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21 Maggio 2009

Design litico

I Marmi del Doge. Design e ospitalità

doge

I fasti e lo splendore della Serenissima faranno da sfondo alla mostra-evento I Marmi del Doge che sarà proposta in anteprima a Verona all’interno di Abitare il Tempo e Marmomacc. La mostra, promossa dal Consorzio Marmisti Chiampo, coinvolgerà autorevoli studiosi nel campo storico, scultoreo-architettonico e dei materiali lapidei antichi, e, sulla base di un’attenta ricerca sull’impiego del materiale “marmo” da parte della Serenissima Repubblica, proporrà nuovi spunti di design dedicati all’ospitalità contemporanea.
Palazzo Ducale che si specchia sulle acque della laguna veneziana, Palazzo Ducale e i giochi di luce che filtrano attraverso le traforature della facciata … la duttilità dell’elemento naturale marmo, tornato prepotentemente alla ribalta del design internazionale, si cimenta e confronta con la storia e la sua traduzione in chiave attuale. Forme sapientemente modellate dall’abilità di alcune aziende del Consorzio Marmisti Chiampo nella lavorazione dei lapidei che esprimono le enormi (e spesso sconosciute) potenzialità del design litico e il grado di sofisticata tecnologia raggiunta dalle imprese.
Interpretazioni inedite e sviluppi tridimensionali di forme tradotte dagli antichi palazzi della Venezia del trecento si susseguiranno in uno spazio di 250 mq articolato in quattro ambienti dedicati all’hotellerie (contract): reception, lounge, camere e SPA. I Marmi del Doge è una mostra-evento che accoglie il meglio del panorama del mercato del design litico, uno stimolo creativo e un momento di confronto professionale per gestori d’hotel, consulenti e progettisti, imprenditori, professionisti e addetti ai lavori ma anche un importante appuntamento culturale per chi vuole approfondire affascinanti lati sconosciuti di una delle pietre miliari del patrimonio storico-culturale italiano. Il percorso e il fil rouge della mostra sarà testimoniato da un catalogo comprendente i saggi di ricerca, i progetti e le immagini delle realizzazioni lapidee.

Credits
Cura e design: Raffaello Galiotto
Realizzazione: Athena, Decormarmi, Ferrari Marmi e Graniti, F.lli Adami, Italmarmi Group, La Perla, Lithos Design, Marmi e Graniti Farinon, Marmi Serafini, Pibamarmi, Sicc, Vicentina Marmi
Progetto dell’allestimento: VISTO Architectural Workshop
Coordinamento generale: Consorzio Marmisti Chiampo

Vai a:
Consorzio Marmisti Chiampo
Raffaello Galiotto Design

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20 Maggio 2009

Eventi

“PREMIO INTERNAZIONALE ARCHITETTURA SOSTENIBILE” FASSA BORTOLO
VI edizione 2009

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Giuria del Premio
Jury of the Prize

Thomas Herzog
Presidente / Chairperson
Françoise Hélène Jourda
Michael Hopkins
Nicola Marzot
Gianluca Minguzzi
Segretario / Secretary

Si svolgerà a Ferrara il 27 Maggio p.v. la Cerimonia di Premiazione della sesta edizione del “Premio Internazionale Architettura Sostenibile”, concorso nato nell’ambito dell’importante manifestazione internazionale del decennale di fondazione della Facoltà di Architettura di Ferrara, svoltasi nel 2003.
Ideato e promosso dalla Facoltà stessa con il sostegno economico dell’azienda Fassa Bortolo, il Premio intende promuovere architetture che sappiano rapportarsi in maniera equilibrata con l’ambiente, che siano pensate per le necessità dell’uomo e che siano capaci di soddisfare i bisogni delle nostre generazioni senza limitare, con il consumo indiscriminato di risorse e l’inquinamento prodotto, quello delle generazioni future.
La Cerimonia si svolgerà presso Palazzo Tassoni, antico prestigioso edificio appena restaurato, che costituisce l’ultimo ampliamento del complesso architettonico che ospita la Facoltà di Architettura di Ferrara.

PROGRAMMA DELLA CERIMONIA DI PREMIAZIONE
Palazzo Tassoni,
via della Ghiara 36,
Ferrara

ore 15.00 SALUTO DI BENVENUTO
Graziano Trippa, Preside della Facoltà di Architettura di Ferrara
Paolo Fassa, Presidente Fassa Bortolo
Riccardo Orlandi, Presidente Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Ferrara
Alessandro Marata, Presidente Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Bologna

ore 15.30 PREMIAZIONE E PRESENTAZIONE DELLA SETTIMA EDIZIONE DEL PREMIO
Marcello Balzani, Direttore del DIAPReM, Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara

ore 16.00 PRESENTAZIONE PROGETTI VINCITORI E PROGETTI MENZIONATI
Thomas Herzog, Presidente Giuria Premio Internazionale Architettura Sostenibile
Motivazioni delle scelte di giuria e conferimento dei premi

OPERE REALIZZATE
Vincitore:
26 VPO, residenze sociali ad Umbrete – Progetto Solinas-Verd Arquitectos – Siviglia (Spagna)

Menzioni speciali:
Elm Park Mixed-Use Development – Progetto Bucholz McEvoy Architects – Dublino (Irlanda)
Città dell’altra economia all’ex mattatoio di Testaccio – Progetto Luciano Cupelloni Architettura – Roma (Italia)
Elemental Iquique, Expanded House – Progetto Elemental – Santiago (Cile)
High school building in Dano, Burkina Faso – Progetto Kere Architecture – Berlino (Germania)
Padiglione Spagnolo all’Expo di Saragozza – Progetto Mangado & Asociados – Pamplona (Spagna)

