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29 Maggio 2006

Appunti di viaggio

Sulle vie di Damasco


Colonnato a Palmyra (foto Giuseppe Lorenzi)
fg201
Sulle vie di Damasco
Per me che delle mie pietre incise riempio i cassetti, le cantine a volte sconfinando, per mancanza di spazio in ambienti altrui, quelli di amici che ospitano le mie sculture, il viaggio e non la vacanza che ho avuto il piacere di compiere in terra Siriana ha lasciato una forte e "pesante" sedimentazione.
Gli edifici, gli spazi, le sculture e i cimiteri in terra siriana vivono di pietra, ma soprattutto d’emozioni in lei raccolte e protette da millenni. Forse è anomalo pensare che delle semplici pietre possiedano una qualche storia interiore, un loro vissuto emozionale, ma se si lasciano andare le razionalità mentali tipiche della società industrializzata e ci si permette di ascoltare ed osservare in profondità, è possibile accorgersi che quelle antiche pietre calcaree e basaltiche, bianche e nere, che fanno mostra di se nei cortili delle case Damascene o d’altri edifici, parlano in silenzio proteggendo l’osservatore da quegli influssi esterni che spesso ci allontanano dal sentire interiore.
Soffermarsi all’interno di un antico cortile o nel grande spazio aperto di una moschea lascia spesso meravigliati, le pietre della pavimentazione, calpestate per secoli da piedi scalzi di fedeli o semplici visitatori, sono divenute lucide pulite, accogliendo quel senso di purezza che per prima la pietra anche non lavorata esprime.
Forse proprio il senso di purezza e quindi di divino, traspare dalle pietre, basta recarsi, dopo un viaggio breve (circa 2 ore da Damasco) non proprio confortevole, al monastero di Deir Mar Musa El-Habashi in pieno deserto, negli anni ristrutturato completamente da Padre Paolo, ed entrare nella piccola chiesa di pietra e d’affreschi risalenti all’anno 1000, per rendersi conto come quanto prima detto, divenga realmente tangibile.
Al di là dell’aspetto religioso, che non a tutti appartiene, si è colti comunque da un senso di rispetto, di magico rapimento, vicino a quel pianto che alle volte proviene dalla meraviglia verso lo sconosciuto che si fa tangibile. L’edificio, la roccia, le pietre, gli antichi affreschi parlano al visitatore attento permettendogli di divenire esso stesso pietra angolare di una vastissima costruzione.
Così proseguendo il viaggio in vari luoghi, fra le splendide vestigia di Palmyra con i suoi 1300 metri di colonnato, dentro il grande suk coperto d’Aleppo, fra le enormi pietre del Krak des Chevaliers, nell’anfiteatro di Bosra o fra le gole di pietra del villaggio di Maalula dove ancora si parla l’aramaico, antica lingua del Cristo, s’incontrano pietre e storie ed emozioni che trattengono il visitatore attaccandosi ad esso, per non dargli la
possibilità di scordare che della pietra ognuno è una piccola infinitesimale parte.

Giuseppe Lorenzi

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26 Maggio 2006

Letture

Atlante delle facciate
Grande Enciclopedia di Architettura num. 18

Atlante delle facciate
Grande Enciclopedia di Architettura num. 18

Thomas Herzog, Roland Krippner, Werner Lang
2004, Torino, UTET, pp. 320, ill.
€ 106.40

Mettiamo il caso di un progettista alle prese con la facciata del suo ultimo progetto. Mettiamo anche che egli abbia in mente il materiale col quale realizzarla.
Mettiamo che, però, abbia delle difficoltà a coniugare il materiale con il sistema complessivo dell’involucro.
Servirà allora un Atlante in grado di fornire delle mappe per orientarsi nel tema delle facciate. E chi poteva svolgere il ruolo di curatore di questo Atlante meglio di Thomas Herzog!
La trattazione, infatti, risulta chiara e arricchita con moltissime immagini, dettagli, fotografie e schemi. Il testo è articolato in due macrosezioni: nella prima si tratta in maniera sistematica ciò che sta alla base della tecnologia dell’involucro, i fattori esterno/interno, i sistemi costruttivi, la modularità e i requisiti prestazionali. Nella seconda sono presi in esame i singoli materiali da costruzione: la pietra naturale, l’argilla, il calcestruzzo, il legno, il metallo, il vetro e le materie plastiche. Questa seconda parte si conclude con tre temi di approfondimento: i rivestimenti a doppio involucro, i manipolatori e le tecnologie solari.
Particolarmente utile al progettista smarrito risulta la seconda sezione del testo: infatti, per ogni materiale viene fatta un’introduzione tecnica in cui si affronta brevemente la storia, l’estrazione, l’uso originario, le principali caratteristiche prestazionali, fisiche, chimiche, e i formati disponibili; a questa segue una parte consistente di esempi di facciate realizzate con il materiale in questione, con immagini, sezioni, e schemi compositivi della facciata.
Il primo materiale preso in considerazione è la pietra naturale: se ne elencano le tipologie, i metodi di estrazione, i metodi di trattamento della superficie, il dimensionamento delle lastre, i sistemi di ancoraggio. Gli esempi riportati sono realizzati sia con facciate ventilate rette da una struttura in acciaio, sia seguendo il principio del rivestimento con lastre sottili. Di seguito si affronta l’argilla: dopo una breve trattazione storica si affrontano i suoi diversi modi di utilizzo, sia per le terrecotte che per le ceramiche. Gli esempi riportati esplicano diversi modi di utilizzo: dal muro realizzato in argilla secca pressata, alla facciata con struttura in legno o in acciaio e rivestimento esterno in piastrelle o lastre, fino a sistemi di facciate appese e ventilate.


