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13 Giugno 2006

Letture

Frammenti di materia transitori ed effimeri

Kengo Kuma. Opere e progetti
a cura di Luigi Alini
Milano, Electa,
2005, pp. 247, ill.
prezzo: 46,00 euro

“Perchè voglio sminuzzare i materiali e ridurli in frammenti minuti? Perchè voglio scomporre la pietra, il bambù e la carta giapponese in particelle simili a lamelle? Perchè voglio praticare in tutti i materiali un’infinità di fori?
Se sbriciolo i materiali e li suddivido non è perchè li odio, nè perchè trovo sgradevoli le loro qualità tattili; è, anzi, proprio per la ragione contraria: perchè li amo. Se non li scomponiamo, non possiamo apprezzarli in quanto materiali, nè coglierne la loro vitalità.
Per quanto ricche siano le qualità tattili dei materiali, se appaiono come masse singole non li sento vividi, perchè non cambiano espressione. Quando sono totalmente ridotti in particelle i materiali diventano effimeri come arcobaleni. Talvolta si presentano in modo definito come oggetti ma basta un momentaneo cambiamento di luce, o lo spostamento dell’osservatore, perchè si disperdano immediatamente come le nuvole o si dissolvano come foschia. Le lamelle che sembravano formare un muro diventano all’improvviso trasparenti e scompaiono. Questa transitorietà e fragilità è la loro essenza più intima”1.
Queste parole dello stesso Kengo Kuma introducono al significato più profondo della sua opera, tesa a sublimare la tradizione costruttiva giapponese in una poetica autoriale tutta contemporanea, fatta di immagini delicate, mutevoli, indefinite, in cui la "fragilità materica" e la transitorietà sensoriale sono da riguardare come valori fondativi del processo di genesi e percezione dello spazio architettonico. Il sapiente lavoro progettuale e costruttivo di Kuma è stato di recente indagato, con notevole ricchezza di documentazione originale ed alto livello di approfondimento critico, nella monografia curata per i tipi di Electa da Luigi Alini, ricercatore e docente di tecnologia dell’architettura presso l’Università di Catania.


Great (Bamboo) Wall a Pechino (2000-02)

Il volume, dopo l’introduzione del curatore intitolata "Le trame dell’architettura. Tessere, unire, sovrapporre, piegare", presenta un saggio di Kuma dal titolo "Ritorno ai materiali", per poi ripercorre l’attività del progettista attraverso una serie di edifici, realizzati tra il 1994 e il 2004 a testimoniare, appunto, un paziente ripensamento dei materiali naturali, di volta in volta tagliati, assottigliati, sminuzzati in listelli, scaglie e tessere, per poi essere ricomposti in cangianti superfici architettoniche, in composizioni iterative di frammenti materici intessute di luci ed ombre.


Maison Luis Vuitton Omotesando a Tokyo (2001-03)

Le opere ampiamente documentate nella monografia danno conto di come tale processo di metabolizzazione interessi, con esiti di particolare raffinatezza, pressochè tutti i materiali dell’architettura: il legno nella Toyoma Noh School (1995-96), nell’Hiroshige Museum (1998-2000), nella Maison Louis Vuitton Omotesando (2001-03) e nel Murai Masanari art Museum (2001-04); la carta di riso nel Takayanagi Community Center (1998-2000); il laterizio nei ristoranti di Onoda (2000-01) e Waketokuyama di Tokyo (2003-04); le canne di bamboo armate nella casa per le vacanze Great Wall a Pechino (2000-02); la terra cruda nell’Adobe Museum di Toyoura (2001-02); l’acciaio nel Baiso Buddhist Temple (2000-03); la pietra, infine, nello Stone Museum (1996-2000) e nel Food and Agricolture Museum (2002-04), capostipiti di una serie di architetture litiche magistrali proseguita con le recenti realizzazioni del Nagasaki Art Museum e della Lotus House a Kanagawai2.


Food and Agricolture Museum a Tokyo (2002-04)

Ecco allora che il legno dei larici o dei cedri giapponesi dà vita a schermature leggere increspate e vibranti; la semplice carta di riso fodera ricercati bozzoli architettonici soffici e traslucidi; il bamboo, privato dei diaframmi interni e rinforzato con cemento o barre metalliche, dà vita a griglie più o meno dense, più o meno permeabili alla vista; la pietra si stratifica in setti variamente traforati o è tessuta su orditure metalliche ultraleggere, flessibili e fluttuanti.
Il lavoro di smaterializzazione, di apparente dissoluzione della sostanza materica, riporta in realtà i materiali al centro del progetto dell’architettura, esaltandone l’essenza, valorizzandone, attraverso uno studio attento e curioso, le qualità costruttive e sensoriali più naturali ed esplicite e quelle più nascoste, inusuali, sorprendenti. La lezione dell’opera di Kengo Kuma appare chiara e di grande valore, e grazie alla lettura di Alini è resa ancor più evidente ed articolata.
Il volume è completato dal regesto delle opere del progettista, dai consueti apparati bio-bibliografici e da un’interessante antologia di scritti, pubblicati per la prima volta tra il 1995 ed il 2000, in cui Kuma esplicita ed elabora ancora una volta i concetti di scomposizione e frammentazione dell’architettura e dei materiali, e riflette sul rapporto tra osservatore e spazio architettonico e sulla relazione tra architettura, città contemporanea e tecnologie informatiche.

