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14 Aprile 2014

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TRADIZIONE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA
La filiera produttiva del travertino di Siena
II parte


L’ugello della macchina water jet crea un taglio circolare in una lastra di travertino senese.

Incisione
L’azione dell’incisione si attua con una decisa penetrazione nel corpo solido della pietra, attraverso solchi sottili e profondi; se l’incisione è passante diviene taglio, cioè separazione, distacco di un elemento più piccolo a partire da una massa litica maggiore. I passaggi successivi di tale processo portano in genere ad una regolarizzazione dei pezzi attraverso la formazione di facce, bordi, spigoli, linee e piani geometricamente definiti. Incidendo e tagliando si asporta irrimediabilmente anche una minima parte di materia, che viene polverizzata e si disperde.
Lastre, filagne, masselli, conci, marmette 9, vanno a costituire le diverse famiglie di semilavorati e prodotti finiti della filiera lapidea realizzati attraverso azioni di taglio e rappresentano, nel loro insieme, il risultato variegato di una metamorfosi che si sviluppa per progressive riduzioni e regolarizzazioni della pietra. L’avvio di tale processo si ha sul luogo di estrazione, nel giacimento dove la pietra viene dissepolta emergendo dal sottosuolo, allorquando essa viene separata dal fronte di cava e i blocchi vengono isolati e squadrati raggiungendo volumetrie più o meno regolari.
I siti estrattivi dei travertini sono per la maggior parte situate in pianura e sono localizzati spesso in depressioni dove i banchi del litotipo non superano i 12-15 metri di altezza. Il travertino senese in particolare si cava mediante il taglio e il ribaltamento di bancate dello spessore di circa 150 cm, con una lunghezza indicativa di 15 metri per una altezza che va dagli 8 ai 15 metri; le bancate, assimilabili per forma a vere e proprie grandi “fette” di materiale lapideo, vengono poi suddivise in blocchi delle dimensioni commerciali massime di 300 cm di lunghezza, 150 cm di larghezza, 180 cm di altezza. Dopo aver operato la separazione della bancata dal giacimento attraverso tagli con fili diamantati e segatrici a catena, essa viene ribaltata, tramite l’inserimento alle sue spalle di martinetti o cuscini dilatatori, su di un letto di detriti che agiscono da strato ammortizzatore; cadendo, la bancata si frattura nei naturali punti di debolezza del materiale, e successivamente, dopo un’attenta analisi da parte del personale di cava della situazione strutturale e dell’aspetto dei pezzi che si sono formati, si procede ad un ulteriore frazionamento con la prima riquadratura dei blocchi da instradare verso le catene di trasformazione e lavorazione. In questo primo passaggio la selezione del materiale porta a scartare in genere una quota che va dal 60 al 70% del travertino staccato dal giacimento. Poi, per passare dal blocco al prodotto finito, si perde un ulteriore 50-60% di pietra a seconda della dimensione, del formato e della tipologia di finitura dell’elemento di arrivo.
La prosecuzione della metamorfosi del materiale avviene poi con il taglio primario: tramite telai mono e multilama, o macchine a filo, o ancora frese a disco gigante, si ha la segagione del blocco in lastre, oppure, attraverso tagliablocchi o centri di taglio coordinato è possibile ottenere filagne per avviare il ciclo di trasformazione che consente di dar forma ai prodotti seriali (marmette). È in questa fase che assume una particolare importanza la giacitura dei piani di taglio del materiale che può portare alla realizzazione di lastre profondamente diverse per aspetto tessiturale anche all’interno di uno stesso blocco di provenienza. Se infatti la segagione procede perpendicolarmente all’andamento stratigrafico sedimentario del litotipo, il taglio del materiale è detto “contro falda” (o anche “al contro”) e si ottiene una esaltazione della venatura della pietra; se il frazionamento è invece parallelo alla stratigrafia del deposito travertinoso il materiale è tagliato “in falda” (o anche “per falda”) e il suo aspetto sarà più fiorito e caratterizzato da una tessitura di areole nuvolate. Ovviamente tale distinzione è estremamente importante per i materiali fortemente venati e segnati da una consistente variatio cromatica, mentre è pressoché trascurabile per i travertini poco porosi e di cromia omogenea.