Convento di Moldau, Romania, XVI sec.
fg200
La terza parte tratta il calcestruzzo: dopo la trattazione tecnica gli esempi mostrano realizzazioni svolte sia con pannelli prefabbricati, sia con elementi realizzati in opera; particolare attenzione è dedicata al trattamento superficiale di finitura.
Il legno è il quarto materiale che viene affrontato e, come per gli altri, prima se ne trattano in maniera sistematica le proprietà, le essenze, i tipi di taglio, e i pannelli ricomposti con leganti sintetici, poi gli esempi riportano sia edifici realizzati completamente con la tecnologia del legno, sia con tecnologia mista, in cui il legno diventa rivestimento esterno ed interno.
Si tratta poi dei metalli, della loro origine, di quelli puri e delle leghe più importanti (ferro fucinato, ghisa, acciaio). Da Jean Prouvè a Frank Gehry si analizza l’evoluzione nell’uso di questo materiale in facciata: dalla lamiera, ai pannelli sandwich, fino alle griglie, alle lastre forate, e ai tessuti metallici. Gli esempi anche in questo caso propongono soluzioni progettuali realizzate con struttura in acciaio, pannelli sandwich in metallo, lamiere di rivestimento, elementi frangisole, e strutture miste.
Ampia trattazione è riservata al vetro per le numerose possibilità che questo materiale riserva. Infatti, nel passaggio da elemento naturale al suo sviluppo come prodotto industriale, il vetro ha subito un notevole potenziamento prestazionale, che non si è ancora fermato. Dalle diverse tonalità di colorazione della singola lastra, al vetro stratificato, al vetro camera, vengono enunciate sinteticamente le capacità di fonoassorbenza, riduzione della trasmissione dei raggi solari, e di resistenza al fuoco; oltre ad una parte riservata ai trattamenti superficiali quali l’acidatura e la serigrafia. Gli esempi mostrano facciate ventilate vetrate, con struttura in acciaio, e facciate monolitiche eseguite ad esempio in vetrocemento.
L’ultimo capitolo è dedicato alle materie plastiche e all’evoluzione nel loro utilizzo come rivestimento esterno. Si possono riassumere in due macrogruppi: uno costituito dagli elementi modulari (pannelli) e l’altro dalle strutture pretensionate. Del primo gruppo vengono elencati i profili in commercio e le caratteristiche prestazionali, del secondo vengono descritte sia le caratteristiche tecniche e le componenti chimiche del telo che i vari giunti di tensionamento.
Il volume si conclude con tre sezioni dedicate a sistemi particolari: i rivestimenti in vetro a doppio involucro, i manipolatori e le tecnologie solari. Anche per questi argomenti vi è una trattazione tecnica seguita da numerosi esempi e sezioni. Per quanto riguarda i rivestimenti a doppio involucro risultano interessanti gli schemi per il mantenimento della temperatura ideale, con il ricircolo d’aria nell’intercapedine in grado di rinfrescare l’edificio in estate e di riscaldare in inverno. La sezione sui manipolatori, oltre ad offrire un riassunto sui vari sistemi di chiusura, offre anche numerosi esempi di sistemi di oscuramento innovativi, sia nella forma che nella tecnologia. La parte conclusiva risulta particolarmente interessante, mettendo in evidenza come i sistemi di pannelli solari possano essere integrati nei rivestimenti diventando un vero e proprio motivo di facciata.
Tornando allora al progettista disorientato, egli troverà nelle numerose immagini e disegni di edifici costruiti molte delle risposte che stava cercando all’inizio della lettura. Se è vero che l’atlante nasce come testo che riassume al suo interno mappe per orientare i viaggiatori e suggerire loro nuovi itinerari, così il testo della UTET suggerisce una possibile mappa interpretativa del tema della facciata. Ciò che forse mancherà di sapere al progettista più puntiglioso, saranno i nomi delle ditte in grado di fornire determinati prodotti e determinate lavorazioni, anche se questo, forse, non sarebbe stato politicamente molto corretto.

Veronica Cupioli

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24 Maggio 2006

Eventi Pietre dell'identità

rossoitaliano

Pavimentazioni in cotto dall’Antico al Contemporaneo

Inaugurazione mostra
Sabato 27 maggio 2006 ore 17,30
Museo dinamico del laterizio e delle terrecotte di Marsciano
Palazzo Pietromarchi – Marsciano (PG)

Interventi
Gianfranco Chiacchieroni
Sindaco di Marsciano
Alfonso Acocella Curatore della mostra
Maria Rita Lorenzetti Presidente della Regione Umbria

Presentazione
La forza del “rosso italiano” sta nel vivere intensamente ed insieme sensazioni e storie d’Italia, attraverso la mostra di terra manipolata, cotta e usata dall’uomo in diverse epoche e situazioni.
Si tratta di un mosaico che dà il senso parziale di un’ipotesi d’insieme che convince il visitatore disincantato d’Italia, curioso di scoprire il nostro Paese attraverso fili sottili e un po’ sotterranei, che messi insieme possono dare il senso di una storia d’Italia descritta con il cotto.
Marsciano propone questo viaggio con il prof. arch. Alfonso Acocella che dalle attività di ricerca del Comitato scientifico del Museo Dinamico del Laterizio e delle Terrecotte, ci propone questo primo lavoro come premessa di una lunga ricerca nel rapporto fra uomo e terra, fra mente e manualità della stessa.
In questo contesto anche le attuali produzioni artigianali e industriali assumono un valore storico e culturale e non solo di merce di scambio (coppi, tegole, mattoni e vasi). Tutto ciò serve per rimettere al centro l’uomo e la sua vicenda, i suoi rapporti, i suoi mezzi di produzione.
La possibilità di visitare il percorso del Museo attraverso le sue antenne, quali il laboratorio di Compignano, le antiche fornaci per la produzione di laterizi a mano in località Fornaci di Compignano, l’esposizione di terrecotte di Spina nell’antico castello ricostruito dopo la distruzione del 1416 ad opera di Braccio Fortebraccio, è la cornice naturale che fa da sfondo alla mostra Rossoitaliano.
Benvenuti nel territorio dei piccoli borghi di Marsciano.

Gianfranco Chiacchieroni
Sindaco di Marsciano


Villa d’età repubblicana ad Anzio. Opus signinum con losanghe e crocette.
(foto Solazzi)

Le pietre rosse dell’artificio
In quale fase storica è realistico collocare le origini del pavimento in laterizio? Quale civiltà ha inventato e, soprattutto, sviluppato per prima tale soluzione applicativa dell’argilla cotta? Quali i caratteri e l’evoluzione lungo le fasi storiche della civiltà italiana? È rintracciabile ancora un ruolo evidente dei pavimenti laterizi nella vicenda contemporanea d’Italia?
A queste domande il progetto della mostra Rossoitaliano. Pavimentazioni in cotto dall’Antico al Contemporaneo tenta di dare una risposta – sia pur interlocutoria e non definitiva – attraverso un evento espositivo temporaneo, ideato per essere allestito inizialmente negli spazi del Museo Dinamico del Laterizio e delle Terrecotte di Marsciano e successivamente trasferito in sedi culturali italiane e internazionali.
Lo sviluppo della mostra si snoda attraverso quattro sezioni cronologico-tematiche – Antico, Spazio pittorico, Rinascenza, Rossoitaliano – concentrando l’attenzione su attestazioni archeologiche che ci parlano degli Inizi ed opere d’architettura recenti per porre all’evidenza dello spettatore “scritture pavimentali” in cotto, sia d’esterni che d’interni, rappresentative del tema che giunge fino al presente senza soluzione di continuità.
Il racconto visivo di Rossoitaliano si snoda attraverso quel lungo e affascinante percorso storico che vede i temi di partenza, legati al cocciopesto fenicio-punico e all’opus signinum, evolversi verso i pavimenti in tessere e lastre laterizie del mondo romano, per poi imbastire la trama delle scritture pavimentali policromatiche e monumentali della Rinascenza prima di giungere al Contemporaneo.
Lungo il percorso espositivo è visualizzata una sorta di galleria pittorica inclusiva delle raffigurazioni più significative poste a illustrare la permanenza e la re-interpretazione del tema connesso al “rosso pavimentale” all’interno della grande pittura italiana fra Medioevo ed Età Moderna, utile al confronto con le soluzioni rinascimentali ampiamente documentate soprattutto nell’area territoriale dell’Italia centrale (Toscana, Umbria, Lazio).
L’evento espositivo è rivolto a un vasto pubblico di fruitori: dagli esperti del settore, ai ricercatori, ai progettisti, al pubblico allargato del turismo culturale.
La mostra – parallelamente all’evento reale del Museo Dinamico del Laterizio e delle Terrecotte di Marsciano – vivrà anche all’interno di un progetto innovativo di “mostra virtuale” editata nel website istituzionale del Museo per una fruizione senza limiti di spazio e di tempo. Tale “mostra virtuale” potrà avere un ruolo importante nella condivisione dell’evento presso fasce di pubblico più ampie, in particolare quelle legate al mondo della scuola e delle istituzioni museali connesse sempre più in rete.
Alfonso Acocella