TESI DI LAUREA
Menzioni speciali:
S_M_L Edificio residenziale in Malaysia – Progetto Andrea Brivio, Davide Conti, Fabio Galli
Politecnico di Milano Facoltà di Ingegneria Edile-Architettura, Polo Regionale di Lecco
Relatore Ettore Zambelli – Correlatore Filippo Pagliani

Live in Paris: progetto di edificio residenziale ad alta densità – Progetto Valentino Lucchini, Thomas Lepore, Nicola Losi
Politecnico di Milano Facoltà di Architettura Milano Leonardo, Sede di Mantova
Relatore Vittorio Longheu

Innovazione ambientale degli spazi per la cultura: nuovi requisiti prestazionali di ecosostenibilità per biblioteche
Progetto Letizia Martinelli – Università La Sapienza di Roma, Facoltà di Architettura
Relatore Salvatore Dierna – Correlatore Alessandra Battisti

Complesso scolastico nel villaggio di May-Habar, Eritrea – Progetto Roberto Pennacchio
Università degli Studi di Napoli Federico II, Facoltà di Architettura
Relatore Donatella Mazzoleni – Correlatore Mario Losasso

ore 18.45 CONCLUSIONI. Seguirà rinfresco a buffet

La cerimonia di Premiazione sarà preceduta in mattinata, alle ore 10:30, da una conferenza di Sir Michael Hopkins, sempre presso palazzo Tassoni.

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18 Maggio 2009

Opere di Architettura

Jürg Conzett, Pùnt da Saransuns,
Viamala, Cantone dei Grigioni, Svizzera (1997-1999)

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Saransuns (Foto: Stefano Zerbi)

«Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.
– Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede Kublai Kan.
– Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, – risponde Marco, – ma dalla linea dell’arco che esse formano.
Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: – Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che m’importa.
Polo risponde: – Senza pietre non c’è arco».1

Il percorrere le “vie della pietra” mi ha portato al Pùnt da Saransuns nella Viamala. L’esperienza, unica, dell’attraversarlo e del fermarsi a studiarlo è stata lo spunto per approfondire la conoscenza tecnica di quest’opera di ingegneria quasi invisibile a chi no decida di scendere nelle scoscese gole del Hinterrhein.
Questa è inoltre l’occasione di proseguire una riflessione sulle soluzioni adottate per la realizzazione di strutture orizzontali in pietra naturale iniziata con gli elementi precompressi sviluppati dalla ditta Ongaro di Cresciano nel Canton Ticino (http://www.architetturadipietra.it/wp/?p=1694). Soluzioni costruttive semplici e sviluppate nel rispetto delle caratteristiche del materiale lapideo.

Via Spluga-Viamala-Via Traversina
La Via Spluga è un percorso escursionistico di 65 km che collega la città di Chiavenna, in provincia di Sondrio, a Thusis, nel Cantone dei Grigioni. Quest’itinerario ripercorre l’antica strada del passo dello Spluga, importante asse di collegamento tra la Pianura Padana e i Grigioni sin dall’Antichità e che in epoca romana collegava Milano a Coira, capitale della Rezia. Risale probabilmente a quest’epoca il toponimo “Via Mala” che identifica una parte del percorso tra St. Albin e Zillis caratterizzato dalle profonde e scoscese gole del Hinterrhein (Reno posteriore). In effetti esso costituiva la parte di più difficile attraversamento dell’intero percorso e fu aperta alla soma solo nel XV secolo. Oggi la “Via Traversina”, un percorso pedestre di 11.5 km, rinnova quest’esperienza unica di scoperta delle gole della Viamala e dell’attraversamento del fiume Reno grazie a due passerelle, entrambe realizzate dallo studio di ingegneria Conzett, Bronzini, Gartmann di Coira.
La prima passarella, la Veia Traversina, fu realizzata nel 1996 e distrutta da una frana nel 1999. Essa è stata sostituita da una seconda passarella sospesa in legno, costruita a monte della precedente, nel 2005.
Il secondo attraversamento, dopo le gole della Viamala in direzione di Zillis, è frutto di un concorso di idee indetto dall’Associazione Kulturraum Viamala nell’autunno del 1997.

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La passerella permette l’attraversamento delle strette gole della Viamala (Foto: Stefano Zerbi)

