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16 Gennaio 2014

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Le cave di Rapolano nelle fonti fra Rinascimento ed Età moderna


Palazzo Todeschini Piccolomini (1469-1500 c.a.) a Siena. Dettagli della facciata in travertino e calcare cavernoso. (ph. Enrico Geminiani)

Pur avendo individuato i principali siti di escavazione nel territorio intorno a Siena, la letteratura non ha ancora ricostruito con precisione la provenienza del travertino utilizzato nell’edilizia monumentale urbana e del contado fra Medioevo ed Età moderna. Mancano poi per questo materiale analisi interdisciplinari come quelle realizzate per la “pietra da torre” o per i marmi della Montagnola.28 Per il travertino sono documentate le cave a sud di Colle Val del’Elsa – da Gracciano ad Abbadia a Isola – e una serie di siti estrattivi nel territorio intorno all’Abbazia di S. Galgano, che proprio in località Villanuova (presso Frosini) aveva costituito una grancia, amministrata da un magister lapidum.29 Recenti ricerche hanno appurato che nel Trecento l’Opera del Duomo di Siena si serviva di alcune cave in Val di Merse, e in particolare di quella della Filetta, vicino a Sovicille.30 A queste notazioni, si può aggiungere che nei Trattati di Francesco di Giorgio (ottavo-nono decennio del Quattrocento) sono ricordate le cave di Bagno Vignoni non lontane da Pienza, specificando che «tutti questi tiburtini sono atti a fare conci, a murare».31
Se il Vasari nell’Introduzione alle Vite dedica al travertino senese soltanto un cenno, è il trattatista Pietro Cataneo a fornire un articolato quadro delle cave di travertino del territorio intorno a Siena nel capitolo terzo del secondo libro della sua opera (1554): «Tornando hora al primo nostro ragionamento sopra le cave di tale variate sorti di pietre e prima del Tevertino, il quale comunemente è bianchissimo, ancora che talvolta se ne ritrovi del gialliccio, bigiccio e azzurriccio, e di altri colori e di tal pietra se ne sono fatte maggior fabbriche, che di qual si voglia sorte petrina, come per lo amphiteatro e per lo erario di Roma si dimostra. Cavasi il più bianco e bello di ogni altro a Tivoli in sul Teverone e si tiene per opinione commune che sia creato di terra e di acqua congelata. Trovasene ancora in più e diversi luoghi del dominio Senese come a Rapolano, a Maciareto, a Asciano, a Montalceto, a Sanprugnano, e a Sancasciano dei Bagni e in altri luoghi di tali territori, tutti bianchissimi e di buona pasta, ma i migliori si cavano a Rapolano vicino dodici miglia alla città e a Sanprugnano quaranta miglia discosto da Siena».32


Scorci della Grancia (XVI secolo) a Serre di Rapolano. In evidenza gli stemmi dell’Ospedale di Santa Maria della Scala di Siena. (ph. Enrico Geminiani)