Lacerto pavimentale litico-laterizio dal Museo Archeologico Regionale di Palermo.
(foto Alfonso Acocella)


Museo Dinamico del Laterizio e delle Terrecotte
Marsciano, Palazzo Pietromarchi
27 maggio – 30 dicembre 2006
www.supermuseolaterizio.it

Promotori
Comune di Marsciano
Museo Dinamico del Laterizio e delle Terrecotte di Marsciano
Associazione Museo Dinamico del Laterizio e delle Terrecotte di Marsciano

Patrocinatori
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Regione Umbria
Regione Marche
Regione Lazio – Assessorato alla Cultura, Spettacolo e Sport
Regione Toscana – TRAART Rete Regionale per l’Arte Contemporanea
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana
Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le Province di Firenze,
Pistoia e Prato
Soprintendenza per i Beni Architettonici, per il Paesaggio, per il Patrimonio Storico,
Artistico e Etnoantropologico dell’Umbria
Associazione Dimore Storiche Italiane
Italia Nostra Onlus
ANDIL – Associazione Nazionale degli Industriali dei Laterizi
Ordine degli Architetti, della Provincia di Perugia
Ordine degli Architetti della Provincia di Terni
Ordine degli Ingegneri della Provincia di Perugia
Ordine degli Ingegneri della Provincia di Terni
Collegio dei Geometri della Provincia di Perugia

Sostenitori
Regione Umbria
Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia
Comune di Marsciano
Associazione Museo Dinamico del Laterizio e delle Terrecotte di Marsciano

Progetto scientifico
Alfonso Acocella

Contenuti scientifici
Alfonso Acocella
Veronica Dal Buono
Marco Dean
Emanuela Ferretti
Giovanni Masucci
Davide Turrini, Coordinatore

Traduzioni
Alice Fisher

Progetto Grafico
Alfonso Acocella
Veronica Dal Buono

Progetto dell’allestimento e direzione dei lavori
Paolo Luccioni
Con Jasmin Cherubini e Andrea Spiccalunto

Collaborazione all’allestimento
Flavio Rossi e Silvia Giombini

Allestimento
Produzione allestimento – Macal s.n.c., Bastia Umbra
Corpi illuminanti – Illux s.n.c., Miralduolo di Torgiano
Elaborazione immagini e stampa su tela pittorica – Genesi s.r.l., Città di Castello

Segreteria scientifica
Laura Antonini
Marusca Ceccarini

Segreteria amministrativa
Antonella Trotta

Ufficio stampa e relazioni esterne
Davide Turrini

Progetto comunicativo
Alfonso Acocella
Francesco Carpi Lapi
Rita Rocconi

Promozione
Rita Rocconi – Studio Artemis, Foligno

CATALOGO
Alinea Editrice, Firenze

A cura di
Alfonso Acocella
Davide Turrini

Saggi e altri contributi
Alfonso Acocella
Francesca Abbozzo
Veronica Dal Buono
Alberto Ferraresi
Emanuela Ferretti
Giovanni Masucci
Paola Rendini
Davide Turrini

Bibliografia
a cura di Giovanni Maria Masucci

Progetto grafico e impaginazione
Francesco Carpi Lapi

Cura redazionale
Nicoletta Geminiani

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Cemetery at Longarone. Gianni Avon, Francesco Tentori and Marco Zanuso (1966 – 1972)

This cemetery is where those who died in the Vajont disaster are buried. Designed as part of the long reconstruction project following that tragic night of the 3rd October 1963, the cemetery is situated at Muda Maè, a small hamlet not far from Longarone, lying wedged in between the rocky ravines of the Zoldana Valley.
Avon, Tentori and Zanuso’s design, rather than a series of architectural volumes built above ground, consists of a mixture of spaces, some dug out, others only just emerging from the ground, arranged in a trench-like fashion, as if the architects wished to show that Man’s efforts have not taken anything away from Nature itself. The walls of those spaces dug out of the mountainside have been lined with the same stone that was excavated from the slopes: they are thick walls of roughly-squared ashlars.
Stone embankments of an irregular layout – with masonry courses interrupted, divided into two or levelled using wedges, rough-faced septa that in winding their way into the woods, resemble border walls criss-crossing the mountainsides more than the boundaries of a cemetery. The discontinuity of the joints – where the stones at times touch, while at others they are set apart – constitutes a masonry design that cannot be codified in traditional architectural terms. The silvery-grey local stone is also used in the paving, formed from large slabs alternated with brickwork and cobblestone.
The “reserved” nature of this project is expressed not only in the use of local materials, but also in the decision not to impose the design on the surrounding environment, and to avoid any form of architectural rhetoric. The layout of the cemetery, all of which lies below the level of the surrounding countryside, is characterised by a herringbone pattern within which there are polygonal chambers and circular walls, reminiscent of ancient toloi. These spaces, enclosed up to eye-level by the walls or by the bare-cement burial niches, do not impede the view of the stark surrounds dominated in the distance by the motionless, imposing presence of the dam.
Those visiting their loved ones’ graves may pray in a series of sober, intimate spaces, each different. In Guido Zucconi’s words:
The modestly mimetic nature of the Muda Maè site gives it a very un-cemetery-like appearance, if by cemetery we mean a geometrical, orthogonally-shaped design. Perhaps it reflects the experience of those who have been directly involved in the drama of a local community deprived of everything, even its own houses, as a result of the 1963 catastrophe. The decision to design a low-profile cemetery, so as to attenuate its presence within this specific context, and to build it according to rural tradition, rather than modern urban standards, appears a tacit form of recognition of a community that has already been subjected to an excess of rational design in the past. 1

Davide Turrini

Guido Zucconi, “Longarone, 1964-1972. Nella città ricostruita”, p.92, in Ferruccio Luppi, Guido Zucconi and Gianni Avon, Architetture e progetti 1947-1997, Venice, Marsilio, 2000, pp. 155.