Pùnt da Saransuns
L’ubicazione scelta per il ponte, all’interno del perimetro di concorso, ne facilita l’accesso da entrambi i versanti della gola, ciò coincide però con una distanza d’attraversamento di 40 m. Inoltre le due spalle hanno una differenza d’altezza di 4 m. Questi i dati geometrici che hanno determinato la scelta di una passerella a nastro tesa fra due punti, il tipo di struttura più adatto a questa situazione particolare. La seconda idea di progetto, dettata invece da un’analisi territoriale, è stata quella di realizzare un ponte in pietra in sintonia con i manufatti circostanti e in contrasto con la struttura lignea della Veia Traversina. L’ingegnere Jürg Conzett, responsabile del progetto, identificata due tradizioni costruttive attraverso l’utilizzo dei materiali: a nord, la Veia Traversina, in legno, e a sud, il Pùnt da Saransuns, in pietra.
L’apparente contraddizione tra un ponte a nastro sospeso e la sua realizzazione in pietra naturale è smentita da Jürg Conzett attraverso argomenti oggettivi, ovvero l’analisi strutturale e il riferimento storico.
In effetti una struttura tesa fra due punti, idealmente assimilabile ad un cavo, assume naturalmente un profilo parabolico rovesciato. Essa è stabile fin tanto che delle forze esterne non agiscano su di essa: nel caso di una passerella pedonale, le vibrazioni prodotte dall’attraversamento e il vento. Per stabilizzare la struttura tesa è dunque necessario ricorrere ad un appesantimento; ecco quindi farsi strada l’idea di utilizzare un materiale locale pesante come il gneiss. La struttura tesa formata dai nastri d’acciaio e dagli elementi litici si comporta, nell’insieme, come un cavo teso fra due punti e, in ogni suo punto, come una trave capace di stabilizzarsi. Lo studio di un precedente storico, come affermato dallo stesso Jürg Conzett, è al servizio del progetto poiché esso permette di «aumentare il numero delle soluzioni possibili»2. In questo caso esso è un progetto non realizzato, risalente al 1954, dell’ingegnere Heinz Hossdorf per un nuovo Ponte del Diavolo nelle gole della Schöllenen nel versante nord del massiccio del San Gottardo. La proposta di Hossdorf, scartata dalla giuria di concorso, consisteva nel realizzare un ponte in granito precompresso lungo 73,5 metri. Per difendere la sua proposta egli scrisse: «… un ponte in granito precompresso. Ad un primo sguardo il solo pensiero può apparire mostruoso … ma forse ciò non fu mai proposto solo a causa della sua onestà… Sì, che cos’è un arco secondo la sua ragione statica se non una trave precompressa dal suo peso?»3 Hossdorf fornisce anche delle spiegazioni tecniche circa i vantaggi di una struttura precompressa in pietra naturale: «In aggiunta, la struttura portante in granito apparecchiato precompresso ha ancora alcune qualità in più rispetto al calcestruzzo precompresso. I fattori di calcolo incerti dei sistemi precompressi in calcestruzzo, cioè il ritiro e lo scivolamento, sono, in pratica, completamente soppressi».4 Ecco dunque delinearsi la soluzione definitiva: una passerella sospesa, formata da nastri d’acciaio e lastre in gneiss, precompressa per garantirne un’elevata stabilità.

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Dettagli (foto: Stefano Zerbi)

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Lo sviluppo esecutivo del progetto avviene con chiarezza e nel rispetto dell’idea strutturale. Ogni elemento è ridotto all’essenziale, ciò al fine di limitare la quantità di materiale da trasportare nella forra e evitare una messa in opera complicata. La forma rende intelligibile la funzione di ogni parte rispetto all’insieme e alle sequenze costruttive. Il montaggio degli elementi è stato eseguito a secco.
Fondazioni e spalle sono risolte con un solo elemento in calcestruzzo armato gettato in opera e ancorato alle pareti rocciose. Gli ancoraggi hanno dimensioni tali da permettere la successiva post tensione dell’intera passerella. Due lame in acciaio inossidabile di 20x250x700 mm, fra le quali saranno fissati i nastri, sono introdotte nel getto cementizio. Due piastre, sempre in acciaio, sulle quali saranno fissati i martinetti idraulici, sono incorporate nella spalla più bassa.
Due nastri, formati ciascuno da due piattine in acciaio inossidabile di 15×60 mm saldate alle estremità, sono trasportati tramite elicottero e messi così in opera tra le lame in acciaio delle spalle. All’estremità inferiore dei nastri sono saldati due occhielli che permetteranno la trazione dei martinetti. Verso le spalle i nastri strutturali, che si trovano a contatto con le lastre di pietra, sono stati rinforzati tramite l’aggiunta di quattro altri nastri in acciaio. La forma che ne risulta ricorda i vecchi ammortizzatori a balestre e in effetti la funzione è quella di riprendere gli sforzi di flessione della struttura.
Per le lastre che formeranno l’impalcato del ponte è scelto il locale gneiss di Andeer. Un ortogneiss a due miche, ricco in Phengite, una mica argillosa che ne determina il caratteristico colore verde. L’elevata resistenza alla compressione lo rende un materiale perfetto per una struttura post tesa: ne deriva uno spessore di soli 6 cm. Ogni lastra di 110×25 cm, fiammata sul lato di calpestio, è forata alle estremità per permetterne la fissazione ai nastri in acciaio che avviene attraverso un montante in acciaio di diametro 16 mm passante tra le due piattine e una piastrina. Esso costituisce anche il parapetto della passerella e la fissazione tramite bullone permette lo scorrimento della lastra per la messa in opera. Il giunto tra le lastre in pietra naturale, normalmente realizzato con la malta, è in questa situazione irrealizzabile sia per i problemi di messa in opera sia per la durevolezza di una tale soluzione in ambiente fluviale. In accordo con la tecnica della costruzione a secco, si è fatto ricorso a piattine in alluminio di 3 mm di spessore, materiale più duttile dell’acciaio, che garantiscono la trasmissione delle forze tra gli elementi e il loro movimento differenziale.
Partendo quindi dalla spalla a valle, si è preceduto alla messa in opera delle lastre e delle piattine di giunzione.
Una volta l’impalcato terminato, la struttura è stata messa in tensione tramite due martinetti idraulici. Le lastre di pietra, come in un arco, sono bloccate l’una all’altra, e fra la lama in acciaio e la giunzione delle piattine formanti i nastri è stato inserito un cuneo in acciaio che blocca l’insieme, garantendo nel contempo un successivo intervento di rimessa in tensione. I bulloni di fissazione delle lastre sono stati serrati.
Il corrimano, sempre in acciaio, con sezione 10×40 mm, è stato infine saldato ai montanti verticali formanti il parapetto.
Questa “opera d’arte” costituisce uno spartano elemento funzionale per l’escursionista, ma al contempo un importante dimostrazione delle possibilità di applicazione strutturale della pietra naturale quando essa viene utilizzata secondo le proprie peculiarità. Il Pùnt da Saransuns realizza quindi completamente l’aspirazione di Jürg Conzett rispetto alla sua professione di ingegnere, ovvero «costruire opere che rispondano alla propria funzione» e che permettano di «tenersi su di un ponte e sentire che regge […] un sentimento primordiale che mi ha sempre affascinato […] Il controllo delle leggi della gravità».5