È stato osservato dai geologi contemporanei che la maggior parte del travertino impiegato a Siena proviene dalle cave di Serre di Rapolano.33 In quest’ultimo comprensorio si trova la cava di Noceto oggi nota come Querciolaie, di proprietà dell’Ospedale di Santa Maria della Scala dalla metà del Quattrocento.34: da qui proviene il travertino utilizzato nel già ricordato cantiere di Santa Maria in Provenzano (dal 1597), episodio ritenuto, fino ad ora, la prima attestazione dello sfruttamento delle cave in questa parte del territorio senese.35 I riferimenti tardo cinquecenteschi del travertino rapolanese per la fabbrica di Provenzano vengono anticipati dunque dalla testimonianza di Pietro Cataneo, passata fino ad oggi inosservata, ma una citazione più antica, se pur indiretta, porta a retrodatare ulteriormente l’attività delle cave di quest’area fino al sesto decennio del Quattrocento. Girolamo Macchi (1648-1734) – scrittore maggiore dell’Ospedale di Santa Maria della Scala e autore di preziosi manoscritti conservati presso l’Archivio di Stato di Siena – così scrive: «Palazzo de’ Papeschi in Siena.Palazzo Todeschini Piccolomini: questo palazzo in Siena detto dei Papeschi dal Chiasso Largo è nella strada già anticamente detta Porrione da Santo Martino. Fu il medesimo principiato il dì 12 settembre dell’anno 1469 da misser Nanni Todeschini Piccolomini e cognato di papa Pio II e le pietre di questo palazzo furono cavate nel podere detto Noceto dello Spedale Grande di S. Maria della Scala sotto alla Grancia di Serre e ciò fu ordinato dal detto pontefice avanti che morisse».36 Evidentemente in questo caso il riferimento è agli elementi decorativi – fra cui
spicca il cornicione sommitale di grandi proporzioni – e alle monolitiche colonne del cortile interno; ma non si può escludere che fossero previsti anche per questo palazzo uno o più fronti interamente in travertino (come nel Palazzo delle Papesse di Caterina Piccolomini già menzionato in questo saggio), al posto del calcare cavernoso messo invece in opera nel prospetto su via Banchi di Sotto, o delle altre facciate in laterizio.37


Palazzo Todeschini Piccolomini (1469-1500 c.a.) a Siena. Dettagli della facciata in travertino e calcare cavernoso. (ph. Enrico Geminiani)

Nel Settecento è il medico e naturalista Giovanni Targioni Tozzetti a menzionare il travertino della cava dell’Ospedale di Santa Maria della Scala a Rapolano: «i marmi che abbondano nelle fabbriche di Siena sono il bianco di….sic simile al bianco dei monti pisani, e il nero di….sic simile al nero di Pistoia, il giallo di Rosia della cava vecchia simile al giallo antico e il travertino bianco, ne’ beni dello Spedale della Scala. Di questo travertino sono costruite ed ornate le più grandi fabbriche di Siena e se cavansi grandi saldezze che resistono benissimo alle ingiurie de tempi e reggono bene lo scalpello, tirate in corniciami anche sottili. Subito che si cava e nei primi mesi che si impiega nelle fabbriche è bianco quanto quello di Roma e similmente saldo e fitto».38
Di grande suggestione sono anche le parole usate dal medico Giuseppe Baldassari nella sue Osservazioni (1779), dove si legge: «Oltre a ciò dalla Strada Lauretana in vicinanza della Villa di Poggio Pinci e prima di giungere all’Osteria della Violante andando a seconda delle radici dei Monti verso le Serre di Rapolano si cammina sopra un lastricato di Travertino e di Spugnone, per il corso di quasi due miglia, estraendosi in vari luoghi di questo tratto i Travertini che sono d’uso per le fabbriche di Siena».39
Precedentemente, nella prima metà del XVIII secolo, Giovan Antonio Pecci ricordava la cava di Noceto, anche se l’estrazione del travertino veniva annoverata fra le attività minori della zona di Serre.40 Il mancato riferimento al travertino di Rapolano (e più in generale alle cave toscane di questo materiale) nell’accurato quadro che Bartolomeo Torricelli, “primo scultore di pietre dure della Reale Galleria”, dà dei litotipi che si cavano non solo in Toscana, ma anche in varie parti della penisola e in Europa (1714), si può probabilmente imputare ad una lacuna nelle empiriche e autobiografiche conoscenze dell’artista41 piuttosto che ad una radicale perdita di importanza delle cave fra Sei e Settecento: qui gli unici travertini citati nel manoscritto sono quelli cavati a Spello, vicino ad Assisi, e quelli di «Marino non lontano di Roma e si vedono di gran fabbriche di pietrame di esso travertino».42


Facciata della chiesa di Santa Maria in Provenzano (1595) a Siena. Vista generale e dettaglio delle cornici in travertino. (ph. Enrico Geminiani)