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Cimitero a Longarone di Gianni Avon, Francesco Tentori e Marco Zanuso (1966-1972) *


Il volume cilindirico emergente in prossimità dell’ingresso (foto Alfonso Acocella)
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È il luogo dei morti del Vajont.
Progettato nell’ambito della lunga opera di ricostruzione seguita alla tragica notte del 3 ottobre 1963, il camposanto è situato a Muda Maè, una piccola località vicina a Longarone incastonata tra i dirupi della Val Zoldana.
Anzichè configurarsi per volumi fuori terra, il progetto di Avon, Tentori e Zanuso si articola per spazi a volte scavati, altre appena emergenti dal suolo, posti in sequenza lungo un percorso che si svolge in trincea, come a voler dimostrare che il lavoro umano non ha sottratto nulla alla natura. Le pareti degli scavi condotti nel ventre della montagna, sono foderate con la stessa roccia asportata dal pendio, dando vita a spesse murature in elementi grossolanamente squadrati.
Argini litici dalla tessitura irregolare, a ricorsi interrotti, sdoppiati o ripianati con zeppe, setti dalla superficie scabra che, snodandosi nel bosco, ricordano le murature di confine dei poderi di montagna più che il limite di un cimitero. Alla discontinuità dei giunti, in corrispondenza dei quali i bordi dei massi a tratti si toccano o si allontanano, è affidata la narrazione di un magistero esecutivo per nulla codificabile attraverso canoni fissi. La pietra locale, grigio argentea, ritorna nelle pavimentazioni in forma di grandi lastre alternate a laterizi e a ciottoli di fiume.
La “riservatezza” progettuale non si esprime soltanto nell’accettazione dei materiali del luogo ma anche nella scelta di non imporsi nel contesto naturale, di rifuggire da ogni ambizione di retorica architettonica. L’impianto del camposanto, tutto risolto al di sotto della quota di campagna, presenta un percorso di spina su cui si innestano camere poligonali o recinti circolari a ricordare arcaici toloi. Da questi spazi chiusi fino all’altezza dell’occhio dai muri o dai loculi in cemento nudo, non è impedita la vista del severo paesaggio circostante, dominato sullo sfondo dall’immota ed incombente presenza della diga.
In una catena di episodi spaziali sobri, intimi e diversamente caratterizzati, il visitatore si può raccogliere in preghiera, recuperando un rapporto personale almeno con la memoria di chi si è perso nell’anonimato di una morte di massa.
“Nel suo pudico mimetismo, l’opera di Muda Maè appare come anti-cimitero, se intendiamo come cimitero tutto quello che di geometrico, ortogonale, architettonicamente evidenziato appartiene al tipo canonico. Vi si riflette forse l’esperienza di chi ha direttamente partecipato – con la catastrofe del 1963 – al dramma di una comunità privata anche della propria fisionomia insediativa. La scelta di un profilo basso per il nuovo camposanto, il proposito di attenuarne la presenza nel contesto e di realizzarlo in forme vicine più alla tradizione rurale che agli standard cittadini, tutto questo ci appare come un tacito risarcimento nei confronti di chi ha dovuto subire un eccesso di ratio progettuale”1.

Davide Turrini

(*) Il saggio rieditato è tratto dal volume di Alfonso Acocella,
L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.
1Gianni Avon. Architetture e progetti 1947-1997, Venezia, Marsilio, 2000, pp.155.

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18 Maggio 2006

Eventi

Carlo Scarpa. Disegni mai visti

CARLO SCARPA. DISEGNI MAI VISTI
Lo spazio dell’abitare 1931-1963

27 maggio – 2 luglio 2006
Museo Andersen via P.S. Mancini 20 ROMA
Inaugurazione 26 maggio ore 18

La mostra allestita negli spazi del museo Andersen, sede provvisoria del Centro archivi di architettura del MAXXI, presenta una selezione di 40 disegni autografi di Carlo Scarpa e una rassegna di immagini d’autore delle opere realizzate.
Nella biografia di Carlo Scarpa, l’attività di costruttore di spazi domestici – nell’accezione più ampia del termine – si snoda parallela a quella di allestitore e museografo. Tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta, l’architetto elabora una serie di progetti significativi, spesso poco conosciuti, che si rivelano sostanziali per comprenderne la ricerca progettuale intorno al concetto di spazio dell’abitare. Diverse fonti testimoniano l’attenzione di Scarpa verso i modi di vita del committente – spesso un membro del milieau culturale veneziano – che egli tenta di tradurre in soluzioni architettoniche specifiche.
Se gli spazi dell’abitare ideati nell’ultimo decennio della sua carriera hanno trovato collocazione più volte all’interno di contesti espositivi, al tema affrontato da questa piccola mostra non è ancora stata dedicata una rassegna monografica. A differenza delle opere successive, i materiali grafici prodotti da Scarpa tra il 1930 e il 1960 sono quasi totalmente autografi e in parte inediti.
In occasione del centenario della nascita di Carlo Scarpa, il MAXXI architettura presenta una prima selezione di disegni di alta qualità, sia progettuale che grafica, sul tema dell’abitare, tratti dall’archivio del maestro veneziano. I progetti prescelti riguardano le case e le ville per i committenti veneti, i due complessi di appartamenti a Padova e Feltre, in rapporto dialettico con il contesto urbano, e altri spazi legati all’abitare, come lo Yacht Asta e l’Hotel Bauer a Venezia. La mostra è arricchita da una selezione di fotografie d’autore delle opere in mostra tratte dalla Fototeca Carlo Scarpa del Cisa – Centro Internazionale di Studi di Architettura "Andrea Palladio" di Vicenza.


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La mostra vuole anche testimoniare l’accurato lavoro scientifico di inventario e cura dell’archivio personale di Carlo Scarpa che il Centro archivi di architettura del MAXXI sta portando avanti. Ad oggi si è concluso l’inventario e la riproduzione digitale di un primo nucleo di progetti. Nel corso dell’esposizione sarà presentato il volume con l’inventario dei disegni della Tomba Brion, edito nella collana ElectaOperaDARC.

Progetti in mostra
1931 Casa Pelzel, Murano
1931 Casa Asta, Venezia
1935 Yacht Asta
1937 Casa M., Lido di Venezia
1940 Casa Sacerdoti, Venezia
1942 Casa Pellizzari, Venezia
1943 Casa Grazioli, San Pietro in Gu Vicenza
1944 Casa Bellotto, Venezia
1949 Hotel Bauer, Venezia
1947 Complesso di appartamenti, Padova
1949 Complesso di appartamenti, Feltre Belluno
1949 Casa, Maerne Venezia
1952-53 Casa Ambrosini, Venezia
1953 Villa Zoppas, Conegliano Veneto Treviso
1955-63 Casa Veritti, Udine
1957 Casa Taddei, Venezia
1962-63 Casa Scatturin, Venezia

CARLO SCARPA. DISEGNI MAI VISTI
Lo spazio dell’abitare 1931-1963

27 maggio – 2 luglio 2006
martedì-domenica 9 – 20

Museo Andersen (MAXXI Centro archivi di architettura)
via P. S. Mancini 20 ROMA

2-3-4 giugno "Tre giorni con Carlo Scarpa"
visite guidate gratuite su prenotazione