Davide Turrini

Note
1 Kengo Kuma, "La relatività dei materiali" (tit. or Relativity of Materials, 2000) p. 222, in Luigi Alini (a cura di), Kengo Kuma. Opere e progetti, Milano, Electa, 2005, pp. 247.
2Per un approfondimento sulle ultime due opere, non documentate nella monografia curata da Alini cfr.: Nicola Marzot (a cura di), Kengo Kuma Nihon Sekkei. Nagasaki Prefectural Art Museum, Bologna, Editrice Compositori, 2005, pp. 119; Francesca Chiorino, "Kengo Kuma, Lotus House. Un scacchiera di pietra e ombra", Casabella n.743, 2005, pp. 52-57.

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11 Giugno 2006

Eventi Toscana

Digital Architecture
Incontro con Greg Lynn |Form|

Osservatorio sull’Architettura / Fondazione Targetti
in collaborazione con l’Assessorato all’Urbanistica del Comune di Firenze
e l’Istituto degli Innocenti presenta

Digital Architecture
Incontro con Greg Lynn |Form|
a cura di Pino Brugellis

Mercoledì 28 giugno 2006, ore 17,30
Salone Brunelleschi, Istituto degli Innocenti,
Piazza Santissima Annunziata, Firenze

Dopo Norman Foster, Yona Friedman, Bernard Tschumi, Peter Eisenman e Thom Mayne, il nuovo appuntamento con i più interessanti interpreti dell’architettura contemporanea avrà come protagonista lo statunitense Greg Lynn. A lui è infatti dedicata la seconda lecture della stagione 2006 dell’Osservatorio sull’Architettura di Targetti che, con il contributo critico di Pino Brugellis e Marco Brizzi, cercherà di far emergere luci e ombre dell’affascinante mondo dell’architettura digitale: le nuove frontiere offerte dalle nuove tecnologie e i limiti concreti legati alle materializzazioni spaziali.
Poco più che quarantenne, Greg Lynn incarna l’architetto di ultima generazione che sviluppa e dà corpo alle propria opera artistica utilizzando il computer come un elemento estremamente “naturale”. Considerato dalla critica internazionale come il maggiore teorico ed esponente della “Blob architecture”, l’architettura digitale, è ormai celebrato nei più importanti musei e rassegne del mondo, dal Guggenheim di New York al Beaubourg di Parigi, dal Mak di Vienna alla Biennale di Venezia. Insegna nelle più prestigiose università internazionali e ha ormai cantieri aperti in tutto il mondo.
Formatosi nello studio di Peter Eisenman dopo gli studi filosofici e di architettura, Greg Lynn interpreta l’architettura come processo dinamico e mira al superamento delle tradizionali concezioni spaziali che hanno caratterizzato la storia di tale disciplina. L’architettura di Greg Lynn si sviluppa in stretta correlazione con i più sofisticati sistemi di produzione digitale utilizzati dall’industria aerospaziale e di computer animation, atti a generare in modo dinamico forme di cui il progettista-regista dirige lo sviluppo mutevole e imprevedibile.
Storicamente gli architetti hanno concepito il movimento come lo spostamento di un occhio nello spazio. L’architettura – sia nelle sue realizzazioni che nelle sue astrazioni – è stata considerata statica, fissa, ideale e inerte. I temi del movimento e della dinamica in architettura vengono generalmente affrontati attraverso la visione pittorica di forme statiche. Non solo gli edifici sono stati costruiti come forme statiche, ma soprattutto l’architettura è stata concepita e creata sulla base di modelli statici ed equilibrati.

I software per la computer animation hanno spesso rafforzato il postulato secondo cui il disegno architettonico apparterrebbe allo statico spazio cartesiano, nell’attesa di essere animato da un occhio mobile. Invece di utilizzare il software d’animazione per insufflare del movimento pittoresco dentro spazi cartesiani privi di vita, l’architettura di Greg Lynn rappresenta un incessante tentativo di usare il movimento per generare dinamicamente dei progetti architettonici.
“Le classiche metafore architettoniche della stasi e dell’equilibrio sono rimpiazzate da processi di progettazione architettonica più vitali, letteralmente e concettualmente animati. Le forme e le organizzazioni degli edifici si evolvono attraverso l’interazione di forze separate e gradienti d’influenza in ambienti temporizzati, all’interno dei quali il progettista guida la loro crescita, la loro trasformazione e la loro mutazione, spesso imprevedibile”. La nascita di questi progetti procede attraverso lo sviluppo di prototipi scelti in base alla loro flessibilità e adattabilità. Per dare il via alla trasformazione e alla mutazione, vengono esercitate delle pressioni esterne su questi prototipi regolati dall’interno. Il risultato di questa interazione tra un’organizzazione generalizzata e flessibile e delle particolari costrizioni esterne è un procedimento di progettazione dai risultati imprevedibili che dà libero spazio alle attitudini di improvvisazione nel design.
La combinazione di superfici deformabili, forze fisiche esterne e processi tecnologici basati su computer e modelli biologici di crescita, di sviluppo e di trasformazione viene quindi indagata da Greg Lynn utilizzando l’animazione piuttosto che i convenzionali software per la progettazione architettonica. Nella ricerca di sistemi che simulino l’apparenza della vita, l’industria degli effetti speciali e dell’animazione è di fondamentale importanza per lo sviluppo di questo tipo di investigazioni. Il passaggio dal determinismo a una controllata indeterminatezza è assolutamente centrale nello sviluppo di questo metodo di progettazione dinamica. Come risulta altrettanto fondamentale l’uso di geometrie topologiche in grado di essere piegate, ritorte, deformate e differenziate mantenendone la continuità.
I primi edifici costruiti da Lynn, nonostante le metodologie di concepimento dell’architettura dinamica, non sono dissimili da quella che Maurizio Fagiolo a suo tempo ha definito “‘archiscultura” e che in qualche modo ha caratterizzato buona parte delle avanguardie storiche del secolo scorso: dall’espressionismo all’architettura informale; dalle utopie tecnologiche al decostruttivismo. L’energia dirompente di queste forme dinamiche che appartengono alla logica della computer animation sembrano scontrarsi con la pesantezza e la staticità della materia per sfociare in quello che è ormai definito da alcuni critici il “barocchismo classico dell’architettura”. Come è ormai consuetudine dell’Osservatorio sull’Architettura della Fondazione Targetti queste tematiche saranno affrontate durante l’incontro attraverso un contraddittorio che Lynn terrà con alcuni giovani critici, atto a far emergere limiti e prospettive di questa ricerca portata avanti con grande entusiasmo e tenacia.