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di Stefano Zerbi

Note
1 Italo Calvino, Le città invisibili, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1993, p.83.
2 Estratto da un’intervista a Jürg Conzett contenuta nella puntata a lui dedicata dalla serie televisiva “Architectoure de Suisse” prodotta da SRG SSR idée suisse nel 2001.
3 Heinz Hossdorf, Zum Gespräch um die neue Teufelsbrücke, “Schweizerische Bauzeitung”, nr. 46, November 1954, p.676 (Testo originale in tedesco, traduzione dell’autore).
4 Ibidem.
5 Vedi nota 2.

Bibliografia
Mostafavi, Mohsen, ed., Structure and Space. Engineering and architecture in the works of Jürg Conzett and his partners, London, AA Publications, 2006.
Ponti, Jérôme, Le Pùnt da Saransuns, “Tracés”, n.22, 2001, p. 16.
Conzett, Jürg, Punt da Saransuns pedestrian bridge, Switzerland, “Structural Engineering International”, 2, 2000, pp. 104-106.
Conzett, Jürg, Pùnt da Saransuns, “Schweizer Ingenieur und Architekt”, n.1/2, 2000, pp. 2-6.
“Saransuns Footbridge” in: Puente, Moisés, Ortega, Lluis, ed., 2G Building in the mountains. Recent architecture in Graubünden, Barcelona, Editorial Gustavo Gili, 2000, pp. 70-75.

Siti internet
http://www.viamala.ch/it
http://www.viaspluga.com
http://www.viestoriche.net
http://www.cbg-ing.ch

Biografia di Jürg Conzett
Nato nel 1956. Studia ingegneria civile presso i Politecnici Federali di Losanna e Zurigo, dove si laurea nel 1980. Lavora durante sei anni presso l’architetto Peter Zumthor. Dal 1985 insegna presso l’ETW di Coira. Dal 1999 è uno dei titolari dello studio di ingegneria Conzett, Bronzini, Gartmann AG di Coira. Nel 1999 ottiene il Premio Internazionale di Architettura Alpina Sexten Kultur. Nel 2003 il Pùnt da Saransuns riceve il Premio Internazionale Architettura di Pietra.

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15 Maggio 2009

PostScriptum

BUBBLE_PLASTIC
Architetture gonfiabili

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Allianz Arena a Monaco di Baviera. Herzog & De Meuron.

L’architettura spazia tra numerosi antipodi: dalla luce al buio, dal vuoto al pieno, dalla gravità alla leggerezza. Se la natura ha creato un materiale consistente e duraturo come la pietra, caratterizzato da durezza e massività, cosa poteva inventare l’uomo per dare forma ad un elemento inconsistente come l’aria? La plastica per il gonfiabile.
Scopo dell’architettura è di progettare strutture e spazi che possano contribuire con la loro presenza a dare protezione e benessere all’uomo che ne è fruitore: oggi, costruzioni morbide e flessibili, temporanee, fatte di membrane plastiche riempite d’aria, sebbene prive di consolidati significati tradizionali, offrono modelli alternativi e dinamici, di rispondenza immediata alle esigenze di una società contemporanea sempre più nomadica e globalizzata. Così le architetture gonfiabili si adattano a conformarsi alle circostanze interne ed esterne e risultano mutevoli sia nello spazio che nel tempo; esse non utilizzano materiali naturali, ma della natura assimilano un connotato fondamentale: la vitalità.
Sempre più spesso l’intento della società attuale è quello di ottenere spazi multifunzionali, evitando gli sprechi e saturando, dove è possibile, i tessuti urbani senza sconvolgere in modo irreversibile situazioni ambientali e strutturali precostituite. Nell’ottica del risparmio si cercano quindi strutture versatili, non invadenti e leggere. Per raggiungere questo risultato è fondamentale la collaborazione tra l’ingegneria dei materiali sintetici e l’ingegneria strutturale che in un rinnovato connubio danno vita a involucri elastici, resistenti e luminosi.

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Progetto Eden a St. Austell in Cornovaglia. Nicholas Grimshaw & Partners.

E se in origine le strutture gonfiabili erano al limite dell’utopico – si pensi alle prime mongolfiere, o alle prime volte pneumatiche – oggi rappresentano con sempre maggior frequenza una soluzione funzionale e razionalmente progettata. Il legame con la plastica ha dato al gonfiabile una nuova vita; la plastica non ha passato, ma solo futuro e con essa anche la tecnologia per il gonfiabile. Un futuro però attento all’ecosostenibilità del materiale sempre in costante evoluzione e perfezionamento. Dal riciclo del materiale si arriva direttamente al riciclo della struttura, e i termini “economia” ed “ecologia” sono sempre più interdipendenti anche nell’universo BUBBLE_PLASTIC.

di Federica Francalancia e Giulia Pozzi

Bibliografia di riferimento:
Giovanni Fuzio, Costruzioni pneumatiche, Roma, Dedalo, 1968, pp. 108.
Ezio Manzini, La materia dell’invenzione. Materiale e progetto, Milano, Arcadia, 1986, pp. 239.
Robert Kronenburg, Maggie Toy, Ephemeral/Portable architecture, New York, John Wiley, 1998, pp. 112.
Sean Topham, Blowup: inflatable art, architecture and design, Munich-Berlin-London-New York, Prestel Verlag, 2000, pp. 160.
Hans Joachim Schock, Altante delle tensostrutture, Torino, UTET, 2001, pp. 216.
Jennifer Siegal, Mobile the art of portable architecture, New York, Princeton Architectural Press, 2002, pp.127.
Oliver Herwig, Feathrweights: light, mobile and floating architecture, Munich-Berlin-London-New York, Prestel Verlag, 2003, pp.159.