Relazioni istituzionali e Comunicazione
Lorenza Bolelli
06.58434853

www.darc.beniculturali.it

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15 Maggio 2006

English Ri_editazioni

Dimitris Pikionis in Athens*:
paths of stone, enclosures of dreams

“Convinced that Greece is a bridge between East and West, Dimitris Pikionis, the modern architect born in Athens, cultivated for his entire life, in his soul, the seeds of a hybrid culture focused on hidden relationships, overlapping borders, recurring similarities in apparently distant fields. He was not alone in these pursuits, in the time when his country was struggling to rebound after centuries of decline and occupation.
Around 1930, in fact, artists, writers and poets in Greece were chasing the dream of creating a new culture, expression of a modernity that would not exclude the past, a different past from the falsifications of cliches and the pallid past of academics, a past like a physical and spiritual territory, dense with interconnections and paths. A fundamental figure in this intellectual community, Pikionis was attracted by the pluralism of traditions that contributed to construct a culture of exceptional importance like that of Greece, and to shape a shared Mediterranean territory, to the point of making it the cradle and the backdrop of universal myths. He combined knowledge of these traditions with a passion for modern art. He was an architect by chance, a painter and poet within, having studied fine arts in Munich and later in Paris. Cèzanne, Klee, Kandinsky, avantgarde painters contributed to his background, along with the metaphysical neoclassicism of De Chirico, a friend since his college days. In the forge of his spirit cubism melded with archaeology, the construction techniques of the Greek inland with those of Japan, shaping an already deformed landscape like that of Greece in his time, with a Zen-like capacity to evoke deeper meanings. A cultural influence with the magazine “The Third Eye”, an importer through the publication of European avantgarde art in Greece, and a highly esteemed mentor for entire generations of Greek architects, Dimitris Pikionis ceaselessly explored the ramified paths his visionary gaze led him to trace in the culture of his time, generously offering students and readers the results of his research. From this point of view his work of cultural reconstruction was even more important than his work in the field of architecture. Above all, his writings and his exceptional drawings clearly transmit the geography of his thought and the dimension of his efforts. He had few opportunities to translate the complexity of his vision into architectonic reality. A neorationalist school in Athens, another more traditional school at Salonika, some refined houses for friends, a few fragments of communities imagined and designed with poets and artists constitute nearly all his architectural output, before the two great opportunities of his life: the park of the Acropolis and the playground of Filothei. But even these were marginal projects, at least in the intentions of the clients, entrusted to an architect already in the later part of his life, as a sort of belated recognition. Works apparently without great impact: in the first case, the remaking of pavings, in the second the recycling of a residual space on the outskirts of Athens. But here, between the Acropolis and the Filothei quarter, in the final years of his career, Pikionis created two absolute masterpieces in that discipline which, in the end, had never been his favorite. Actually these works are not specifically architecture, but art in the wider sense of the term. Art that foresees themes and relationships that European artists were to notice only
much later. A premise for Land Art, on a terrain from which he knows how to draw meanings and symbols. A brilliant manipulator of space and time, and the concrete representation of thoughts, at the age of 70 the Greek architect was finally able to put those thoughts into practice precisely in the territory that was their source.
Below the Acropolis, along paths that seem like mosaics or engravings, the essential beauty of Japanese rock gardens is joined with the lines of Klee or Mondrian, and amidst the trees of the park dozens of signs evoke, remember, interpret a complex past, using the fragments of the present. The trajectories traced by the signs on the ground lead the gaze toward the monuments and the mind toward that ramified history for which they provide lofty expression. Archaeological fragments are mixed, in the flooring of the church of St. Dimitris Loumbardiaris or the walls of the past, with pieces of rubble, plaques of marble and concrete, rocks with quarry debris. The Attic landscape, having long lost its integrity, rediscovers life in the micro-compositions scattered along the way, in narrow spaces where the sense of place is renewed and the original meanings that issue from the stones mingle with one another, centuries apart in real time, but close in the game of analogies that governs the sequence of forms and ideas in history.
At Filothei the dreams of children, interwoven with the myths of Greece, become construction and, once again, landscape. No drawings exist to bear witness to the compositional logic, because here, even more than at the Acropolis, the pencil and the drawing table are replaced by steps, observations, memories. Japanese houses, tukuls, ship planking, interrupted bridges, rapidly abandoned camps form a sequence on the small piece of land after one enters a wooden gate that clearly separates two worlds: the common world of a residential neighborhood on the outskirts of the city, and the fantasy world of an enclosure where space-time perceptions are dilated thanks to the poetic talents of an old master.
Stone paths and an enclosure of dreams, therefore, are the greatest legacy of the architect, who like the great artists of the past cultivated and shaped the capacity lo give meaning and depth even to the lightest of signs&raquo.

* Text by Alberto Ferlenga, photographs by Daniele De Lonti,
Published by Interni n.3 in march 2004.

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15 Maggio 2006

Ri_editazioni

Dimitris Pikionis ad Atene:*
cammini di pietra, recinti di sogni


La pubblicazione dell’articolo su "Interni"

“Convinto che la Grecia fosse un ponte tra Oriente ed Occidente, Dimitris Pikionis, architetto moderno nato ad Atene, ha coltivato per tutta la vita, nel suo animo, i germogli di una cultura meticcia attenta alle relazioni nascoste, agli sconfinamenti, al ricorrere, in campi apparentemente lontani tra loro, di cose simili. Non è stato il solo a farlo nel tempo in cui la sua patria cercava di risorgere faticosamente da secoli di declino e occupazioni. Attorno al 1930, artisti, scrittori, poeti hanno perseguito in Grecia il sogno di dar vita ad una cultura nuova, espressione di una modernità che non escludesse il passato, un passato differente da quello falsificato dai luoghi comuni e sbiancato dalle accademie, simile piuttosto ad un territorio fisico e spirituale denso di intrecci e solcato da percorsi. Presenza fondamentale all’interno di questa comunità intellettuale, Pikionis, è attratto dalla pluralità di tradizioni che hanno contribuito a costituire una cultura di eccezionale importanza come quella greca e a plasmare un comune territorio mediterraneo sino a farne la culla e lo sfondo di miti universali. Egli ha incrociato la conoscenza di queste tradizioni con la passione per l’arte moderna che ha avuto modo di conoscere, lui architetto per caso ma nel profondo pittore e poeta, come studente di belle arti a Monaco e poi a Parigi. Cèzanne, Klee, Kandinskij, i pittori dell’avanguardia hanno contribuito così alla sua formazione come il neoclassicismo metafisico di De Chirico, suo estimatore e amico dai tempi dell’università. Dentro la fucina del suo spirito il cubismo si è fuso con l’archeologia, le tecniche costruttive della Grecia interna con l’architettura giapponese, un paesaggio ormai snaturato, come quello greco del suo tempo, con la capacità dei giardini Zen di evocare significati profondi. Organizzatore culturale con la rivista Il terzo occhio, importatore, tramite questa, in Grecia, dell’arte d’avanguardia europea, professore stimatissimo di intere generazioni di architetti greci, Dimitris Pikionis ha percorso incessantemente i sentieri ramificati che il suo sguardo visionario gli faceva rintracciare nella cultura del suo tempo e ha restituito generosamente a studenti e lettori il frutto delle sue ricerche. Da questo punto di vista la sua opera di ricostruzione culturale è stata ancora più importante di quella svolta nel campo dell’architettura. Sono infatti soprattutto i suoi scritti e i suoi eccezionali disegni a trasmetterci con chiarezza la geografia dei suoi pensieri e l’entità del suo sforzo. Poche volte, invece, ha avuto la possibilità di rendere in un’opera architettonica la complessità delle sue visioni. Una scuola neorazionalista ad Atene, un’altra più tradizionale a Salonicco, alcune raffinate case per amici, pochi frammenti di comunità immaginate e progettate con poeti ed artisti sono la quasi totalità del prodotto del suo lavoro di architetto, prima delle due occasioni della sua vita: il parco dell’Acropoli e il parco giochi di Filothei. Ma anche in questo caso si tratta di progetti marginali, almeno nelle intenzioni dei committenti, affidati ad un architetto già avanti con gli anni a mo’ di tardivo riconoscimento. Sistemazioni apparentemente senza peso: nel primo caso il rifacimento di una pavimentazione e nel secondo il recupero di un terreno di risulta alla periferia di Atene.