GREG LYNN: nota biografica
Greg Lynn FORM ha rappresentato una realtà estremamente innovativa nel campo della progettazione architettonica quando vi è stato introdotto l’utilizzo del computer. I progetti, le pubblicazioni, l’insegnamento e gli scritti associati alla pratica sono stati molto importanti nell’influenzare l’accettazione e l’uso della tecnologia avanzata per la progettazione.
Greg Lynn FORM, studio nato nel 1994 nel New Jersey, dal 1998 si è spostato a Venice, in California, per trarre vantaggio delle conoscenze e della tecnologia della produzione manifatturiera e dell’industria del divertimento della California del Sud. Lo studio è composto da una squadra di persone che combinano capacità creativa ed esperienza con un design estremo, produzione e tecniche di costruzione vicine all’industria aeronautica, dell’automobile e cinematografica.
Lo studio si occupa sia di progetti locali che internazionali che vanno dalla piccola alla grande scala: ha disegnato recentemente per Alessi la tazzina da caffè Supple e sta progettando Sociopolis, un complesso abitativo a Valenzia in Spagna che dovrebbe ospitare appartamenti ed un centro per l’arte e la musica; ha progettato residenze private come la Slavin house e la Bloom house in California, ed è coinvolto nella ristrutturazione del Kleiburg Block ad Amsterdam, un complesso di 500 unità abitative degli anni 70.
Ha partecipato a numerosi concorsi, fra i più importanti il World Trade Center Design Competition nel 2002 e l’ European Central Bank Competition nel 2003.
Greg Lynn, oltre a dirigere il suo studio, si è dedicato all’insegnamento in numerosi Istituti ed Università: lo Swiss Federal Institute of Technology, la Columbia University, la UCLA e la Yale University.
Ha ricevuto numerosi riconoscimenti per la sua attività professionale ed ha partecipato a mostre in musei d’architettura e d’arte tra cui la Biennale di Architettura del 2000. E’ autore di numerosi saggi sulla pratica e la teoria dell’architettura: Intricacy (ICA, Philadelphia), Architectural Laboratories (NAI, Rotterdam), Folds, Bodies and Blobs: Collected Essays (La Lettre Volèe, Brussels), Animate Form (Princeton Architectural Press, New York), Predator (Wexner Center, Columbus, OH) e Embryological House (Princeton Architectural Press, New York).

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9 Giugno 2006

Eventi

Architettura di pietra
Antichi e nuovi magisteri costruttivi

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7 Giugno 2006

Eventi

Exposicion "Sevilla 1995-2005"


Museo Villa Nazionale Pisani – Stra (Venezia)

Dal 1 luglio al 15 agosto 2006 presso:
Museo Villa Nazionale Pisani – Stra (Venezia)

L’Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Venezia, ha istituito la Casa dell’Architettura (Cd’A), un laboratorio per la divulgazione e la promozione della cultura Architettonica, con lo scopo di indagare l’ambiente professionale come "luogo d’incontro" delle diverse generazioni di architetti, attraverso iniziative che esplorino particolarmente la realtà del "fare architettura" oggi.
La Cd’A presenta la prima importante iniziativa inserita nel proprio programma biennale 2006 – 2007: "Sevilla 1995-2005" opere recenti di architettura realizzate nella provincia di Siviglia (Spagna)
Il tema dell’esposizione è quello di indagare la produzione architettonica sviluppatasi dopo la straordinaria manifestazione internazionale di Siviglia dell’Expo Universale 1992.
Gli elaborati esposti sono stati gentilmente concessi dalla fondazione FIDAS – Fundaciòn para la Investigatiòn y Difusiòn de la Arquitectura del COAS – Colegio de Arquitectos de Sevilla, con la quale è stato avviato un rapporto di collaborazione e scambio culturale.
La mostra gode del patrocinio dell’Ambasciata di Spagna in Italia, del Consolato Onorario di Spagna a Venezia ed è organizzata in collaborazione con format-c Gruppo di Ricerca (un’associazione di giovani architetti molto attivi a livello nazionale ed europeo). Si terrà presso Museo Villa Nazionale Pisani di Stra (Venezia) dal 1 luglio al 15 agosto 2006 e sarà inaugurata venerdì 30 giugno 2006 alle ore 18:00.
Il 20 aprile 1992 la città di Siviglia, capoluogo della regione Andalusa nel sud della Spagna, inaugurò l’Esposizione Universale nell’Isola della Cartuja, proponendosi al centro dell’attenzione dei media a livello internazionale, sui temi della crescita scientifica e tecnologica e sul dibattito critico della cultura architettonica contemporanea. In soli otto anni, con un imponente impegno economico e organizzativo, la città e lo stato centrale sono riusciti a completare un ambizioso programma di realizzazioni architettoniche e infrastrutturali che comprendeva, oltre alla realizzazione dell’Expo, sostanziali opere di trasformazione urbana. Architetti di fama internazionale di Siviglia, della Spagna e stranieri, si sono confrontati nella realizzazione di architetture di grande qualità.
A seguito di questi momenti convulsi e magniloquenti, gli architetti sivigliani hanno proseguito il loro lavoro con forte impegno nell’integrazione tra cultura e professionalità, rivendicando i principi inalterabili di bellezza, utilità e solidità dell’Architettura.
La mostra, organizzata secondo i criteri stabiliti dall’Ordine degli Architetti di Siviglia, è stata promossa invitando a partecipare tutti gli architetti iscritti a tale Ordine.
L’obbiettivo è stato quello di ottenere una partecipazione allargata con una corretta selezione delle opere guidata da criteri di qualità. Nell’esposizione sono visibili i progetti e le costruzioni di architetti noti e meno noti accomunati da un impegno professionale e culturale di notevole livello. Si tratta di architetture nuove e di interventi su preesistenze, spesso di piccola scala, non per questo meno significativi, che dimostrano la possibilità di ottenere risultati di buona qualità con limiti economici imposti.