Taglio di semilavorati con seghe a disco in uno stabilimento di Rapolano.

Dopo il taglio primario, grazie all’impiego di frese o attraverso attestatrici, scoppiatrici, o taglierine brandeggiabili, si opera il cosiddetto taglio secondario, con cui, in diversi passaggi di taglio a misura e rifilatura, si convertono lastre e filagne di travertino nella morfologia dei manufatti finali 10. Tali operazioni si attuano dopo le fasi di finitura superficiale dei semilavorati e possono pervenire alla realizzazione di lavorati standard, come anche di elementi singoli cut-to-size, cioè aventi uno specifico disegno di progetto, oppure ancora di pezzi da casellario, cioè caratterizzati da morfologie strumentali alla loro ricomposizione in un pattern originale di montaggio 11.
L’avvento, dalla metà degli anni ’60 del Novecento, delle tecnologie di produzione di lame diamantateper il taglio dei lapidei ha soppiantato totalmente e rapidamente le vecchie tecniche di segagione manuale, o con filo elicoidale, acqua e sabbia. Grazie a metodi produttivi sempre più perfezionati di deposizione elettrolitica dei cristalli di diamante e di sinterizzazione 12, i processi di incisione e taglio possono disporre da circa vent’anni di una vasta gamma di utensili diamantati quali lame rettilinee, dischi, fili 13, teste di varia morfologia, capaci di produrre tagli rapidi, complessi e sempre più precisi.
Anche il distretto lapideo rapolanese ha fatto sue le tecnologie più aggiornate di taglio della pietra specializzandosi da un lato nell’impiego degli utensili diamantati e dall’altro nell’applicazione di innovativi sistemi informatici avanzati di programmazione, automazione gestionale e controllo ex-post delle lavorazioni, con notevoli ottimizzazioni in termini di concatenamento delle fasi di carico, fissaggio dei pezzi ai piani di lavoro, velocità di taglio, scarico dei lavorati e riduzione degli sfridi. L’introduzione di tutto ciò ha permesso un’accelerazione dei cicli produttivi e una aumento della precisione del lavoro, con la possibilità di impostare e controllare, attraverso sensori e software specifici, parametri operativi anche estremamente avanzati come la velocità di calata delle lame o la soglia massima di assorbimento della potenza del motore, come anche di ottenere un monitoraggio statistico in continuo della produttività delle macchine.
Tale processo di aggiornamento delle lavorazioni tradizionali ha investito diffusamente tutte le fasi del taglio primario e, soprattutto, del taglio secondario, con una particolare concentrazione per ciò che attiene l’operatività di macchine come tagliablocchi, attestatrici e soprattutto frese.
A continuare ad essere protagoniste del processo di taglio secondario sono infatti queste ultime macchine a disco, ancora distinguibili come in passato in due tipologie principali: le frese a ponte dove l’utensile è montato su di un carrello che scorre lungo un binario fissato “a ponte” tra due sostegni verticali; le frese a bandiera, per lavorazioni più flessibili e meno standardizzate rispetto alle precedenti, dove l’utensile è montato su di un braccio mobile.


Taglio di lastre di travertino senese con telai monolama e multilama.