La copertina di "Interni" n. 3 del marzo 2004
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Ma qui, tra I’Acropoli e il quartiere di Filothei, negli ultimi anni della sua carriera, Pikionis lascia due capolavori assoluti in quella disciplina che aveva, in fondo, poco amato. A ben vedere, nel caso di queste opere, non si tratta specificamente di architettura bensì di arte in senso lato. Arte che anticipa temi e relazioni che solo molto più tardi gli artisti europei incominceranno a praticare. Premessa di land-art, adagiata su di un terreno da cui sa spremere significati e simboli. Geniale manipolatrice di spazio e tempo e rappresentazione concreta dei pensieri che da sempre hanno accompagnato l’architetto greco e che finalmente all’età di settant’anni riesce a ricongiungere con quel terreno dall’osservazione del quale hanno tratto origine.
Sotto I’Acropoli, lungo sentieri che sembrano mosaici o incisioni, l’essenzialità dei giardini di rocce giapponesi si sposa con le linee di Klee o di Mondrian e tra gli alberi del parco decine di tracce evocano, ricordano, interpretano un passato complesso usando i lacerti del tempo presente. Le traiettorie che i segni sul terreno tracciano conducono lo sguardo verso i monumenti ed il pensiero verso la ramificata storia di cui questi costituiscono la vetta più alta. Frammenti archeologici si mischiano, nella pavimentazione della chiesa di S. Dimitris Loumbardiaris o nei muri dei sentieri, con pezzi di macerie, lastre di marmo con placche di cemento, sassi con scarti di cava. II paesaggio attico, da molto tempo scomparso nella sua integrità, ritrova vita nelle micro composizioni sparse sul percorso, in alvei ristretti dove il senso dei luoghi si rinnova e i significati originari che sprizzano dalle pietre si confondono con altri, distanti secoli nel tempo reale ma vicini nel gioco analogico che regola il susseguirsi delle forme e delle idee nella storia.
A Filothei sono i sogni dei bimbi, intrecciati con i miti della terra greca, a divenire costruzione e, una volta di più, paesaggio. Non vi è alcun disegno che possa dare testimonianza della logica compositiva perchè qui, ancor più che all’Acropoli, la matita e il tavolo da disegno sono sostituiti dai passi, dagli sguardi e dai ricordi.
Case giapponesi, tukul, fasciame di barche, ponti interrotti, bivacchi appena lasciati, si susseguono nel piccolo appezzamento di terreno una volta oltrepassata una porta di legno che separa nettamente due mondi. Quello comune di un quartiere residenziale posto ai bordi della città e quello fantastico di un recinto dove le percezioni spazio-temporali si dilatano grazie alla capacità poetica di un vecchio maestro.
Cammini di pietra e un recinto di sogni sono dunque il lascito più grande dell’architetto che come i grandi artisti del passato aveva coltivato e plasmato la capacità di dare significato e profondità anche ai segni più lievi”.

* testo di Alberto Ferlenga, fotografie di Daniele De Lonti, pubblicato da "Interni" n. 3 2004.

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11 Maggio 2006

Eventi Pietre dell'identità

Rosso italiano

Filo rosso, tappeto rosso
Chi indirizzi la progettazione contemporanea alla reinterpretazione di identità del proprio portato storico, così come chi al contrario indaghi sperimentalmente l’innovazione radicale, non può esimersi per motivi diametrali dalla consapevolezza della casistica esemplare pre-esistente cui rivolgersi o viceversa rifuggire.
Con plurima finalità di fornire sia contributo sostanziale al dibattito fra progettisti, sia ordine documentale a chi alla materia si rivolga con interesse storico-critico, il 27 maggio inaugura presso il Museo del Laterizio e delle Terrecotte con sede a Palazzo Pietromarchi di Marsciano (PG) la mostra dal titolo Rosso Italiano, primo appuntamento allestitivo di una serie ampia sugli ambiti laterizi, dall’obiettivo ora a fuoco sui piani pavimentali.
Le quattro sezioni principali dell’esposizione doverosamente muovono dall’Antico, in parte a ripercorrere le fasi costitutive della tecnologia conducente l’argilla ai calpestii, in parte a collocare tasselli di riferimento entro il quadro tematico specifico fino ad ora esplorato in modo inesaustivo. Con attenzione particolare al panorama nazionale si esplorano allora gli episodi primi d’epoca ellenistica entro la fascia della Magna Grecia, poi acquisiti dalla cultura romana e conseguentemente estesi nel territorio e nelle applicazioni in virtù soprattutto di facile reperibilità e lavorabilità del materiale, oltre alla paragonabilità prestazionale ai tipi litici. Si susseguono, superandosi, le realizzazioni in battuto di cocciopesto e le composizioni geometriche di formelle cotte regolarizzate.
Con moto sincrono rispetto agli spostamenti ideali d’arte, di filosofia ed, in breve, culturali in genere, gli approcci ai piani pavimentali laterizi registrano la sostanziale maturazione del fare dell’Antico con l’epoca rinascimentale. All’imprescindibile italico trait-d’union al contemporaneo, l’esposizione dedica doppia sezione: testimoniante in parallelo prescelte casistiche esemplari in opera, assieme alle numerose rappresentazioni pittoriche rendenti conto specialmente delle implicazioni strette fra forma delle tessere, disegno di posa, visuale prospettica. E’ quest’ultima una delle evidenti peculiarità del particolare segmento storico, per altro in armonica complicità di rappresentazione con le griglie geometriche dei calpestii, cui si associano le proposte coloristiche della bicromia ed i perfezionamenti dei piani superficiali dei cotti pavimentali con l’incisione e l’intarsio. Il resoconto pittorico, oltre ad estendere il campo dall’arte tecnica del costruire a quella umanistica della rappresentazione, consente inoltre d’arricchire il repertorio di conoscenza fisicamente conservato, con le fotografie impresse su tela ed affresco.