A seguito di questo primo impegno, la Casa dell’Architettura intende esplorare lo "stato del lavoro" degli architetti della Provincia di Venezia, visto in rapporto ad analoghe esperienze in Italia e all’estero, per far emergere quella ricerca comune e specifica riconosciuta come "cultura professionale".

Per informazioni:
Dott. Arch. Alessandra Salvalajo
press@ricerca-format-c.it
m. +39 333 2557510
fax +39 049 9316743

Alcune delle opere esposte:

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Le pietre dell’anima


La Storia
Quell’uomo e quella donna camminano lungo una spiaggia oppure passeggiano, con lentezza, in un sentiero di montagna. A volte il loro sguardo sfugge all’orizzonte e si piega verso terra, attratto da un sasso, da un riflesso sulla pietra, da una strana forma. Il gesto è istintivo: si chinano entrambi, raccolgono quel ciottolo, lo soppesano nella mano. a volte lo lanciano in aria, altre lo lasciano cadere. Capita anche che quella pietra scivoli in tasca e diventi parte di una collezione. Esistono molti collezionisti di pietre. Altre volte non vi è nessuna ragione apparente per questo gesto: è davvero un atto naturale, da istinto profondo. L’uomo e la donna forse non lo sanno ma, in realtà, raccogliendo quel piccolo sasso, ascoltandone il contatto sulla pelle delle dita, stanno cercando qualcosa che hanno dimenticato o perduto. La pietra li sta aiutando a colmare un piccolo vuoto dentro loro stessi: è come se fosse il frammento vitale e immobile di antiche radici. Le pietre sono un mistero. Lo sapevano bene i Greci più antichi: per loro, gli uomini, dopo il diluvio, nacquero dai sassi seminati nelle terre prosciugate da Deucalione. Le pietre dell’antichità sono conoscenze, saggezze, solidità che non potevano essere scalfite.
Per molti popoli, dalla preistoria fino al Giappone della ipertecnologia, le pietre sono un anello di comunicazione e di contatto fra lo spirito e la materia. Le volte rocciose delle caverne non sono solo il riparo di pastori spaventati dalla notte o dalla forza della natura: sono la volta celeste che l’uomo vuole osservare. E quest’uomo comincerà a impadronirsi del suo destino quando diventa capace di sfidare la durezza delle pietre. Menhir, Dolmen, Stele perdono la loro natura materiale e si trasformano nei simboli delle religioni, delle credenze, dei culti. La pietra diventa energia, oggetto sacro.
Le pietre, erette in ogni angolo della terra, non sono semplici blocchi senza anima, sono frammenti vitali. Attraverso esse lo scultore ha saputo raggiungere lo spirito di quella materia. E’ come se vi fosse un gioco di pensieri che riescono a passare dall’uomo alla pietra. E viceversa. I monumenti dell’antichità sfidano le leggi della fisica: è come se fossero meteore cadute dal cielo e spronfondate nella terra. Ecco, le pietre sono un ponte solidissimo fra la materia e lo spirito.
Nell’Esodo e nel Deuteronomio è scritto: ‘levando il tuo scalpello sulla pietra la renderai profana’. La scultura come forma dissacratoria di una purezza divina? L’uomo, modellato a ‘immagine e somiglianza di Dio’, ha usato la pietra per avvicinarsi al mistero divino. Lavorando una materia così resistente, lo scultore cerca di scoprire il senso e l’essenza della vita.
È possibile azzardare che l’uomo ‘assomigli’ alla pietra? O meglio le pietre sono un simbolo prezioso del lato più inaccessibile della natura umana? Sì, è come se l’uomo conservasse intatte nei suoi centri interiori le emozioni, i sentimenti, le fantasie. Accostare uomo e pietre è atto di coraggio, ma è la miglior rappresentazione dell’esperienza umana più intima e perfetta.
Con le pietre è possibile esprimere ciò che a volte, con le parole o con i gesti, non è possibile fare, lasciare un sasso sulla tomba d’un proprio caro o donarlo come un piccolo talismano, è parte d’un rito prezioso e diffuso. La pietra riesce a ‘dire’ parole che non si è capaci di pronunciare. La pietra rivela tutto ciò che è inesprimibile.
Le pietre sono i monumenti, le cattedrali, i palazzi, i templi. L’uomo ha innalzato pietre, le ha tagliate, scolpite, erette per trasformarle in capolavori dell’arte e dell’architettura.
Ma, alla base di questi miracoli, vi è un piccolo gesto: l’uomo che incide, come se fosse un racconto personale, una superficie solida. Su gusci di tartaruga o su ossa sbiancate artisti sconosciuti hanno scritto le loro storie più sacre e nascoste.