Il quadro che emerge da queste rapsodiche ma significative testimonianze evidenzia un’attività estrattiva (fra XV e XVIII secolo) legata ad alcune grandi commissioni architettoniche – caratterizzate dalla presenza di maestranze dalla spiccata capacità imprenditoriale e di una committenza particolarmente qualificata – che non assume dunque i caratteri della continuità nel tempo lungo, presupposto per la creazione di una filiera ben organizzata e gestita da operatori locali, come già doveva apparire in Età moderna il comparto marmifero versiliese-apuano o le cave di macigno a nord di Firenze.
La Statistica industriale del 1813, ordinata dal Governo francese per tutta la Toscana, conferma tale situazione, ricordando in questo modo i materiali da costruzione che vengono cavati nel territorio di Siena, ovvero nella circoscrizione del Dipartimento dell’Ombrone: «Marmi: Marmo detto Fiorito di Siena si trova a Montarrenti; Marmo giallo di Spanocchia di pertinenza del Signor Giuseppe Spannocchi, Rosso di Montalceta, Nero di Vallerano; Travertini: Travertino di Spannocchia, Travertino delle Serre di Rapolano; Pietre da Macine: Si trova una buona cava presso le Serre di Rapolano di pertinenza del signor Franceschini».43 Il ricco possidente Domenico Franceschini aveva acquistato la cava di Serre dall’Ospedale della Scala sul principio del XIX secolo.44, nell’ambito della dismissione dei beni dipendenti dalla Grancia di Rapolano, una delle più antiche con quelle di Cuna.45
Nella risposta all’inchiesta industriale che nel 1811-12 aveva coinvolto i tre Dipartimenti toscani (Arno, Ombrone e Mediterraneo), il Maire di Rapolano aveva inoltre scritto: «Signor Prefetto, rispondendo alla sua lettera circolare del 28 settembre ultimo scorso relativamente alle cave di metalli, pietre e marmi ho l’onore di dirgli: Vi sono nella comune delle miniere d’oro e moltissime di pietra detta travertino, alberese ed altre. Quella d’oro è una e le altre particolarmente di travertino sono per la sesta parte circa dell’estensione del comune. Le prime non sono dirette da veruno perché fattone il saggio dal Signor Giovanni Gori di Firenze che ne era il proprietario circa cinquant’anni orsono fu trovata povera assai ed era più la spesa dell’utile. Per le seconde poi non vi è che le diriga decisamente per la mancanza dei lavori. Sono dirette dal primo venuto quando vi è domanda dei lavori di detta pietra. Essendo tanto comuni dette cave, danno piccolissimo prodotto ai proprietari. Siccome come si è detto non vi è nessun direttore non si sa neppure a quanto possono ascendere le spese. Il prodotto non si può sapere perché essendo generalmente domandati i lavori da chi ne ha bisogno a qualche capo scarpellino di Siena, questo fa cavare i sassi e ridotti approssimativamente alla figura che devono avere sono mandati a Siena e lì sono ripuliti».46


Facciata della chiesa di Ognissanti (XVII secolo/1871-72) a Firenze in travertino di Rapolano. (ph. Enrico Geminiani)

Nella rassegna proposta di fonti manoscritte e a stampa, appare di grande rilevanza ricordare, per concludere, la voce che Fillippo Baldinucci dedica al travertino nel suo Vocabolario (1681), materiale che appare nella sua dimensione ‘italiana’ e toscana in particolare: «Pietra che si cava in molti luoghi d’Italia, cioè in Siena, in Pisa, in Lucca e ‘n sul fiume del Teverone a Tivoli; ed è una congelazione d’acque e di terra, che per la crudezza e freddezza si fa; e non solo si congela e petrifica la terra, ma i ceppi e le medesime foglie degli alberi; e perché nell’asciugarsi rimane alcuna quantità d’acqua dentro e fuori, resta questa pietra spugnosa e bucherata.
È servita questa pietra per fare le più nobili fabbriche antiche e moderne e per le fondamenta delle medesime».47

di Emanuela Ferretti

Il presente saggio è tratto dal volume Travertino di Siena a cura di Alfonso Acocella e Davide Turrini

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