Casa di Arpocrate a Solunto. Pavimento in opus signnum (foto Alfonso Acocella)

A testimoniare significativi punti d’arrivo contemporanei sono infine prescelti casi progettuali d’eccellenza, valutati tali incrociando le sensibilità degli autori alle particolarità realizzative, l’entità delle proposte alle modalità di esecuzione, la reinterpretazione del passato all’idea di nuova consapevolezza rispetto ai precedenti. Il tutto, come si diceva in partenza, con il duplice intento di segnalare nuovi apporti alle vie del progetto con occhio dunque rivolto al futuro e di registrare parallela la linea d’arrivo delle esperienze ultime di qualità per il censimento dell’esistente. Con attenzione alle cromie ed ai dimensionamenti via via adottati dai progettisti contemporanei, è immediata la possibilità di presa coscienza, da tradurre a fini propri, della scelta da ciascuno avvallata ad esempio rispetto la citazione all’impasto delle sabbie locali e dei formati tipici del genius loci, con variabilità d’accostamento al tema pubblico od alla domanda privata.
L’offerta fruitiva è pure molteplice, poichè l’allestimento fisico sviluppato per pannelli grafici con numerosi contributi documentali inediti di disegno di progetto e scatti fotografici, è ideata come temporanea in Marsciano alla volta di immediati successivi patrocini in altre sale in territorio nazionale, mentre è occasione stabile per la navigazione virtuale presso il sito istituzionale del Museo del Laterizio e delle Terrecotte.
Con la volontà, del resto propria del disciplinare professionale, di fornire un servizio a colleghi e cultori, s’è cercato in questo modo di raggiungere, quando impossibilitati ad essere raggiunti, ogni portatore d’interesse, fosse esso progettista, decisore pubblico, ricercatore, casuale fruitore, possibile committente o studente.


Palazzo Abatellis a Palermo. Restauro di Carlo Scarpa (foto Alfonso Acocella)
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È infatti l’applicazione varia delle argille ai piani pavimentali una tipicità delle architetture italiane, declinata con molteplicità di scelta quanto a cromie, modalità di posa, di fuga, di geometria delle tessere, di inerti d’impasto, di interpretazione d’interno ed esterno, di reperibilità della materia, di condizione climatica, di esposizione solare, di tecniche di rappresentazione, di capacità di controllo tecnico, di tradizione locale, di maestria dell’artigiano, di richiesta della committenza e di talento del progettista.
Rosso Italiano espone a Marsciano dalle 17.30 di sabato 27 maggio sino al 30 dicembre prossimo.

Alberto Ferraresi

rossoitaliano
Pavimentazioni in cotto
dall’Antico al Contemporaneo

Promotori della mostra:
Comune di Marsciano
Museo dinamico del laterizio e delle terrecotte di Marsciano
Associazione Museo dinamico del laterizio e delle terrecotte di Marciano
Comitato scientifico del Museo dinamico del laterizio e delle terrecotte di
Marciano

Patrocini:
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Regione Umbria
Regione Marche
Regione Lazio – Assessorato alla Cultura, Spettacolo e Sport
Regione Toscana – TRAART Rete Regionale per l’Arte Contemporanea
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana
Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le Province di Firenze, Pistoia e Prato
Soprintendenza per i Beni Architettonici, per il Paesaggio, per il Patrimonio Storico, Artistico e Etnoantropologico dell’Umbria
Associazione Dimore Storiche Italiane
Italia Nostra Onlus
Comune di Marsciano

Progetto scientifico
Alfonso Acocella

Contenuti scientifici
Alfonso Acocella
Veronica Dal Buono
Marco Dean
Emanuela Ferretti
Gianni Masucci
Davide Turrini , Coordinatore

Progetto grafico Mostra
Alfonso Acocella
Veronica Dal Buono

Catalogo Mostra “Rossoitaliano”
Progetto grafico Francesco Carpi Lapi
Alinea Editrice

Progetto Allestimento
Paolo Luccioni
con Jasmin Cherubini e Andrea Spiccalunto
collaborazione all’allestimento Flavio Rossi

Produzione Allestimento
MACAL s.n.c. – Bastia Umbra (PG)

Corpi illuminanti:
ILLUX s.n.c. – Miralduolo di Torgiano (PG)

Elaborazione immagini e stampa
Genesi Gruppo Editoriale s.r.l. – Città di Castello (PG)

Promozione mostra
Rita Rocconi, Studio Artemis – Foligno (PG)

Periodo
27 maggio 2006 – 30 dicembre 2006
Palazzo Pietromarchi, Marsciano (PG)

Giorni di chiusura: martedì e mercoledì.
Contatti: museo@comune.marsciano.pg.it
Ufficio stampa: redazione@supermuseolaterizio.it
Presentazione mostra: www.supermuseolaterizio.it

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7 Maggio 2006

Opere di Architettura

Bagni termali a Vals di Peter Zumthor (1994-1996)*


Bagni termali a Vals. L’esterno (foto Alfonso Acocella e Gabriele Lelli)

L’Opera
A Vals, villaggio isolato in una conca valliva dei Grigioni, a oltre 1200 metri di altezza sul livello del mare, sgorga dalla montagna un’acqua terapeutica. In questo contesto, in prossimità di un albergo esistente, Peter Zumthor è chiamato a realizzare un nuovo bagno termale, per rilanciare e valorizzare la presenza della sorgente, assurto – già alla sua apertura – allo status di capolavoro indiscusso dell’architettura contemporanea. Affidiamo alle parole di Peter Zumthor l’enunciazione del tema di progetto dell’opera architettonica:
"La nuova costruzione è un grande volume in pietra, coperto di erba, incastrato nella montagna con cui forma un tutt’uno; un oggetto solitario che si oppone all’integrazione con le strutture esistenti, per lasciare emergere ciò che, in relazione al tema, appariva più importante: esprimere un intenso rapporto con l’energia primigenia e la geologia del paesaggio montuoso, con la sua imponente topografia. Nello sviluppare questa idea, ci faceva piacere pensare che l’edificio potesse trasmettere l’impressione che fosse più vecchio della costruzione che gli sta accanto, una presenza senza tempo nel paesaggio. Montagna, pietra, acqua, costruire in pietra, con la pietra, dentro la montagna, costruire fuori dalla montagna, essere dentro la montagna: il tentativo di dare a questa catena di parole un’interpretazione architettonica ha guidato il progetto e, passo dopo passo, gli ha dato forma."1