fg207
Le pietre
È cominciato davvero su una spiaggia. Come molti, raccoglievo i ciottoli lavorati dalle onde e dalla sabbia. Erano pietre levigate, piccole, colorate, ognuna diversa dalle altre, raccolte forse per ritrovare quelle parti nascoste dentro di me, frammenti quasi primordiali, radici sotterranee che solo dopo un lungo lavoro di ricerca interiore, e non senza difficoltà, si riescono a portare alla luce.
Queste pietre, per anni, hanno riempito sacchetti. Erano disseminate in ogni angolo della mia casa, erano confuse, quasi ammonticchiate le une sulle altre. Come se non avessero una forte identità personale. La mia ‘collezione’ non aveva uno scopo. Almeno non lo percepivo. Fino a quando una sera qualcosa, per caso o per incroci della mente, è accaduto. Stavo disegnando su una tela i miei strani simboli astratti, quando una pietra mi ha distratto. Ho capito che potevo lavorare con quelle pietre,che potevo provare ad avere un rapporto profondo con quei ciottoli che avevo sottratto al mare. Potevo, in altre parole che non so spiegare, portare la mia identità all’interno della forza delle pietre. Le meditazioni mi conducevano per mano a dei segni astratti: potevo chiudere gli occhi e lasciare che questa stessa mano disegnasse per poi finalmente incidere e scolpire.
Qualche mese più tardi, dopo numerosi tentativi, dopo ricerche accanite sulle tecniche, sono riuscito a incidere, con risultati per me soddisfacenti, il mio primo sasso di mare. Non era davvero possibile fermarsi: da allora ho inciso innumerevoli sassi e ciottoli. E’ stato un lavoro lillipuziano. Ho provato ad andare oltre, a cercare spazio e dimensioni, ho provato a cambiare superfici: ho cominciato a lavorare con grandi lastre di pietra. Ed è stata una magia improvvisa: ogni bassorilievo era un frammento di me stesso, ho provato a usare il colore ed è stato come se la pietra, riconoscente, abbracciasse, facendoli diventare suoi, i miei segni incomprensibili. Spirito e materia stavano davvero allacciandosi uno all’altro.
Sono certo che i disegni che incido sulla pietra provengano da quel “profondo” che si trova in ognuno di noi. Sono segni di un’antica memoria che ci accompagna da sempre. Le pietre possono aiutare a ritrovare questa memoria perduta.
Il lavoro d’incisione e di scultura è un graffio sulla superficie, ma è capace di portare alla luce linee profonde e sedimentazioni prima invisibili. La pietra stessa si fa artista: i miei disegni si affratellano con le rughe della materia, con le stratificazioni di una sconosciuta geologia. Nelle pietre si ritrovano solarità ed energie dimenticate, figlie smarrite di infinite mutazioni.

Materiali
Le pietre utilizzate provengono da varie parti del mondo, come ad esempio il “papiro” dall’Egitto, il “samarcanda” dalla Tunisia, il “marquina” dalla Spagna, “l’alberese” dal toscano Chianti, il “bianco” da Carrara, “l’ardesia” dalla Liguria, il “botticino” dalla Puglia. Anche se le lastre provengono da uno stesso blocco, non esiste mai una superficie uguale all’altra. Ogni scultura è unica, irripetibile: non vi sarà mai uno stesso disegno, uno stesso bassorilievo. Dimensione, peso, spessore, taglio, sono, in realtà, un momento di incontro fra lo scultore e il materiale: è come un incontro casuale e prima di ogni storia approfondita, ci sono mille variabili, mille tentativi, mille insuccessi o malintesi fra me e la mia opera. Ma, alla fine, la pietra prende una forma, una sua dimensione, una sua fisicità diversa.

Utilizzi
Le incisioni su pietra divengono storia quotidiana, abitudine, oggetti d’arte senza tempo da osservare, da sfiorare con la punta delle dita, occorre far giocare la luce radente d’un tramonto o di una lampada con queste opere e per istante è necessario che uomo e pietre, occhi e disegno diventino una sola anima, una “cosa propria” da toccare, guardare da distanze diverse.
I bassorilievi su pietra, trovano la loro applicazione in ambienti sia esterni che interni, non solo come semplici oggetti artistici, ma bensì come parti integranti di un insieme più ampio, che veda il bassorilievo intimamente legato ad un contesto architettonico o paesaggistico, fatto questo non così frequente, visto che raramente l’opera d’arte è o diventa struttura architettonica.
In particolare le lastre incise possono trovare numerose applicazioni, come ad esempio: elementi di interior design, grandi pannelli divisori, elementi di percorso, strutture di seduta o attesa, fontane e piscine, fino a divenire grandi Menhir o Stele ad indicare precisi punti o percorsi itineranti all’interno di grandi spazi pubblici o privati.

