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14 Luglio 2014

Pietre d`Italia

Trachite euganea


Dettaglio di una lastra di Trachite Euganea

Origine geologica e caratteristiche petrografiche
La trattazione della Trachite Euganea e del suo impiego non può prescindere dalla comprensione della sua orogenesi.
Innumerevoli studi succedutisi nel corso dei secoli sono sfociati, nella prima metà del Novecento, nella tesi universalmente accettata secondo la quale nel corso dell’Oligocene, 35 milioni di anni fa, il magma trachitico in risalita sarebbe riuscito ad infiltrarsi, in ambiente sottomarino, fra gli strati di roccia sedimentaria sollevandoli e dando così origine ai Colli Euganei, luogo di estrazione della trachite nell’attuale provincia di Padova. La fase eruttiva dell’Oligocene inferiore è caratterizzata da una successione complessa di magmi di vario tipo, a partire dai termini più ricchi in silice, rioliti e trachiti alcaline, alle latiti, con tenori di silice più bassi, fino ai basalti. Restando imprigionato fra gli strati sedimentari il magma si sarebbe raffreddato in tempi lunghi, permettendo così una cristallizzazione molto marcata.
Dall’orogenesi dei Colli Euganei si può quindi comprendere la natura della trachite, che viene classificata come appartenente alla famiglia delle rocce vulcaniche effusive mesosiliciche, ovvero le rocce formatesi dalla risalita del magma fuso e dal successivo raffreddamento e cristallizzazione. I litotipi appartenenti a questa famiglia sono caratterizzati da una struttura porfirica in cui i cristalli sono immersi in una pasta lavica.
In particolare la trachite euganea si presenta macroscopicamente come una massa di fondo grigia nella quale risaltano occhi tondeggianti di feldspati e cristalli scuri di mica di dimensioni relativamente grandi, conseguenza del lento raffreddamento. La trachite inoltre è costituita prevalentemente da silicati di potassio, silicati di sodio, calcio e ferro magnesio.
Il colore è generalmente grigio, ma può passare al giallo aranciato e giallo bruno qualora la roccia abbia subito processi idrotermali non degenerativi che hanno determinato la deposizione di ossidi idrati di ferro.


Blocco bagnato di trachite. In evidenza la texture cromatica del materiale

Un carattere peculiare di questa pietra si può ritrovare anche nel suo nome: trachite infatti proviene dal latino trachys che significa ruvido. Sebbene infatti la superficie possa essere lavorata e trattata in modi differenti, la caratteristica della trachite è quella di avere una superficie ruvida. Questa può comunque essere lucidata e lisciata facendone risaltare la texture in modo più evidente e pulito, oppure può essere bocciardata per aumentarne la ruvidità e quindi l’attrito superficiale; quest’ultimo trattamento, tuttavia, ne nasconde in parte le qualità estetiche.

Caratteristiche fisiche e meccaniche
Le caratteristiche meccaniche della trachite sono ottime e paragonabili a quelle dei migliori graniti.

In ambito fisico riscontriamo un elevato coefficiente d’aderenza e un’ottima resistenza agli agenti atmosferici; inoltre, la natura cristallina le conferisce quel grado di porosità atto a drenare e assorbire l’umidità che si deposita in superficie. Tale litotipo, infine, si caratterizza per un ottimo compromesso fra resistenza e lavorabilità, fra durata e fruibilità.
La prova più evidente delle sue proprietà è data dal comportamento osservabile durante i periodi di acqua alta a Venezia, dove la trachite che pavimenta la piazza e le strade della città resiste bene alle avverse condizioni di freddo e umidità.

Siti e tecniche di estrazione
Nei Colli Euganei si trovano attualmente sei cave di trachite attive, situate nel bacino estrattivo di Zovon di Vò. Il dimezzamento delle cave, avvenuto a causa dell’entrata in vigore della Legge n. 1097 del 1971 per la tutela delle bellezze naturali dei Colli Euganei, è stato accompagnato dalla diminuzione della quantità di materiale da poter estrarre, volta al recupero ambientale delle aree coinvolte.
La trachite si estrae ponendo cariche esplosive in specifici punti della colonna trachitica, in modo da produrre meno danno possibile ai blocchi sfruttando la naturale tendenza di questa pietra a frammentarsi in grossi massi a sezione quadrilatera, che si presentano generalmente giallognoli nella parte esterna e grigi nel cuore interno.
Successivamente a questa prima fase i massi vengono sezionati, solitamente in loco, attraverso dei grandi dischi rotanti oppure con mezzi più artigianali come la puntellatura, ovvero l’inserimento di grossi pioli d’acciaio lungo una retta d’azione che porterà allo spacco netto del blocco. Tali lavorazioni risultano utili al conseguente trasporto dei blocchi nelle fabbriche, dove l’ulteriore lavorazione condurrà al prodotto finito.

Processi di lavorazione
Una volta trasportati i blocchi in laboratorio, questi vengono ridotti alle forme e dimensioni volute tramite seghe a disco di minor dimensione e seghe a filo diamantato, macchinari che, oggi, hanno ormai soppiantato i vecchi telai, molto più lenti, utilizzati anche per il taglio del granito e dotati di lame di metallo dal movimento pendolare che tagliavano per sfregamento grazie all’utilizzo della graniglia (miscela abrasiva composta generalmente da acqua e una miscela di calce e graniglia metallica come elemento abrasivo).