Questo breve post è estratto dalla ricerca “BUBBLE_PLASTIC. La plastica per il gonfiabile”, elaborata dalle studentesse Francalancia e Pozzi presso la Facoltà di Architettura di Ferrara nell’ambito del corso di Cultura Tecnologica della Progettazione, tenuto dal prof. Alfonso Acocella nell’anno accademico 2008-09.

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12 Maggio 2009

Design litico

Prototipazioni lapidee di Claudio Silvestrin

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Una prima versione della vasca Po in pietra serena (le fotografie sono fornite da Palmalisa Zantedeschi)

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Palmalisa Zantedeschi gentilmente condivide con noi una raccolta di scatti fotografici tutti relativi ad opere lapidee da lei seguite su progetti ed idee di Claudio Silvestrin.
A chi può ritenere che la pietra sia un materiale sordo, erroneamente associando le caratteristiche di resistenza e durezza proprie dei prodotti di cava con quella di poca duttilità, Palmalisa Zantedeschi oppone un approccio al materiale per così dire musicale. Strumenti sono i tanti campioni lapidei che, ciascuno con proprio colore, spessore, vena, caratteristiche, trovano posto nella parete del suo studio, come fossero gli utensili più preziosi di un artigiano, od ancor meglio i componenti fondamentali di un chimico. E la musica proposta è sempre diversa, anche suonata in modo differente a seconda delle partiture offerte dai progetti e dall’interpretazione di ogni occasione realizzativa: vi è infatti la consapevolezza di come la medesima lavorazione eseguita da una mano differente, o dalla medesima mano ma in momenti differenti, o nel medesimo momento ma su differenti conci, porti ad un risultato sempre unico ed irripetibile come lo può essere la performance di un solista. L’impegno di Palmalisa è dunque volto alla produzione ad hoc e non seriale, secondo un approccio allo stesso tempo tecnico ed emozionale che s’inserisce fra la progettazione architettonica al tavolo e la realizzazione cantieristica, in un certo senso come specialista della pietra.
Il primo carattere, quello tecnico, le deriva dalle esperienze anche familiari dell’industria vocata all’estrazione e lavorazione dei materiali, specialmente di bacino veronese. A questo si sovrappone la consapevolezza della perizia nell’esecuzione, della certezza del risultato, della fattibilità prestazionale. L’attenzione alle nuove opportunità offerte dall’avanzamento tecnico, quale l’acquisizione recente, per il suo studio, della possibilità della lavorazione circolare su diametro di 2 metri, sono da un lato certamente conseguenza di un’attenzione al mercato ed ai suoi slanci, dall’altro sono il frutto di un intento slargativo guidato dalla passione per la materia e per le sue possibili applicazioni. Ritorniamo in questo modo al lato emozionale d’approccio, di cui già siamo a conoscenza a partire dalla breve antologia raccolta nella sua personale pubblicazione di presentazione, inframmezzata a molte intime fotografie, riproposte ciclicamente sul blog (Madre, Abbraccio, Casa, Forza, Silenzio, Rispetto, Bellezza, Architettura, Unicità, Patrimonio non rinnovabile).

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La sala da bagno di una casa privata a Venezia, in pietra di Lecce (le fotografie sono fornite da Palmalisa Zantedeschi)

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Tra i racconti di pietra alcune frasi estrapolate dal testo più ampio di Peter Zumthor ci possono nuovamente traghettare all’opera di Claudio Silvestrin: “Più di ogni altra sostanza, la pietra partecipa di quella bellezza aurorale, incontaminata, danzante sull’epidermide delle cose ma anche filtrante in profondità. Una bellezza pronta a rigenerarsi lungamente anche quando la vita della materia e’ costretta a subire le erosioni del tempo o le azioni trasformative dell’uomo.
Amiamo questa bellezza molto particolare; beltà fisica, sobria e pacata, emanata non tanto dalle figure quanto dalla materia monografica in sé che ci richiama e ci fa sentire vicini, avvinti altre volte dall’essenza delle cose.”
Abbiamo già avuto modo di dire e dimostrare quanto la ricerca di Claudio Silvestrin sia orientata a raggiungere il significato profondo delle cose, appunto si diceva l’essenza. Abbiamo acquisito il concetto secondo cui la pietra rappresenta in ogni lastra la materia solida generatrice, come parte viva e millenaria del cuore del pianeta da cui è sottratta. Questa vicinanza ideale col sottosuolo si traspone in architettura in modo facilmente consequenziale nella caratterizzazione dei suoli, i piani di calpestio. Silvestrin non propone però in pietra i soli pavimenti, ma anche dunque elementi d’arredo e di design di una fluida tridimensionalità, sempre comunque accostata direttamente alla bidimensionalità delle superfici d’appoggio, quasi gli oggetti fossero dirette emanazioni dei piani orizzontali.
Ebbene queste fotografie raccontano di come la ricerca ontologica condotta dall’architetto passi dal contatto diretto col fare artigianale, con l’esperienza concreta sulla materia, con i tentativi eseguiti realmente sul materiale.
L’artigianalità è allora forse il punto d’incontro fra il gesto scultoreo e la funzione, laddove per gesto scultoreo s’intenda l’astrazione con le finalità espressive immaginate dal progettista, mentre per funzione si pensi all’utilità concretamente pratica di ogni oggetto collocato nello spazio.
Queste fotografie raccontano inoltre di come gli stessi prodotti di design costituiscano il punto d’arrivo non solo della ricerca condotta da Silvestrin entro i binari tracciati ogni volta dal programma dell’azienda produttrice, ma pure di come rappresentino punti d’arrivo e contemporaneamente di ripartenza-superamento lungo la carriera stessa dell’architetto. Si noteranno infatti in nuce ai lavabi ed al piano per la sala da bagno per un’abitazione privata a Venezia in pietra di Lecce, alla lampada in arenaria rossa per Abitare il Tempo 2001, ai tavoli in arenaria rossa e giallo sottobosco per Abitare il Tempo 2002, i tratti dei successivi lavabi per Boffi, del piano cucina per Minotti, della lampada “notte” di Viabizzuno, delle scrivanie di PoltronaFrau.