Giuseppe Lorenzi

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2 Giugno 2006

Recensioni

La recensione di Siti

La stereotomia, come si sa, è la tecnica, derivata dalla geometria descrittiva, del disegno e del taglio della pietra che presiede alla costruzione di opere murarie.
Gli architetti hanno fatto particolarmente ricorso alla stereotomia, soprattutto nei periodi storici in cui ha prevalso l’impegno estetico (Grecia classica) o l’impegno verso la tecnica costruttiva (gotico), comunque sempre in una costante e viva dialettica tra statica ed estetica, tra firmitas e venustas.
Tutto ciò sembrerebbe materia d’altri tempi, se non fosse venuta alla luce l’enciclopedica pubblicazione di Alfonso Acocella su “L’architettura di pietra”, appena messo in circolazione da Lucense Alinea, che ce lo ricorda e ce lo illustra.
Una sistematica e gigantesca opera di riflessione sul costruire in pietra, illustrata con foto, disegni e apparati iconografici che ricordano il “Trattato di architettura” di antica memoria, ma che va oltre il Trattato potendo far tesoro di una quantità di esempi e di riferimenti con l’intento di riproporre una sorta di “riabilitazione” dei sistemi litici di costruzione.
Dalla confusione e dalla velocità percettiva del presente appare in tutta la sua apprezzabile sapienza “il disegno delle cose”, e le “prassi esecutive” per poterle indagare ed eventualmente rielaborarle e ristrutturarle.
Dagli archetipi primordiali alle moderne attualità: la lettura circolare dei rimandi, nel mentre testimoniano di una continuità solo apparentemente interrotta o rallentata, contribuisce a sollecitare una riproposizione o meglio un aggiornamento dello “stile litico” e della stereotomia.
Aggiornamento che, tenacemente e persistentemente da tempo invoca Claudio D’Amato dalla Facoltà di Architettura di Bari, e che potrebbe assecondare la stereotomia a processi di modellazione informatica per rilanciare la ricerca tettonica, riallacciando tradizione e innovazione su un ritrovato senso del progetto e dell’architettura a carattere murario.
Dunque se Acocella, attraverso il lungo viaggio fra la storia e le tecniche del costruire in pietra, in qualche modo sostiene il perdurante uso della materia litica come dimostrato da tanta nuova architettura che la esibisce in vario modo, non è ozioso pensare, con D’Amato, che è possibile avvicinare le tecniche della tradizione e del repertorio che Acocella ci ripropone alla tecnologia più avanzata che permetta la collaborazione fra sistemi costruttivi tradizionali (murature portanti) e sistemi avanzati (elementi presollecitati).
Se questo è il senso dell’enciclopedico lavoro di Acocella, è certo che si apre per la disciplina un campo di nuova ricerca sul più appropriato uso della pietra.

(Siti n°4, 2005)

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2 Giugno 2006

Recensioni

La recensione di Marmor

L’Architettura di Pietra
I linguaggi costruttivi della pietra hanno determinato, fin dalle proprie origini, soluzioni tecnologiche e modelli strutturali che, nel tempo, ne hanno esaltato le stesse caratteristiche estetiche e visive, formando un preciso ambito disciplinare che ad oggi delinea procedimenti e modi tipici del costruire nell’impiego versatile di questo materiale, in ogni epoca ed in ogni luogo.
“L’Architettura di Pietra”, di cui al volume di Alfonso Acocella, edito da Lucense Alinea di Firenze, anno 2004, raccoglie l’istanza della storia, della modernità, della suggestione, dello spunto, della tradizione e dell’innovazione di questo versante applicativo della materia, presentando le tecnologie come coerenti soluzioni espressive di questi percorsi costruttivi, in ogni caso riconducibili alle civiltà, ai luoghi ed alle forme molteplici di questa risorsa “massima” dell’architettura.
Il testo stesso, a cui fa riscontro la ricchezza della documentazione grafica e fotografica di corredo, consegna al lettore le emozioni intatte e le suggestioni vive che si traggono dall’impiego di questo materiale naturale di unica bellezza; tale viene ad essere qui rappresentato come punto di vista specifico ed originale del comporre e del pensare l’architettura, chiarendo i percorsi storici ed evolutivi che ne hanno affinato gli aspetti tecnologici ed estetici più significativi, dall’antichità ai nostri giorni.
Il senso ed il luogo del “progetto della pietra”, che individua la linea espositiva del libro stesso, intende catturare la curiosità e l’attenzione professionale degli architetti, degli ingegneri e degli operatori del settore, parimenti favorendo momenti di interesse e di passione nella sensibilità e nella conoscenza motivata degli artisti, degli storici e dei generici cultori di questo specifico mondo, in cui da sempre si sono ritrovati e raccolti i valori fondamentali della “durata dell’architettura” e della “forma stabile” all’interno della cultura e della sensibilità dell’uomo di ogni tempo.

(Marmor n°87, 2005)
(Visita il sito Giorgio Zusi Editore)

