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5 Maggio 2009

Appunti di viaggio

Percorsi museali inediti.
L’arte e l’architettura raccontano il fenomeno dell’immigrazione

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Esposizione Terre Natale: Ailleurs commence ici. Il dispositivo di proiezione circolare progettato da Diller Scofidio + Renfro e Mark Hansen, Laura Kurgen e Ben Rubin

Ancora a Parigi. Per le strade e nei giardini la città si risveglia dal torpore invernale; il fervore culturale, invece, sembra non essersi mai assopito. Musei, esposizioni, eventi, si susseguono e si accavallano ininterrottamente.
Le tematiche più disparate sono raccontate, esposte, recitate, proiettate e sempre più spesso l’aspetto artistico si fonde con le questioni sociali che stanno segnando l’inizio di questo terzo millennio. L’arte si rinnova ancora una volta in canale privilegiato per la denuncia e la conoscenza di dinamiche apparentemente a lei estranee.
Mi rendo conto, ad esempio, che questa città, una delle più multietniche del mondo, si sta avvicinando alle realtà dell’emigrazione e dell’immigrazione attraverso percorsi sempre più vari; fra questi, ad esempio, vi sono proprio i percorsi museali. L’analisi e lo studio di questo fenomeno si vuole rendere partecipe alla popolazione anche attraverso le sale dei musei e le forme d’arte che queste ospitano. Si vengono quindi a creare inedite commistioni di arte, denunce sociali e spazi architettonici che le accolgono.

“Terre natale. Ailleurs commence ici” è il titolo di una esposizione temporanea accolta per circa quattro mesi dalla Fondation Cartier pour l’art contemporain. Curata da Raymond Depardon (cineasta e fotografo) e Paul Virilio (urbanista e filosofo) e chiusasi il 15 marzo scorso, la mostra ha occupato alcune sale dello scrigno vitreo progettato dall’architetto Jean Nouvel nel celebre quartiere di Montparnasse. Un interessante percorso espositivo animato da video e immagini fotografiche disposte in un allestimento studiato dagli architetti Elizabeth Diller e Ricardo Scofidio, ha cercato di proporre una riflessione sul rapporto della civiltà contemporanea con la propria terra natia, dando la parola alla popolazione costretta da eventi naturali, dinamiche economiche o sociali a lasciare la propria terra, la propria lingua, la propria storia, per radicarsi in territori a lei estranei.
I flussi migratori, in un crescendo sempre più considerevole, tendono oggi a sradicare l’uomo dalle proprie origini creando la moderna civiltà del “melting pot” che, se da un lato è il risultato di una “snaturalizzazione” dell’individuo, dall’altro arricchisce la realtà contemporanea di nuove potenzialità culturali.

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La collezione permanente della Cité Nationale de l’Histoire de l’Immigration

La transitorietà della mostra proposta dalla Fondation Cartier lascia spazio al nuovo museo permanente ospitato presso il Palais de la Porte Dorée: la Cité Nationale de l’Histoire de l’Immigration.
Aperto il 10 ottobre 2007, il museo vuole conservare e far conoscere documenti storici, artistici e culturali legati al fenomeno dell’immigrazione in Francia, dall’inizio del XIX secolo a oggi. Vuole proporre un nuovo sguardo sulla storia di questo paese, profondamente segnato dalla propria natura colonizzatrice e divenuto, conseguentemente, terra ospitante popoli ed etnie straniere partecipi, loro stessi, allo sviluppo economico, sociale e culturale della nazione.
Allestita secondo la moderna concezione di “museo audio-visuale”, questa collezione occupa le sale del secondo piano dell’unico edificio superstite dell’Exposition Coloniale allestita al Bois de Vincennes nel 19311. Storia e contemporaneità convivono in un edificio ormai divenuto patrimonio nazionale, lui stesso simbolo del concetto di “immigrazione” e testimonianza di un momento storico-artistico sempre meno rintracciabile nell’architettura parigina.