Taglio della trachite

Le lastre vengono rifilate con macchine a taglio a controllo numerico dotate di dischi diamantati che vanno a formare lastre lapidee di spessori diversi (mediamente da 2 a 10 cm), scelti secondo l’impiego per cui sono destinate: dalle pavimentazioni di piazze, ai rivestimenti interni ed esterni di scale, davanzali, caminetti, fino ai vari elementi necessari per l’edilizia di pregio.
Tra i trattamenti superficiali che possono essere applicati, i più importanti sono la lucidatura e la bocciardatura. Quest’ultima, nel caso di oggetti dalla forma tridimensionale, non può essere fatta altro che a mano da operai specializzati, tanto che è sempre stata considerata una lavorazione piuttosto costosa. Tuttavia, nel caso di lastre bidimensionali, la bocciardatura è ormai una lavorazione automatizzata. Anche il trattamento di lucidatura è frutto di un compromesso, in quanto sebbene vi sia un’apposita macchina che permette di automatizzare il processo, la rifinitura del pezzo è un’operazione strettamente manuale svolta anche in questo caso da operaio qualificati.

Tutti queste lavorazioni, unite alla duplice varietà di trachite disponibile (ovvero la trachite gialla e quella grigia) consente di creare numerose varianti sia cromatiche che tattili/superficiali.
È importante sottolineare, infine, che anche per questo tipo di pietra gli scarti delle lavorazioni vengono raccolti e riutilizzati come elementi costruttivi, se le dimensioni lo consentono, oppure vengono triturati e utilizzati come materiale inerte.

Applicazioni nel contesto urbano
Fin dall’epoca romana, grazie alle sue caratteristiche di non scivolosità, durezza e resistenza agli agenti atmosferici, la trachite è stata prevalentemente utilizzata per lastricati stradali, marciapiedi e bordature degli stessi. In tempi più recenti, le sue caratteristiche cromatiche e la possibilità di tagliare i blocchi in lastre sottili facilmente lucidabili, hanno tuttavia permesso di adattare tale pietra anche ad elementi di rivestimento e decorazione, sia per esterni che per interni architettonici (scale e pavimenti).
Importanti architetti della scena internazionale come Santiago Calatrava e Mario Botta hanno reso la Trachite Euganea protagonista di alcuni loro interessanti progetti realizzati in area veneta.
A Venezia, fra piazzale Roma e la stazione ferroviaria Venezia Santa Lucia, il Canal Grande è attraversato dal Ponte della Costituzione di Calatrava, costruito nel 2008. La parte strutturale arcuata, che copre una campata lunga 81 metri, è realizzata completamente in acciaio ed è rivestita, nella parte della scalinata, da vetro posto in dialogo con elementi di trachite grigia classica di Montemerlo, in armonia con la pavimentazione delle aree antistanti.


Santiago Calatrava, Ponte della Costituzione a Venezia, 2008

Nello stesso anno Mario Botta progetta e realizza, a Monselice, la Fontana San Paolo presso la Chiesa omonima. L’impianto monumentale a forma quadrangolare ha un perimetro costituito da muri inclinati, a piramide rovesciata, mossi da gradini che scendono verso la vasca. La parte centrale è occupata da un elemento di forma rotonda, con sedute perimetrali destinate alla sosta e poste all’ombra delle fronde di un ulivo, collegato con l’esterno da una passerella che attraversa la vasca da parte a parte. La pietra utilizzata è la trachite, della quale sono state sfruttate a pieno le caratteristiche di inerzia chimica ed antigelività, che permette di sottoporla a condizioni di estrema umidità senza che questa subisca alterazioni rilevanti, sebbene comunque l’intera struttura debba essere impermeabilizzata per evitare il drenaggio dell’acqua.

Lo studio della tessitura dei “masegni”, i caratteristici blocchi rettangolari che costruiscono la pavimentazione veneziana, hanno infine portato, nel 2011, al progetto “Barena”, dei designer Pio e Tito Toso.
L’idea alla base del progetto è quella di reinterpretare la tipica scansione rettangolare come motivo per muovere questa materia nelle tre dimensioni creando funzioni di arredo urbano: una sorta di tappeto tridimensionale attrezzato.
Sulla base di questo concetto sono state disegnate sedute, fontane, elementi illuminanti, fioriere, cestini per la raccolta dei rifiuti, caditoie e pozzetti d’ispezione.


Pio e Tito Toso, Progetto Barena, 2011

Una pietra, quindi, come dimostrano questi tre esempi, che riesce a esprimere al meglio le proprie potenzialità negli spazi esterni senza fuggire al contatto con l’acqua, alla cui usura, anzi, resiste nel migliore dei modi riuscendo a dialogarvi creando interessanti connubi tra fluidità liquida e rigidità lapidea.

a cura di Sara Benzi

Note
Questo post è frutto del lavoro di ricerca svolto dagli studenti G.L. Silvestrini, M. Trentin, N. Malachin, M. Verza nell’ambito del Laboratorio di Product Design I del Corso di Laurea in Design del Prodotto Industriale di Ferrara, A.A. 2012-2013

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