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2 Giugno 2006

Recensioni

La recensione di Marmo macchine international

Con la locuzione "architettura di pietra" convenzionalmente si suole intendere un’architettura nella quale la pietra è predominante (strutturalmente e/o come rivestimento).
La pietra, sicuramente il materiale da costruzione più diffuso in natura nelle sue infinite varietà, sottende una promessa d’eternità a quei manufatti per i quali da millenni l’umanità ha duramente lavorato. Un lavoro molto complesso, soprattutto quello della pietra squadrata, che fin dai primi tempi ha richiesto metodi e procedimenti organizzati, perfezionati e trasmessi attraverso le attività di chi ha insegnato con la propria opera, di generazione in generazione, attraverso i magisteri costruttivi della tradizione.
La gran frattura attuata dalla rivoluzione industriale, la necessità di una sempre più elevata produzione unita all’esigenza di una sempre maggiore rapidità esecutiva ha condotto ad una profonda modificazione dei magisteri costruttivi già in età premoderna.
L’attualità è caratterizzata da una continua ricerca dei nuovi codici dell’architettura ed il progettista fa riferimento a materiali e a tecniche per la creazione di una forma che non è prevedibile dall’inizio. Ma i materiali e le tecniche sono in permanente evoluzione. Ciò anche nel caso di quei materiali naturali come la pietra che apparentemente non sono modificabili nella loro intima sostanza e che invece assumono altre valenze quando vengono prodotti e trasformati con nuove tecnologie (ad esempio con l’impiego di macchine a controllo numerico, o mediante l’accoppiamento con altri materiali a formare compositi ecc.).
Pertanto, progressivamente, chi si occupa d’ architettura è sempre più attento a scenari di ricerca tecnologica che si aprono in ambiti molto diversi da quelli dei tradizionali magisteri costruttivi. Ciò se per un verso costituisce un aspetto positivo, in quanto si offrono occasioni con soluzioni insperate, dall’altro tende a sfuggire il ruolo del soggetto che dovrebbe essere al centro della progettazione.
Lo sforzo necessario è quello di riportare al suo ruolo il progettista. In questo senso il monumentale libro di Acocella già nel suo sottotitolo, "antichi e nuovi magisteri costruttivi", promette (e mantiene) una seria ricerca sulla continuità concettuale tra l’attività di chi ha insegnato operando nel passato e di chi opera insegnando nel presente.
Questo difficile compito d’informazione non poteva essere condotto mediante la stesura di un tradizionale testo manualistico che per sua natura descrive il mero "saper fare". Acocella, abilmente, descrive il suo percorso nel risvolto di copertina: “Nè trattato, nè manuale, nè libro di critica o di storia, nè repertorio di exempla, ma libro a cavallo dei vari generi. Un’opera a stampa quale risultato di fusioni, di associazioni, di elementi nuovi integrati da "elementi di spoglio" “.
Nei nove capitoli (Inizi, Muri, Colonne, Architravi, Archi, Superfici, Coperture, Suolo, Materia) sono ampiamente descritti, nelle diverse categorie d’appartenenza, esempi di architettura di pietra dal più lontano passato fino ai nostri giorni. Con ciò la pietra (nelle sue diverse accezioni commerciali di marmi, graniti, travertini e pietre in senso proprio) viene sublimata come materiale privilegiato dell’architettura nelle sue proprietà simboliche, espressive e tecnico-applicative.
In sostanza si tratta di un testo di cultura architettonica e, al contempo, di una grande costellazione di conoscenze, suggestioni ed indicazioni di grande utilità a chi crede in un nuovo ruolo del progettista dell’architettura di pietra sia esso professionista, studente, operatore del settore lapideo o semplice curioso della materia.

Giorgio Blanco
(Marmo macchine international n. 50, 2005)

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2 Giugno 2006

Recensioni

La recensione de L’architetto italiano

La pietra è un materiale da costruzione il cui impiego ha accompagnato il corso della storia dell’Architettura occidentale, lasciando un’impronta particolarmente profonda nell’area mediterranea. Una parte molto significativa delle forme archetipiche ricorrenti oggi nelle costruzioni (anche quelle realizzate con materiali non lapidei) derivano infatti dall’impiego della pietra. E le possibilità semantiche e tecniche connesse all’uso della pietra in epoca contemporanea si sono ulteriormente ampliate, poichè sono mutati i modi d’impiego prevalenti del materiale, che si è fatto sempre più rivestimento e sempre meno materia portante.
Questa coesistenza di una natura tettonica legata a un passato ancora vivo nel presente e di una natura innovativa legata a numerose nuove possibilità compositive e tecnico-costruttive (a umido o a secco, artigianali o industriali) fa del tema dell’uso della pietra in Architettura un argomento di grandissima suggestione, ma anche di enorme complessità. Alfonso Acocella, professore di Tecnologia dell’Architettura presso l’Università di Ferrara, architetto, non evita la sfida di questa complessità, ma anzi la affronta addentrandovisi attraverso molteplici percorsi – storico, compositivo, costruttivo, produttivo – senza tralasciarne intersezioni e interdipendenze, con la sicurezza e la profondità di visione che solo intensi e continuativi studi – quali quelli da lui svolti – attorno a un materiale murario come il laterizio (le cui modalità d’uso sono per molti versi imparentate con quelle delle pietra) potevano fornire.
Il risultato dello sforzo è lo splendido, monumentale volume L’architettura di pietra – antichi e nuovi magisteri costruttivi.
L’intento leggibile in filigrana nell’opera è quello dell’individuazione di linee progettuali e di strategie tecniche di impiego dei materiali lapidei valide per il tempo presente, verificate nel contenuto tecnologico e nelle possibilità figurative attuali, ma anche inquadrate in una prospettiva storica. Nonostante la complessità dell’impegno, lo svolgimento della trattazione risulta solidamente organizzato e scorrevole, grazie alla lungimirante scelta di articolarlo – in considerazione del ruolo centrale della pietra nella nascita e/o nel consolidamento delle forme architettoniche primigenie – secondo entità costruttive archetipiche ricorrenti nelle architetture di tutti i tempi: muri, colonne, architravi, archi, superfici, coperture, suolo (riservando al capitolo “materia” la trattazione tecnica delle fasi produttive dei manufatti in materiale lapideo); scelta che consente di individuare le possibilità future relative a ciascuno di detti ambiti tematici alla luce del loro percorso evolutivo (Gabriele Lelli, Davide Turrini e Alessandro Vicari hanno fornito, con puntualità e competenza, contributi critici ai testi in parti circoscritte del volume). E la strategia attraverso la quale è perseguita la tesi di fondo del testo – quella, appunto, dell’attualità dell’architettura in pietra – è la più impegnativa tra quelle possibili, ma anche la più persuasiva, perchè diretta e lontana da rischi di mistificazione: l’autore, dopo avere inquadrato le soluzioni offerte storicamente dalla pietra per la declinazione di ciascun tema archetipico, portando testimonianza della bellezza dei manufatti del passato, presenta puntualmente esempi significativi contemporanei, analizzati negli aspetti tecnici e compositivi salienti. Pagina dopo pagina, in questo modo, si forma nel lettore coscienza del fatto che la trattazione non costituisca solo una testimonianza di un vivo interesse per le possibilità architettoniche connesse all’uso di un certo materiale e un incoraggiamento all’impiego di questo, ma anche una convinta argomentazione in favore di una idea di architettura: un’architettura della materia e delle radici, viva nel colore e nella testura.
L’interesse dell’opera è completato da una impaginazione inconsueta ed accattivante (derivante dal progetto grafico di Massimo Pucci) – che rende desiderabile il volume anche come oggetto da fruire a livello sensoriale, attraverso la lettura delle immagini e il semplice godimento delle forme sulla pagina – e da una suggestiva e precisa restituzione fotografica delle opere analizzate, resa possibile dall’impiego di un ricco repertorio, in gran parte costruito dallo stesso autore.
Per l’insieme di questi motivi, l’Architettura di pietra costituisce l’opera italiana di riferimento sul tema dell’impiego della pietra in Architettura; di certo per il tempo presente, ma con ogni probabilità anche per i decenni a venire, in ragione della sua ricchezza tematica e del suo elevatissimo livello qualitativo.