Dominato dalla dimensione orizzontale, l’edificio è un grande volume di pietra addossato al pendio, "scavato" all’interno in modo sublime attraverso un continuum spaziale alimentato da cavità diversamente configurate in cui l’architetto ha lavorato soltanto con la luce e l’oscurità, con le qualità specchianti delle vasche per il bagno o la densa opacità dell’aria satura di vapore, con i differenti suoni che l’acqua produce a contatto con la pietra, con le più intime sensazioni provate dal corpo nudo nei rituali del bagno.
Come fosse portata nel duro ventre della montagna la sequenza di "caverne geometriche" è originata da grandi blocchi verticali di pietra attorno ai quali l’acqua sorgiva scorre o si raccoglie; pilastri massivi compatti disposti secondo un ordine spaziale calcolato, percepibile ma mai pienamente comprensibile. E se l’edificio, con la sua immagine esterna di solido monolite, si rivela nella sua realtà di grande "pietra svuotata", anche i pilastri sono cavi e accessibili al loro interno in una serie di luoghi altri, suggestivi ed appartati.
A partire dagli stretti corridoi in penombra dell’ingresso la spazialità delle terme di Vals s’intensifica in un crescendo "dimensionale", "luministico", "prospettico" a produrre una serie di forti effetti sensoriali, passando per piscine d’acqua a diverse temperature, per "sfondamenti" murari aperti verso il paesaggio alpino, vagando per spazi chiusi o intercomunicanti dai nomi evocativi riferiti alle diverse "atmosfere" dell’itinerario termale (quali "pietra che suona", "bagno di fuoco", "blocco dei massaggi", "pietra del sudore"…).
Il tema dello scavo e della intonazione ipogea dell’edificio ha suggerito a Zumthor la realizzazione di tagli calibratissimi operati nel soffitto, laddove le lastre di cemento della copertura si accostano senza toccarsi, quasi si trattasse di incisioni prodotte da un "bisturi" sul corpo volumetrico dell’architettura. Tali fenditure attivano negli ambienti gradazioni e stati cangianti di luce naturale a seconda delle stagioni e delle condizioni climatiche esterne; la luce artificiale gioca, in ore specifiche, il suo ruolo "tecnico" integrativo in modo sempre essenziale ma "attrattivo" dello sguardo. Flussi luministici che piovono dall’alto, radenti alle pareti enfatizzandone le qualità materiche della pietra o che, filtrati da cristalli colorati, aumentano l’aura magica dello spazio termale.
Le superfici parietali interne ed esterne del volume parallelepipedo delle terme sono ordite grazie alla fitta stratificazione uniforme della pietra naturale locale, una quarzite silicea e scistosa – estratta 1000 metri più in alto nella valle – tagliata in lastre sottili o in lunghi masselli di diverse dimensioni (con spessori di 31 o 47 o 63 millimetri e lunghezza che varia dagli 80 centimetri ai 2,5 metri). Si tratta di misure reciprocamente "complementari", studiate per raccordare le pezzature delle pietre alle dimensioni e alle quote di imposta delle aperture e delle scale, senza che si debbano modificare gli spessori dei ricorsi delle lastre lungo tutto lo sviluppo delle superfici parietali.
I muri non sono interamente in pietra poichè gli elementi litici sottili, sovrapposti tra loro, formano un rivestimento esterno a forte spessore (dai 12 ai 15 centimetri) di una ossatura muraria con nucleo interno in calcestruzzo armato. In quello che è stato definito "muro composito di Vals" è stretta la compartecipazione strutturale tra anima concretizia e paramento lapideo: la compagine delle assise di pietra, "murata" a giunti stretti utilizzando uno speciale collante sintetico, fa da cassero per il calcestruzzo armato a cui, alla fine, risulta inscindibilmente incorporata.
La fabbrica è cresciuta per elevazioni murarie successive di circa 80 centimetri, così da evitare sconnessioni delle pietre per effetto della spinta esercitata dalla massa fluida colata all’interno. I singoli elementi litici, intercalati da fughe impercettibili, si presentano alla superficie a vista come sottilissime liste abilmente sfalsate, producendo un inedito disegno contemporaneo del paramento murario, come se si trattasse di un tessuto grigio-verde di vibrante levità.
Ovunque, nell’edificio, sotto un’apparente semplicità si cela una calibratissima concezione dell’architettura muraria attraverso la quale Zumthor ha voluto rafforzare l’aspetto di omogeneità monolitica della struttura, dominata dal principio della stratificazione.


Bagni termali a Vals. L’interno (foto Alfonso Acocella e Gabriele Lelli)
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La pietra scende, poi, dalle pareti, in sostanziale continuità, sul pavimento, dove il modulo degli elementi lapidei si dilata dimensionalmente in larghezza alimentando una scrittura pavimentale impostata su una tessitura ad opus quadratum frequentemente variata ed inscritta in un tema compositivo generale di "avvolgimento spiraliforme", a seguire le cellule spaziali delle vasche termali, o di assialità rettilinee ad individuare i percorsi principali che conducono in esterno, saldandosi alla vasca d’acqua a cielo aperto.
Qui – al pari dell’interno – il ritmo orizzontale della stratificazione parietale prosegue, senza soluzione di continuità, nelle alzate dei gradini che, a contatto con l’acqua, discendono fino al fondo della piscina. Dettagli architettonici quali il "troppo pieno" proseguono, sul piano orizzontale, il racconto seducente della pietra di Vals; le loro "eterogenee" giunzioni impermeabili e i canali in acciaio inox, sono abilmente risolti ed assorbiti dalla vibrante matericità litica affinchè lo sguardo non venga distratto, non percepisca altro che pietra.
Attraverso questa concezione di continuità, di omogeneità, peculiare della cifra stilistica zumthoriana, si può cogliere il carattere più significativo, forse "generativo" – insieme al contributo offerto dalla luce e dallo spazio – dell’aura delle terme di Vals. “L’architettura – precisa il maestro svizzero – è chiamata a sfidare la creazione di un tutt’uno a partire da innumerevoli componenti singole, distinte nella funzione e nella forma, nei materiali e nelle dimensioni. Per gli spigoli e i giunti – i punti in cui le superfici si intersecano e i diversi materiali si incontrano – occorre ideare costruzioni e forme dotate di senso. Con queste forme particolareggiate vengono stabilite le fini misure intermedie all’interno delle proporzioni maggiori dell’edificio. I particolari determinano il ritmo formale, la finezza proporzionale della scala di un edificio.
I dettagli hanno il compito di esprimere ciò che l’idea progettuale di fondo esige in quel determinato punto dell’oggetto: unione o disgiunzione, tensione o leggerezza, attrito, solidità, fragilità (…). I dettagli, quando riescono felicemente non sono una decorazione. Non distraggono, non intrattengono, ma inducono alla comprensione del tutto, alla cui essenza necessariamente appartengono”2.

Alfonso Acocella

Note
(*) Il saggio rieditato è tratto dal volume di Alfonso Acocella,
L’architettura di pietra , Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.
1 Peter Zumthor, "Le terme di Vals. Pietra e acqua", Casabella n. 648,1997, p.56.
2 Peter Zumthor, Pensare architettura, Baden, Lars Müller Publishers, 1999, p.16.

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