. Artificialità importante per le proprie potenzialità che, nei confronti del materiale litico naturale, deve comunque contribuire ad incoraggiarne ed avvalorarne la specificità.


Varie tessiture di conglomerati polimaterici a base litica.

Creatività e produzione d’impresa: nuovi orizzonti
Organizzata secondo una sorta di tavola rotonda, l’ultima parte della giornata di studi conclude l’incontro con un vero e proprio confronto fra imprenditori del settore, tecnici e creativi, nello spirito che questo evento in particolare e questo nuovo network in generale vogliono sviluppare e portare avanti. Cristina Piersimoni, Maria Teresa Telara, Hikaru Mori, Damiano Steccanella, Palmalisa Zantedeschi e Maria Antonietta Esposito, coordinati da Davide Turrini, si confrontano raccontando esperienze, avanzando proposte, ponendo quesiti.
Da “sedicimani”, quelle di otto artisti che, nel corso di tre settimane di stretta collaborazione all’interno di un vero e proprio “cantiere d’arte”, hanno cercato di dimostrare che “se dici mani” puoi davvero riuscire a realizzare qualcosa di concreto. La fusione di pensiero, creatività e manualità ci è stata raccontata da Cristina Piersimoni che ha vissuto questa stimolante esperienza frutto della collaborazione del Comune di Rapolano, la Provincia di Siena e l’Assessorato Cultura della Regione Toscana all’insegna della cooperazione multirazziale; si è passati all’imprenditoria veronese con Palmalisa Zantedeschi che, approfittando di questo tavolo di discussione per fare una denuncia, ci parla dell’importante perdita di manualità all’interno del mondo giovanile. Quella caratteristica che ha sempre contraddistinto l’Italia diventa carente nel mondo della globalizzazione, dove troppo spesso il lavoro manuale viene abbandonato ed il manufatto artigianale diviene oggetto prezioso, a disposizione di pochi. L’esigenza quindi della ricerca di nuovi talenti naturali, ma anche la valorizzazione di magisteri e competenze tramandati. Denuncia, questa, condivisa da Maria Antonietta Esposito che propone tirocini obbligatori in azienda durante il periodo universitario evidenziando la difficoltà nel trovare la collaborazione tra mondo della formazione e mondo del lavoro.
Hikaru Mori, a capo di un importante studio di progettazione, presenta due interessanti progetti di aziende vinicole che hanno utilizzato travertino e pietra vulcanica per creare spazi ipogei atti a contenere il “magico” mondo del vino, e ci introduce ad un affascinante viaggio in compagnia di Damiano Steccanella, proveniente anche lui dal mondo della produzione. Resosi conto in prima persona dell’esigenza di un valore aggiunto al panorama produttivo, quello di un rinnovato approccio culturale, Steccanella sviluppa il suo intervento attraverso un ricco panorama di immagini: dall’Andalusia al Nord California, da San Francisco a Berlino, da Tokyo, a Lisbona e a Vicenza ci fa comprendere una volta di più la preziosa naturalità della pietra, le sue potenzialità ed i suoi infiniti utilizzi nel mondo dell’architettura.
Maria Teresa Telara, anch’essa appartenente all’universo aziendale, testimone di lunga tradizione nel mondo del marmo di Carrara, si è fatta promotrice di percorsi trasversali tra realtà produttiva, tecnologica ed artistica in un progetto – Opera Bianca – che ha dimostrato come arte ed industria si possano incontrare offrendo nuova ricchezza alle logiche di marketing della pietra naturale.
Nel chiudere il convegno, Maria Antonietta Esposito, si sofferma sul concetto di “prodotto” e pone una domanda: i prodotti di oggi cosa sono in grado di dirci? Devono riacquistare e ritrovare la loro forza narrativa attraverso le implicite qualità tecniche e la valorizzazione dell’identità del materiale utilizzato. Da qui l’evidenza di un nuovo bisogno dell’era contemporanea, quello di ritornare alle origini, alla tangibilità della materia, per il quale risposta esauriente può essere trovata nel materiale antico per eccellenza: la pietra.

Molteplici gli input di questa lunga giornata, uno il messaggio che tutti li contiene: la cultura deve divenire propulsiva di processi rinnovati e incipit per la formazione di nuove reti di scambio fra soggetti appartenenti a realtà diverse e quindi implicitamente arricchenti gli uni per gli altri. L’incontro di Rapolano ha dimostrato quali possono essere le potenzialità di un confronto di idee, esperienze, conoscenze fra enti locali, imprenditori, creativi; di come questo nuovo appello, al quale tanti sembrano interessati a rispondere, possa essere un primo passo per colmare quel vuoto fra mondo della produzione ed universi creativi che si è andato sviluppando nel corso dell’ultimo secolo.

Sara Benzi

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