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Il tavolo in granito Nero Assoluto levigato a mano esposto ad Abitare il Tempo 1998 (le fotografie sono fornite da Palmalisa Zantedeschi)

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di Alberto Ferraresi

(Vai al sito di Claudio Silvestrin)
(Vai al sito di Palmalisa Zantedeschi)
(Vai al sito di Abitare il Tempo)
(Vai al sito di Boffi)
(Vai al sito di Minotti cucine)
(Vai al sito di PoltronaFrau)
(Vai al sito di Viabizzuno)
(Vai al sito Casone)

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11 Maggio 2009

News

SOLIDIFICACIONES
Lectio Magistralis di Fernando Menis

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Clikka sull’immagine per scaricare il poster

SOLIDIFICACIONES
LECTIO MAGISTRALIS DI FERNANDO MENIS
MERCOLEDI’ 13 maggio 2009|ORE 11,00
AULA MAGNA Facoltà di Architettura di Ferrara,
via Quartieri 8

Corso di COSTRUZIONI IN PIETRA|a.a. 2008-2009|Prof. ALFONSO ACOCELLA, Prof. VINCENZO PAVAN
Corso di STORIA DELL’ARCHITETTURA CONTEMPORANEA|a.a. 2008-2009|Prof. MARCO MULAZZANI

«L’essenza del nostro lavoro consiste nel ripetere quanto di valido emerge dal passato, recuperando soluzioni che già hanno dimostrato di funzionare. Il metodo si basa sul recupero delle risorse naturali e paesaggistiche, culturali e storiche, secondo i mezzi propri di ciascun progetto e di ciascun luogo. Questa necessità proviene forse dalla mentalità di una generazione che è cresciuta accumulando risorse da utilizzare poi, o anche dalla coscienza di abitare un territorio limitato e prezioso come le Isole Canarie.»
Fernando Menis Nasce nel 1951 a Santa Cruz di Tenerife, studia architettura presso la Scuola Superiore di Architettura di Barcellona. Nel 1981 forma il team AMP Arquitectos con Felipe Artengo Rufino, José María Rodríguez Pastrana Malagón. Sciolti nel 2004, da quella data Menis conduce l’attività di progettista col proprio studio di architettura.

Leggi su Fernando Menis:
Centro Congressi “Magma Arts”

Fernando Menis sarà presente in Conferenza a Verona il 14 maggio 2009 Museo di Castelvecchio, Sala Boggian, ore 17,00

Scarica invito a Verona

Vai al sito di Facoltà

In collaborazione con

faf.jpg veronafiere_logo.jpg marmomacc1.jpg

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8 Maggio 2009

Opere di Architettura

IL MURO DELLA MEMORIA
di Pietro Carlo Pellegrini

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Il Muro della Memoria realizzato da Pietro Pellegrini all’interno del monastero di S. Gemma Galgani (Lucca) nel 2007, nasce dalla sentita volontà da parte delle monache di clausura di avere un luogo dove poter commemorare le sorelle scomparse.
Uno spazio, dunque, dalla forte valenza simbolica e spirituale che l’architetto lucchese ha pensato nei termini di un percorso a cielo aperto, delimitato da una muratura continua in travertino rapolanese.
L’elemento caratterizzante di tale artefatto architettonico risulta essere così l’ordine murario, il quale si manifesta inizialmente in tutta la sua pura elementarità di superficie litica, posta a dialogare con la variegata e rigogliosa natura degli spazi aperti del monastero.

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Se, dunque, all’ingresso l’opera di Pellegrini si presenta come spazio estroverso caratterizzato dalla sola presenta del muro, al contrario dopo alcuni metri la struttura litica inizia ad avvolgersi su se stessa, sino a culminare – come una sorta di spirale quadrata – in un raccolto spazio interno (l’ossario), segnato dalla presenza di un cipresso toscano.

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Numerose le suggestioni visive evocate da tale artefatto architettonico. Prima fra tutte quella di labirinto, inteso nella sua definizione primaria di spazio percorribile delimitato da alti muri, il quale non offre possibilità di scelte nel suo intero svolgimento e conduce inevitabilmente al centro.
Tale forma archetipica è stata reinterpretata da numerosi artisti contemporanei a partire dagli anni Sessanta (Robert Morris, Richard Serra, Alice Aycock ed altri ancora) in opere d’Arte Ambientale che rivelano diversi punti di contatto con il Muro della Memoria di Pellegrini: struttura architettonica minimale, estroversione ed introversione rispetto al contesto naturale circostante, percorribilità ed infine impiego di materiali lapidei.
Al di là di queste caratteristiche morfologiche comuni, gli “spazi dedalici” ideati dagli artisti contemporanei sopra citati si discostano dal progetto di Pellegrini per il significato ad essi sotteso. Se infatti le intricate installazioni ambientali sembrano alludere ai complessi percorsi conoscitivi che l’uomo deve compiere per scoprire e comprendere se stesso, al contrario il Muro della Memoria si carica di ben altre valenze simboliche. La trama spiraliforme diviene qui metafora del “filo della memoria” che le persone devono continuare a tessere per mantenere in vita il ricordo delle persone scomparse, filo che non a caso si conclude nella presenza di un cipresso, chiaro simbolo della vita eterna dopo la morte.