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Palais de la Porte Dorée, la facciata principale

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È interessante analizzarne brevemente l’aspetto architettonico, arricchito dalla recente ristrutturazione curata dallo studio di architettura Construire, di Patrick Bouchain e Loïe Julienne.
L’edificio, costruito tra il 1928 e il 1931 su progetto dell’architetto francese Albert Laprade, è un parallelepipedo regolare e simmetrico formato da un’originale commistione di materiali fra i quali cemento armato, pietre di diversa origine francese e legno africano.
L’art déco degli anni Venti, in dialogo con un accentuato esotismo, caratterizza un’opera la cui organizzazione distributiva riprende quella del palazzo marocchino, rappresentato da una grande “piazza” pubblica centrale circondata da gallerie e dedicata, in questo caso, alle cerimonie ufficiali.
Una scala monumentale e una teoria di pilastri in granito Forez sormontati da capitelli stilizzati, introducono a un lungo nartece che si sviluppa lungo tutta la facciata meridionale del palazzo.
Al carattere severo del volume, l’edificio contrappone la ricchezza delle decorazioni di superficie. La facciata principale e parte di quelle laterali sono rivestite da pannelli in pietra di Poitou scolpiti a bassorilievo dall’artista Alfred Auguste Janniot2. La pietra si plasma in cortina continua animata da una successione di scene concepite con l’intento di esaltare l’opera civilizzatrice dell’Impero francese nei paesi colonizzati. I pannelli lapidei si animano di figure animali e vegetali, di uomini e donne al lavoro, simbolo delle colonie africane e di quelle asiatiche, dei paesi dell’Oceania e dell’America che lasciano spazio, al di sopra del portale d’ingresso, ad una Francia rappresentata dall’allegoria dell’abbondanza3.

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I bassorilievi in pietra di Poitou della facciata principale

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All’interno, la hall introduce direttamente alla grande sala centrale, oggi chiamata forum; simmetricamente rispetto alla sua entrata, due scalinate portano ai piani superiori di accesso alle gallerie e alle sale espositive, di lavoro e di studio4.
Se all’esterno questa opera di architettura ci stupisce grazie alla sua monumentalità e originalità decorativa, all’interno mosaici e affreschi ci circondano di luce, colori e ricchezza figurativa.
Il forum è coperto da un luminoso soffitto a gradoni e ospita al suolo mosaici lapidei multicolori accompagnati da una moderna installazione lignea bivalente, che permette di alternare a un’ampia superficie pavimentale in parquet di diverse essenze, nicchie incassate nel pavimento e ospitanti doppie sedute poste frontalmente. Le sue pareti sono interamente rivestite da 600 m2 di affreschi realizzati da Pierre Ducos de la Haille con l’intento di mostrare nuovamente l’apporto morale e politico dello stato francese ai paesi colonizzati.
L’opera di Laprade, Janniot e Ducos de la Haille si rivela ai visitatori come il risultato di un’interessante commistione fra le diverse forme d’arte, una testimonianza di un preciso momento storico e artistico che ha saputo trasformarsi in luogo di conoscenza di un fenomeno tanto ricco di passato quanto di attualità e potenzialità future. Vi si riconosce una capacità di rivalorizzare quei monumenti storici rimasti in secondo piano, che permette a questa città di potenziare al massimo il proprio patrimonio culturale attraverso nuovi percorsi di conoscenza, che vogliono tentare di analizzare e raccontare quelle dinamiche socio-culturali che stanno caratterizzando la nostra epoca.

di Sara Benzi

(Vai al sito della Fondation Cartier pour l’art contemporain)
(vai al sito della Cité Nationale de l’Histoire de l’Immigration)

Note
1 Al suo interno si sono susseguiti una serie di musei etnologici: il Musée permanent des Colonies si è trasformato, nel 1935, in Musée de la France d’Outre-mer, nel 1960 in Musée des Arts africains et océoniens e nel 1990 in Musée national des Arts d’Afrique et d’Océanie, la cui collezione, nel 2003, è conferita nel Musée du quai Branly, lasciando spazio all’attuale Cité nationale de l’histoire de l’immigration.
2 Solamente la facciata settentrionale dell’edificio, lasciata incompleta dall’opera di Laprade, è stata completata nel 1003 grazie all’opera degli architetti Bouchain e Julienne. La facciata, che dona su un giardino alberato, è oggi caratterizzata da una serie di piattaforme lignee poggiate su tronchi di pino alti 16 metri ciascuno, al quale poggiane le scale di soccorso.
3 Vera e propria “tappezzeria di pietra” di 1130 m2 di superficie, questo immenso bassorilievo è stato realizzato nel corso di due anni dallo scultore francese Janniot e da circa venti aiutanti. Le fasi di lavorazione hanno visto una prima modellazione in creta seguita dal successivo ingrandimento e taglio nella pietra.
4 Il 30 marzo 2009, la Cité National de l’Immigration ha inaugurato e aperto la Médiathèque Abdelmalek Sayad, specializzata nella storia, la memoria e le culture dell’immigrazione in Francia dal XIX secolo ai nostri giorni.

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