Per entrambe le tipologie il banco di lavoro su cui viene fissato il pezzo da tagliare può essere fisso o semovente. Le dimensioni massime dei pezzi lavorabili per le macchine a ponte sono di 380×350 cm con uno spessore limite di taglio di 40 cm. Per le frese a bandiera questi standard sono di poco inferiori.
Accanto alle frese tradizionali, ancora largamente utilizzate e perlopiù gestite oggi da sistemi informatici, si sono evolute catene automatiche multidisco (fino a 12 dischi) per il taglio secondario continuo, caratterizzate da scanner posti alla partenza del processo di lavorazione in grado di leggere la conformazione delle lastre per ottimizzarne poi, attraverso software, il posizionamento e conseguentemente per ottenerne la riduzione in passate successive con un notevole abbattimento degli sfridi. Tali attrezzature possono essere di due tipi: il primo dotato di una batteria di dischi fissa per il taglio longitudinale e di una ulteriore serie di lame su ponte mobile per l’attestatura finale, cioè per il taglio trasversale; il secondo con unica batteria di dischi e banchi automatici girevoli. In quest’ultimo caso i pezzi subiscono una prima strisciatura sotto la serie di lame e poi, con la rapida rotazione del piano di lavoro, possono essere ripassati per l’attestatura. Entrambi i tipi di catene possono essere completati in sequenza da linee di imballaggio dei prodotti finiti.
Oltre che con le lame diamantate di varia morfologia l’azione dell’incisione sul corpo della materia litica può essere praticata anche tramite la tecnologia water jet, sviluppata a partire dagli anni ’70 del secolo scorso come metodo innovativo di taglio, trattamento superficiale e deformazione dei materiali, applicabile all’industria aerospaziale, a quella meccanica, automobilistica ed elettrica, alla produzione di circuiti elettronici stampati e, più in generale, al frazionamento di metalli, materie plastiche, materiali compositi fibrosi, ceramiche, vetri, pietre, carta, tessuti, tessuti non tessuti, generi alimentari. Tale sistema si basa sull’emissione di un getto d’acqua ad alta pressione, semplice o additivato con polveri abrasive, senza necessitare di alcun apporto termico, neanche per i materiali più duri come l’acciaio o il titanio.
Un impianto water jet di base è costituito da un generatore di pressione; da una lancia con ugello terminale da cui fuoriesce il flusso d’acqua ad alta pressione e a velocità supersonica 14; da un sistema per il dosaggio e l’alimentazione della polvere abrasiva; da un piano di lavoro con sottostante vasca di raccolta dell’acqua e da una centralina elettronica per il controllo delle operazioni di lavorazione. Le dimensioni più usuali dei piani di lavoro sono di 3×2, 3×4, 3×6, 2×4 metri. In realtà le case di produzione rendono praticabile la personalizzazione di tali dimensioni fino addirittura a 7-8 metri di lunghezza e possono realizzare anche macchine con tavoli di lavoro circolari rotanti, con piani a rulli scorrevoli continui e con teste di taglio multiple (fino a 4 ugelli).


L’ugello della macchina water jet crea un taglio circolare in una lastra di travertino senese.