di Alessandra Acocella

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8 Maggio 2009

Principale

L’identità culturale del paesaggio Mediterraneo

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Nell’attuale dibattito culturale e scientifico il paesaggio sta assumendo sempre più importanza e significato. Una profonda innovazione culturale lo ha infatti connotato di una interpretazione completamente nuova rispetto al passato, ritenendolo bene da salvaguardare in quanto espressione delle trasformazioni ecologico-sociali avvenute sul territorio ad opera delle collettività.
Secondo la Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 2000) esso «designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni» (art. 1 CEP, 2000).
Ne discende che il paesaggio forma un insieme unico di elementi naturali e culturali, che vanno considerati simultaneamente e in relazione uno con l’altro.
Una delle importanti novità d’approccio al paesaggio introdotte dalla Convenzione riguarda la stretta correlazione individuata tra paesaggio, popolazione e identità. L’identità si configura in ragione di quanto l’uomo nel tempo ha contribuito più o meno consciamente a configurare.
Le identità si costruiscono e si consolidano attraverso la stratificazione degli usi e dei significati che si sedimentano nei luoghi in stretta sintonia con l’evolversi dei modi di vita della comunità e non si possono creare artificialmente.
Il veloce cambiamento cui è soggetta la società attuale, la rapida trasformazione dei luoghi e degli stili di vita mette spesso a repentaglio la sopravvivenza delle identità locali.
Il Convegno vuole essere, per studiosi, tecnici e operatori nel settore, uno stimolo alla riflessione su come definire le risorse, i processi, e le strategie sostenibili che mirino ad individuare, caratterizzare e valutare i paesaggi del Mediterraneo, allo scopo di tutelarne, valorizzarne e promuoverne la qualità paesaggistica.
er governare le trasformazioni dei paesaggi, è ormai condizione imprescindibile formulare strategie di salvaguardia, gestione e pianificazione improntate ai principi fondanti della sostenibilità e condotte con azioni sinergiche interdisciplinari.

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5 Maggio 2009

Appunti di viaggio

Percorsi museali inediti.
L’arte e l’architettura raccontano il fenomeno dell’immigrazione

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Esposizione Terre Natale: Ailleurs commence ici. Il dispositivo di proiezione circolare progettato da Diller Scofidio + Renfro e Mark Hansen, Laura Kurgen e Ben Rubin

Ancora a Parigi. Per le strade e nei giardini la città si risveglia dal torpore invernale; il fervore culturale, invece, sembra non essersi mai assopito. Musei, esposizioni, eventi, si susseguono e si accavallano ininterrottamente.
Le tematiche più disparate sono raccontate, esposte, recitate, proiettate e sempre più spesso l’aspetto artistico si fonde con le questioni sociali che stanno segnando l’inizio di questo terzo millennio. L’arte si rinnova ancora una volta in canale privilegiato per la denuncia e la conoscenza di dinamiche apparentemente a lei estranee.
Mi rendo conto, ad esempio, che questa città, una delle più multietniche del mondo, si sta avvicinando alle realtà dell’emigrazione e dell’immigrazione attraverso percorsi sempre più vari; fra questi, ad esempio, vi sono proprio i percorsi museali. L’analisi e lo studio di questo fenomeno si vuole rendere partecipe alla popolazione anche attraverso le sale dei musei e le forme d’arte che queste ospitano. Si vengono quindi a creare inedite commistioni di arte, denunce sociali e spazi architettonici che le accolgono.

“Terre natale. Ailleurs commence ici” è il titolo di una esposizione temporanea accolta per circa quattro mesi dalla Fondation Cartier pour l’art contemporain. Curata da Raymond Depardon (cineasta e fotografo) e Paul Virilio (urbanista e filosofo) e chiusasi il 15 marzo scorso, la mostra ha occupato alcune sale dello scrigno vitreo progettato dall’architetto Jean Nouvel nel celebre quartiere di Montparnasse. Un interessante percorso espositivo animato da video e immagini fotografiche disposte in un allestimento studiato dagli architetti Elizabeth Diller e Ricardo Scofidio, ha cercato di proporre una riflessione sul rapporto della civiltà contemporanea con la propria terra natia, dando la parola alla popolazione costretta da eventi naturali, dinamiche economiche o sociali a lasciare la propria terra, la propria lingua, la propria storia, per radicarsi in territori a lei estranei.
I flussi migratori, in un crescendo sempre più considerevole, tendono oggi a sradicare l’uomo dalle proprie origini creando la moderna civiltà del “melting pot” che, se da un lato è il risultato di una “snaturalizzazione” dell’individuo, dall’altro arricchisce la realtà contemporanea di nuove potenzialità culturali.

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La collezione permanente della Cité Nationale de l’Histoire de l’Immigration

La transitorietà della mostra proposta dalla Fondation Cartier lascia spazio al nuovo museo permanente ospitato presso il Palais de la Porte Dorée: la Cité Nationale de l’Histoire de l’Immigration.
Aperto il 10 ottobre 2007, il museo vuole conservare e far conoscere documenti storici, artistici e culturali legati al fenomeno dell’immigrazione in Francia, dall’inizio del XIX secolo a oggi. Vuole proporre un nuovo sguardo sulla storia di questo paese, profondamente segnato dalla propria natura colonizzatrice e divenuto, conseguentemente, terra ospitante popoli ed etnie straniere partecipi, loro stessi, allo sviluppo economico, sociale e culturale della nazione.
Allestita secondo la moderna concezione di “museo audio-visuale”, questa collezione occupa le sale del secondo piano dell’unico edificio superstite dell’Exposition Coloniale allestita al Bois de Vincennes nel 19311. Storia e contemporaneità convivono in un edificio ormai divenuto patrimonio nazionale, lui stesso simbolo del concetto di “immigrazione” e testimonianza di un momento storico-artistico sempre meno rintracciabile nell’architettura parigina.

