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31 Ottobre 2013

Osservatorio Litico

Un secolo di design litico in Italia.
Ricostruire il contesto del progetto contemporaneo


Alberto Clementi, calamai in marmo, 1943

Il passaggio dal XIX al XX secolo è epocale, non solo per i mutamenti politici, economici e sociali che fa registrare, ma anche per le trasformazioni che investono la civiltà tecnologica e produttiva. Ciò è particolarmente evidente nel settore manifatturiero italiano, per certi versi ritardatario rispetto alle dinamiche di avvento dell’industrialesimo già vissute da altri paesi europei come la Gran Bretagna e la Germania nella seconda metà dell’Ottocento.
In tale scenario anche il comparto di trasformazione dei materiali lapidei, sviluppato principalmente nelle aree estrattive venete e toscane, vive profonde modificazioni: l’impiego delle tecnologie meccaniche e degli strumenti ad aria compressa supporta sempre più le lavorazioni manuali; inoltre l’utilizzo degli utensili al diamante consente di perfezionare e velocizzare le operazioni di taglio e fresatura. Tutto ciò ha ricadute importanti sulle dinamiche del lavoro e sull’organizzazione della produzione; d’altra parte, dall’inizio del Novecento, il contributo delle cattedre di plastica decorativa e di scultura nei regi istituti e nelle accademie di belle arti di molte città italiane, è notevole nel formare non più soltanto scultori, ma anche maestranze tecniche specializzate ed esperti artigiani che possano innalzare il livello qualitativo della produzione corrente.
Così, progressivamente e con grande frequenza, i laboratori lapidei artigiani si ampliano, aggiornandosi dal punto di vista tecnologico, e la pratica del modellare la pietra secondo disegni riconducibili a repertori tipologici ripetibili, più o meno sistematizzati, acquisisce connotazioni di carattere industriali; essa si diffonde in applicazioni di esterni e d’interni, nella realizzazione di elementi architettonici, di particolari decorativi, di fontane, vasche, scale e balaustre, targhe, insegne e mostre commerciali, oggetti d’uso qualificati dal punto di vista formale, lampade, piedistalli e basamenti.


Enzo Mari, vaso della serie Paros, produzione Danese, 1964

Tra la fine degli anni ’20 e gli anni ’50, pietre e marmi trovano un impiego ampio e consistente in tutto il Paese, nell’architettura d’interni e nella produzione di arredi, complementi e oggetti d’uso. Emblematica in proposito è l’opera di importanti progettisti come Giovanni Muzio, Franco Albini e Carlo Mollino. Il rapporto tra la cultura nazionale artistica e artigianale e la produzione industriale diventa sempre più stretto: a manifestare un chiaro intento programmatico in tal senso sono gli scritti di Giò Ponti sulle pagine di Domus o nel volume La casa all’italiana pubblicato nel 1933 e, come dimostrano gli allestimenti navali e commerciali di Gustavo Pulitzer Finali realizzati a partire dal 1925, i livelli di qualità tecnica e formale raggiunti in alcune applicazioni specialistiche dei marmi sono notevolissimi.
La metà degli anni ’60 rappresenta il momento di avvio di un importante dibattito teorico-critico sulle possibilità di rinnovamento del design litico che porta rilevanti ricadute in termini produttivi e commerciali per tutti gli anni ’70 e gli anni ’80, fino alle realizzazioni contrassegnate da veri e propri marchi del design in pietra come Skipper, Up & Up, Casigliani, Ultima Edizione e Primapietra. Centrale per questo fenomeno è l’esperienza culturale e operativa di Officina, che nasce a Pietrasanta, ma si sviluppa in una prospettiva di contatti internazionali in cui si intrecciano le storie personali di Erminio Cidonio – a capo della sede apuo-versiliese della multinazionale dei lapidei Henraux per tutti gli anni ’60 – con quella di artisti, designer, galleristi e critici militanti come Pier Carlo Santini.
Nel contesto che si delinea a partire dalle sperimentazioni di Officina prendono avvio singoli percorsi progettuali, più o meno fertili, ma in ogni caso di importantissimo valore, come quelli di Angelo Mangiarotti, Mario Bellini, dei Castiglioni e di Tobia Scarpa, che portano a consistenti risultati in termini di innovazione formale e tecnologica del prodotto in pietra e che ancora oggi rappresentano un riferimento metodologico e operativo per le ricerche presenti e future sul design dell’oggetto litico.
La sedimentazione delle fervide sperimentazioni sviluppate per tutti gli anni ’80 nelle esperienze del design minimalista dei ’90, consegna infine all’attualità dei materiali lapidei una molteplicità di approcci progettuali e di declinazioni produttive: se infatti, per il design litico, il passaggio dalle arti decorative all’industria all’inizio del Novecento non significa un superamento totale di una realtà in favore dell’altra, ma un continuo processo di andata e ritorno tra dinamiche ideative e produttive sempre compresenti, così anche in apertura del nuovo millennio marmi e pietre assumono configurazioni formali e costruttive che si muovono costantemente tra arte, artigianato e piccola industria; tra produzione manuale, assistita, parzialmente o totalmente automatizzata; tra “artigianato anonimo”, totale controllo autoriale del progetto o creatività di equipe.


Ettore Sottsass, divano Agra, produzione Up & Up per Memphis, 1982

Quella del design litico italiano è insomma una storia sfaccettata, problematica e di lungo periodo, che non è mai stata ricostruita in modo sistematico; essa attraversa la modernità e arriva fino all’oggi caratterizzandosi per la straordinaria ricchezza di opere e di autori, nonché per la molteplicità di aspetti peculiari, per certi versi contraddittori, rispetto ai quali un bilancio complessivo deve ancora essere scritto. Chi scrive in queste pagine, operando da tempo all’Università di Ferrara con progetti di ricerca specifici, intende ricostruire un quadro critico di tale storia, che possa contestualizzare le recenti esperienze di innovazione del prodotto lapideo, condotte a partire dalle più aggiornate tecnologie di lavorazione e motivate dalle più attuali istanze culturali e di mercato.

Davide Turrini

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