Lo spessore dei materiali posizionabili sotto il getto va da 0 a circa 20 cm; gli ugelli si possono muovere e possono ruotare fino ad un massimo di 5 assi di libertà. Il limite attuale della più alta pressione operativa continua del getto è di circa 4.000 bar. Tutte le water jet sono guidate da sistemi CAD/CAM 15, quelle più avanzate inoltre sono gestite da software capaci di scegliere automaticamente i parametri di lavorazione a partire dal semplice inserimento del tipo di materiale, dello spessore e della qualità di taglio desiderata. Se la tecnologia water jet nasce per tagliare i materiali con il semplice flusso d’acqua, in realtà, oggi, per aumentare la forza e la velocità del getto, l’acqua viene usualmente additivata con polveri abrasive silicee o di altra natura sintetica o metallica. È importante sottolineare che quanto più elevata è la velocità di passaggio del getto, tanto maggiore è il peggioramento della precisione dei bordi del taglio.
Se si analizza in specifico l’applicazione delle macchine water jet al settore dei lapidei in generale, e dei travertini in particolare, essa presenta numerosi vantaggi rispetto ai tradizionali sistemi di incisione e taglio. Innanzitutto con un solo utensile è possibile tagliare o perforare tutte le tipologie di materiali dai più morbidi ai più duri; poi si assiste ad un notevolissimo abbattimento delle tensioni e delle microlesioni indotte sulla pietra, nonché all’assenza assoluta di zone rovinate o alterate dal calore d’attrito (che è del tutto trascurabile rispetto ai normali metodi di segagione con lame o fili). Inoltre il processo riduce drasticamente l’emissione di polveri e rumore, ha limitatissima usura degli utensili e, soprattutto, garantisce una altissima precisione dei pezzi tagliati con tolleranze dell’ordine di ± 0,04 mm.
Se opportunamente programmate, le macchine ad idrogetto permettono non solo di effettuare tagli passanti ma anche di tagliare parzialmente lo spessore del pezzo litico in lavorazione, ottenendo incisioni, scavi e rigature di larghezza e profondità variabile. Le innovazioni più recenti nel settore delle macchine water jet hanno riguardato l’allineamento più preciso dei vari componenti della lancia di emissione dell’acqua; ciò ha permesso di ottenere un getto ancor più coerente e concentrico migliorando ulteriormente la già minima conicità del taglio che in tal modo procede in profondità nella pietra perfettamente rettilineo e ultrasottile. Tali macchine, inoltre, hanno reso certi processi di separazione della pietra molto più veloci e ripetibili,
aumentando la competitività del sistema produttivo. I cospicui ordini di vantaggi rispetto alle tecnologie tradizionali delle lame diamantate sono indubbi: «La tecnologia water jet consente di tagliare forme complesse caratterizzate da raggi di curvatura non raggiungibili dalle tecnologie tradizionali (fino a 1 mm) con una riduzione maggiore del 50% degli scarti di lavorazione, conseguente alla riduzione del 50% della larghezza del solco di taglio (si passa da 3 mm a circa 1 mm in termini di larghezza del solco di taglio). La qualità delle superfici tagliate con la tecnologia water jet è in accordo con le specifiche richieste nella produzione di pavimenti e decorazioni, in termini sia di conicità del solco di taglio, sia di presenza di scheggiature lungo gli spigoli a vista, sia infine di errori dimensionali del profilo generato. L’incremento della velocità di taglio del 100% su spessori di 10 mm porta, di conseguenza, una riduzione dei costi di lavorazione pari al 60-80% rispetto alla tecnologia tradizionale (si passa da 150 mm/min a 300-500 mm/min). In sintesi, dunque, i vantaggi competitivi connessi all’utilizzo della tecnologia di taglio a getto d’acqua ed abrasivo risiedono nella possibilità di realizzare decorazioni caratterizzate da sagome complesse, di elevata qualità ed in tempi estremamente contenuti» 16.


Un operaio specializzato di un’azienda rapolanese modella un elemento tridimensionale in travertino.

Proprio la riduzione della conicità del solco di taglio non compromette la successiva giustapposizione dei pezzi tagliati a formare disegni musivi, limitando gli errori e conseguentemente gli scarti, e rendendo l’applicazione dell’idrogetto ad alta pressione particolarmente utile per la realizzazione di elementi decorativi a traforo e ad intarsio, ad esempio realizzati sfruttando le diverse tonalità cromatiche dei travertini senesi. L’accelerazione nel perfezionamento delle water jet ha fatto sì che oggi si possano realizzare trafori e intarsi per i quali la necessità di rifinitura meccanica o manuale dei pezzi è sempre più ridotta, anche per ciò che riguarda gli elementi più minuti. Ciò non significa che in tali lavorazioni si possa comunque prescindere dall’intervento creativo e artigianale dell’uomo: la scelta cromatica delle pietre legata alla conoscenza della loro struttura fisica, la distribuzione e la composizione dei pezzi in base alla giusta interpretazione delle venature, il lavoro di montaggio e accostamento degli elementi e di successiva eventuale stuccatura con la predisposizione di un amalgama dall’adeguato tono colorico, rimangono appannaggio esclusivo di operatori specializzati, capaci di mettere in campo un elevato e consolidato magistero applicativo.

di Davide Turrini

Il presente saggio è tratto dal volume Travertino di Siena a cura di Alfonso Acocella e Davide Turrini

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