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18 Maggio 2015

Opere di Architettura

Rosso India in una verde Berlino


L’Ambasciata della Repubblica dell’India su Tiergartenstraße a Berlino. (Photo Erika Pisa)

Da Adenauer Allee 262-264, nella città di Bonn, al Tiergartenstraße 16/17 di Berlino. Gli uffici per il Ministero degli Esteri d’India trovano oggi il loro posto a seguito della decisione presa il 20 giugno 1991, data in cui il ruolo di capitale tedesca passava dal provvisorio centro nella Renania settentrionale a quello simbolo della nuova liberazione situato più ad est.
Inizialmente, le funzioni amministrative riguardanti gli Affari Esteri furono collocate nel distretto di Pankow, rivelatosi poi troppo distante dal centro amministrativo e poco consono rispetto al contesto in cui desideravano risiedere i delegati. Gli emblemi diventano richiesta fondamentale per una committenza, che deve espletare funzioni di rappresentanza, e l’icona reclama la sua influenza attraverso le immagini.
L’esercizio del potere svolge le sue attività regolando i rapporti attraverso molti organi, che in quest’area si concentrano lungo un percorso sull’asse urbano ovest-est. Molte delle nazioni rappresentate nel Paese tedesco hanno previsto un edificio che risolvesse le questioni legate agli impegni interterritoriali in questa zona.


A sinistra l’Ambasciata della Repubblica dell’India; a destra l’Ambasciata del Sudafrica. (Photo Erika Pisa)

Le diverse ambasciate presenti, per la loro progettazione, hanno portato nella capitale architetti connazionali con lo scopo di riuscire a figurare lo spirito della nazione di appartenenza, per meglio chiudere il processo di corrispondenza all’estero, pur mantenendo la propria identità.
La Repubblica dell’India, contrariamente alle prassi d’incarico effettuate da altri uffici amministrativi, ha evitato di indicare specifici progettisti di bandiera, lasciando il posto ad uno studio d’architettura di Berlino selezionato tramite un concorso pubblico, Léon Wohlhage Wernik.
La competizione del 1998, istituita dallo Stato indiano a seguito dell’acquisizione dell’area avvenuta nel 1996, definì la volontà di tradurre la propria immagine in un’architettura capace di rendersi rispettosa della tradizione, ripercorrendo un rituale di contestualizzazione compositiva dei simboli da ospitare in osservanza del Paese ospitante.
L’origine dei contrasti di luce e ombre in facciata, che rendono più ruvida la stereotomia, deriva dalla natura morfologica del materiale lavorato e montato privilegiando le superfici di rottura irregolari. Così la pietra séguita nella sua prevalente attitudine, costruendo ogni volta una definizione emozionale degli spazi che caratterizza.


Particolare dell’accesso dell’Ambasciata indiana. (Photo Erika Pisa)

È un contatto serrato con i colori vivi di un’India restituita come in una foto di viaggio, poggiata tra i grossi oggetti d’architettura ordinati lungo il Tiergartenstraße. Un frammento, caldo e vistoso, che non rinuncia ai suoi materiali, primi ambasciatori di una terra. La pietra notevolmente increspata individua la provenienza dell’arenaria Barauli utilizzata in facciata, le cave rosse di Jaipur nel desertico Rajasthan, a nord-ovest dell’India. La richiesta di questo materiale deriva da una pratica consolidata nei secoli dalla storia indiana, infatti i cosiddetti “Palazzi di Segreteria” e altre opere più antiche hanno trovato in questa arenaria l’identità della loro cultura.


Atrio cilindrico d’entrata dell’Ambasciata indiana. (Photo Erika Pisa)

Esternamente, la mole sembra essersi sviluppata da un unico solido scavato fin dove i suoi confini si sono arricchiti di prospettive, fatte per essere svelate attraverso i dettagli e le corti interne, che illuminano, dal centro, gli ambienti degli uffici circostanti.
L’ingombro totale del volume, circa 40 metri sul fronte strada per 80 metri di profondità, coincide quasi interamente con il perimetro della proprietà, sviluppando solo internamente un sistema di spazi articolato relativo alle funzioni e ai flussi degli uffici.
Il lotto sviluppa approssimativamente una superficie di 3500 m, costituendo, tra gli altri organi istituzionali e le varie delegazioni statali, un brano di città immobile e taciturno all’ombra dei grandi centri, più popolati e turisticamente attrattivi.


Il blocco dell’Ambasciata indiana visto da Tiergartenstraße. (Photo Erika Pisa)

Il taglio e il disegno dei conci descrivono tecniche costruttive diverse, messe in atto in base alla quota del prospetto cui si riferisce.
Lastre in pietra staffate al muro retrostante rivestono la base dell’edificio, con spessori che collaborano alla stabilità degli elementi che risultano essere autoportanti.
In altre parti dell’involucro, pannelli assemblati fuori opera assestano il materiale lapideo ancorandolo al cemento in altezza. Le metodologie utilizzate hanno reso possibile la costituzione di un oggetto intagliato per dare spazio al complesso organismo fatto di sequenze spaziali introdotte da un atrio d’entrata cilindrico. Gli antri e le corti che compongono l’usuale città indiana si ritrovano nella concezione secondo cui l’interno è difficilmente visibile dall’esterno.


Particolare del paramento murario in facciata. (Photo Erika Pisa)

Gli accessi e le percorrenze avvengono attraverso sale ornate da Jali lavorate in Barauli in moduli di 1×2 m, tipiche chiusure scolpite, che all’occorrenza sviluppano ampi movimenti rotatori.
Disporre dei materiali del Paese d’origine non è sempre facile, ma i committenti in tal caso erano fortemente interessati al loro impiego, riuscendo per questo ad ottenere finiture realizzate con i differenti calcari e le varie arenarie provenienti dalle cave indiane, dal calcare verde del Kotah e il granito nero del Jhansi, entrambi lucidi, al calcare nero Kaddakappa delle piccole piazze poste tra i camminamenti.


A sinistra la giuntura d’angolo dell’involucro; a destra vista laterale dell’Ambasciata. (Photo Erika Pisa)

La massa e la geometria scrivono le regole della percezione, disegnando in casi analoghi a questo definizioni per una tipologia riconducibile ad un’architettura di rappresentanza.
Se i materiali, però, non aiutassero a raccontare di terre e storie altre, si peccherebbe di retorica e quando questi sono considerati i veri responsabili del senso del progetto, si caricano di un compito da assolvere, che nel caso dell’Ambasciata diventa rappresentare la solidità della propria diplomazia, dalle vesti in pietra.


Vista aerea del contesto. (Google Map) Clicca per ingrandire l’immagine

di Nicola Violano

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