Gian Luca Brunetti
(L’architetto italiano 2005)

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2 Giugno 2006

Recensioni

La recensione di Archaedilia

L’autore si conferma attento conoscitore, instancabile ricercatore, capace di condurre il lettore in un percorso graduale di approfondimento del vasto ambito del rapporto pietra-architettura. Non solo della pietra in quanto materia multiforme della natura, ma della poetica del suo impiego come materiale per l’architettura dalle molteplici potenzialità, a partire dalle originarie sperimentazioni egizie, attraverso la definizione degli archetipi e la instaurata tradizione dello stile litico, sino alla rivisitazione della recente cultura di progetto delle opere di architettura contemporanea. La struttura tematica complessiva del volume, delineata nell’indice generale, è composta dalla sequenza di diversi capitoli corrispondenti ai principali elementi costruttivi quali: i muri, le colonne, gli architravi, gli archi, le superfici, le coperture, il suolo e la materia, che concorrono alla formazione dell’opera architettonica.
Opera equilibrata, composta da testi teorici, citazioni, disegni tecnici e immagini originali , valutati e inseriti con coerenza e misura, ai quali sono stati affidati i difficili ma riusciti intenti di concorrere alla rivalutazione del sapere progettuale e costruttivo della tecnologia lapidea, per molto tempo trascurata a causa del prepotente insorgere delle nuove tecnologie basate su materiali artificiali, e di "mantenere in vita la memoria di generi diversi" della letteratura d’architettura, svincolandosi concettualmente dalla contemporanea modalità di approccio ai temi della disciplina.
"La progettazione di una nuova architettura del libro di architettura", come frutto di una attenta e metodica opera di riflessione, come tentativo di sintesi globale e attualizzazione dei concetti sostanziali della disciplina indagata. Operazione culturale, questa, sulla quale l’autore concentra da anni il suo lavoro, ma che avverte come sempre più solitaria all’interno di azioni editoriali sviluppate alla "periferia dei temi della disciplina".
L’architettura di pietra indaga e svela l’essenza della materia nella sua complessità attraverso l’utilizzo di variati registri indagativi: storico-culturale, tecnico, architettonico, progettuale. Ed è proprio per questa pluralità d’intenti e sfaccettature che l’opera a stampa non può essere definita un manuale, un trattato, un libro di critica o di storia dell’architettura, ma una fusione di tali generi, ovvero un testo che tenta di elaborare una "nuova architettura" del libro. Un volume nuovo nell’articolazione dei contenuti, nei rapporti tra i diversi livelli di informazione, nella natura e nel carattere dei dispositivi comunicativi dell’opera affidati a Massimo Pucci. Proprio a quest’ultimo si deve l’essenziale regia grafica, elegante linea conduttrice, che facilmente si adatta alle necessità del viaggio indagativo teso alla ricerca di un spazio di riflessione necessario alla rivalutazione di un materiale da costruzione fondamento dell’architettura.
Spazio di riflessione nel quale il pensiero trova la possibilità di fluire in più direzioni: seguendo il filo conduttore proposto dall’indice del testo, attraverso i capitoli principali, oppure approfondendo ambiti scindibili dall’unitarietà dei contenuti del volume, come i fondamenti basilari dell’architettura di pietra, i modi e le prassi esecutive della tecnica del costruire, le opere contemporanee, quali esempi emblematici per l’attualizzazione dello stile costruttivo litico, ed altri possibili campi d’interesse, ispirati dai tanti "riferimenti culturali" presenti nel volume.
Paola Rossi

(Archaedilia n. 10, 2005)

(Visita il sito Faenza Editrice)

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