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Palais de la Porte Dorée, la facciata principale

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È interessante analizzarne brevemente l’aspetto architettonico, arricchito dalla recente ristrutturazione curata dallo studio di architettura Construire, di Patrick Bouchain e Loïe Julienne.
L’edificio, costruito tra il 1928 e il 1931 su progetto dell’architetto francese Albert Laprade, è un parallelepipedo regolare e simmetrico formato da un’originale commistione di materiali fra i quali cemento armato, pietre di diversa origine francese e legno africano.
L’art déco degli anni Venti, in dialogo con un accentuato esotismo, caratterizza un’opera la cui organizzazione distributiva riprende quella del palazzo marocchino, rappresentato da una grande “piazza” pubblica centrale circondata da gallerie e dedicata, in questo caso, alle cerimonie ufficiali.
Una scala monumentale e una teoria di pilastri in granito Forez sormontati da capitelli stilizzati, introducono a un lungo nartece che si sviluppa lungo tutta la facciata meridionale del palazzo.
Al carattere severo del volume, l’edificio contrappone la ricchezza delle decorazioni di superficie. La facciata principale e parte di quelle laterali sono rivestite da pannelli in pietra di Poitou scolpiti a bassorilievo dall’artista Alfred Auguste Janniot2. La pietra si plasma in cortina continua animata da una successione di scene concepite con l’intento di esaltare l’opera civilizzatrice dell’Impero francese nei paesi colonizzati. I pannelli lapidei si animano di figure animali e vegetali, di uomini e donne al lavoro, simbolo delle colonie africane e di quelle asiatiche, dei paesi dell’Oceania e dell’America che lasciano spazio, al di sopra del portale d’ingresso, ad una Francia rappresentata dall’allegoria dell’abbondanza3.

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I bassorilievi in pietra di Poitou della facciata principale

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All’interno, la hall introduce direttamente alla grande sala centrale, oggi chiamata forum; simmetricamente rispetto alla sua entrata, due scalinate portano ai piani superiori di accesso alle gallerie e alle sale espositive, di lavoro e di studio4.
Se all’esterno questa opera di architettura ci stupisce grazie alla sua monumentalità e originalità decorativa, all’interno mosaici e affreschi ci circondano di luce, colori e ricchezza figurativa.
Il forum è coperto da un luminoso soffitto a gradoni e ospita al suolo mosaici lapidei multicolori accompagnati da una moderna installazione lignea bivalente, che permette di alternare a un’ampia superficie pavimentale in parquet di diverse essenze, nicchie incassate nel pavimento e ospitanti doppie sedute poste frontalmente. Le sue pareti sono interamente rivestite da 600 m2 di affreschi realizzati da Pierre Ducos de la Haille con l’intento di mostrare nuovamente l’apporto morale e politico dello stato francese ai paesi colonizzati.
L’opera di Laprade, Janniot e Ducos de la Haille si rivela ai visitatori come il risultato di un’interessante commistione fra le diverse forme d’arte, una testimonianza di un preciso momento storico e artistico che ha saputo trasformarsi in luogo di conoscenza di un fenomeno tanto ricco di passato quanto di attualità e potenzialità future. Vi si riconosce una capacità di rivalorizzare quei monumenti storici rimasti in secondo piano, che permette a questa città di potenziare al massimo il proprio patrimonio culturale attraverso nuovi percorsi di conoscenza, che vogliono tentare di analizzare e raccontare quelle dinamiche socio-culturali che stanno caratterizzando la nostra epoca.

di Sara Benzi

(Vai al sito della Fondation Cartier pour l’art contemporain)
(vai al sito della Cité Nationale de l’Histoire de l’Immigration)

Note
1 Al suo interno si sono susseguiti una serie di musei etnologici: il Musée permanent des Colonies si è trasformato, nel 1935, in Musée de la France d’Outre-mer, nel 1960 in Musée des Arts africains et océoniens e nel 1990 in Musée national des Arts d’Afrique et d’Océanie, la cui collezione, nel 2003, è conferita nel Musée du quai Branly, lasciando spazio all’attuale Cité nationale de l’histoire de l’immigration.
2 Solamente la facciata settentrionale dell’edificio, lasciata incompleta dall’opera di Laprade, è stata completata nel 1003 grazie all’opera degli architetti Bouchain e Julienne. La facciata, che dona su un giardino alberato, è oggi caratterizzata da una serie di piattaforme lignee poggiate su tronchi di pino alti 16 metri ciascuno, al quale poggiane le scale di soccorso.
3 Vera e propria “tappezzeria di pietra” di 1130 m2 di superficie, questo immenso bassorilievo è stato realizzato nel corso di due anni dallo scultore francese Janniot e da circa venti aiutanti. Le fasi di lavorazione hanno visto una prima modellazione in creta seguita dal successivo ingrandimento e taglio nella pietra.
4 Il 30 marzo 2009, la Cité National de l’Immigration ha inaugurato e aperto la Médiathèque Abdelmalek Sayad, specializzata nella storia, la memoria e le culture dell’immigrazione in Francia dal XIX secolo ai nostri giorni.

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4 Maggio 2009

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FESTA A PALAZZO

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