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13 Giugno 2014

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TRADIZIONE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA
La filiera produttiva del travertino di Siena IV parte


Spazzolatura di una lastra di travertino senese.

Erosione
Numerosi processi industriali di finitura della pietra tendono a riprodurre in modo accelerato e controllato, gli effetti dell’azione erosiva naturale causata dagli agenti atmosferici. Se lo scavo, analizzato in precedenza, avviene in genere con lavorazioni di asportazione decisa e ordinata, tipiche dell’atto dello scolpire, pervenendo ad una scalfittura netta nella struttura solida del pezzo litico, le metamorfosi erosive si esplicano attraverso processi che abradono la superficie del materiale, con una riduzione contenuta della massa da lavorare, entro i 10 mm di spessore superficiale.
Come l’acqua, il vento e le escursioni termiche in natura disgregano strati lapidei più o meno profondi rimodellando la facies degli ammassi rocciosi, così i processi erosivi industriali che si vogliono descrivere in questa sede investono la materia con una energia meccanica d’urto o di contatto continuato, con operazioni di percussione, graffiatura o sfregamento, oppure sottopongono la superficie litica alle azioni abrasive concentrate di getti idrici o d’aria e sabbia ad alta pressione.
Una minima asportazione di materiale è necessaria non solo per conferire una consistenza ruvida, o semiruvida alla superficie dei prodotti lapidei ma anche nelle finiture tese a levigare finemente e a lucidare la materia. I molteplici trattamenti superficiali possibili sono portatori di un’influenza complessa e fondamentale sul ruolo che la pietra può assumere nell’architettura contemporanea. Gradi differenti di rugosità, o rigature e scanalature diversamente approfondite, o ancora lisciature e lucidature più o meno specchianti, possono sfruttare appieno o negare le potenzialità applicative di un materiale, come anche possono esaltarne o smorzarne le possibilità espressive. L’erosione superficiale fissa l’aspetto finale della materia litica in termini di definizione del disegno delle venature, di esaltazione o omogeneizzazione del contrasto di grana, di intensificazione o stonalizzazione cromatica, di opacizzazione, di maggiore o minore esaltazione della rugosità superficiale e del rilievo, di mutevolezza dell’aspetto in funzione della luce al variare dell’angolazione di incidenza, di visibilità o occultamento di caratteri strutturali quali macchie, inclusioni, porosità disomogee.
La pietra, infatti, a seconda del contesto di impiego, deve soddisfare sia requisiti tecnico-funzionali (controllo della scivolosità, impermeabilità, manutenibilità, pulibilità) che formali, e se i primi possono essere codificati con test di laboratorio e successivamente valutati attraverso i parametri numerici di una normativa di riferimento, i secondi sfuggono ad un inquadramento definito e assumono caratteri di forte soggettività. Inoltre, l’interazione tra le due categorie di performance è spesso altamente problematica poiché un requisito tecnico può essere soddisfatto a discapito di un aspetto espressivo o viceversa. Così lo studio e l’attenta progettazione della metamorfosi erosiva superficiale assume un valore particolare nella risignificazione della materia litica nei numerosi campi applicativi dell’architettura contemporanea, e ciò è particolarmente evidente per materiali come i travertini senesi caratterizzati da un aspetto cromatico, tessiturale e strutturale così ricco, variabile e complesso.


Lastre di travertino senese con finitura anticata e lavorazione di burattatura del travertino in uno stabilimento di Rapolano Terme.

I più tradizionali trattamenti meccanici delle superfici travertinose sono quelli del semplice spacco o della bocciardatura, spuntatura e rigatura; un tempo applicati manualmente attraverso differenti tipologie di attrezzi, quali scalpelli, martelli e picconi, essi sono perlopiù realizzati attualmente con apposite macchine capaci di percuotere il materiale con teste utensili intercambiabili, per produrre vari tipi di finitura caratterizzati da alternanze di fossette e rilievi più o meno fini.
A tali trattamenti si aggiungono lavorazioni di rigatura più o meno fitta, con ritmi costanti o variabili, realizzate tramite fresature ripetute, poi eventualmente combinate con ulteriori trattamenti abrasivi; si tratta di interventi che nel comparto produttivo di Rapolano Terme hanno raggiunto particolari livelli di perfezionamento e creatività, andando a rappresentare un vero e proprio valore aggiunto capace di arricchire il travertino di un surface design peculiare e originale, particolarmente apprezzato nel campo dell’architettura d’interni.
Un ulteriore procedimento meccanico è la spazzolatura, che non viene realizzata a percussione ma grazie allo strofinamento di spazzole abrasive costituite da fili o piattine di natura flessibile e pieghevole 20. Tale trattamento permette di ottenere effetti satinati, lisci ma non specchianti, di diversa intensità. Le unità per l’esecuzione della spazzolatura possono essere manuali e brandeggiabili (per pezzi speciali), o automatizzate e fisse (per semilavorati standard) con la dotazione di apposite camere di lavorazione insonorizzate e la possibilità di produzioni giornaliere di oltre 100 mq di superficie. Della stessa tipologia di interventi fa parte la cosiddetta anticatura, o burattatura, tramite la quale il travertino, passando in cilindri con inerti abrasivi di varia natura, o in catene produttive con successive azioni di spazzolatura delle superfici e sbozzatura irregolare degli spigoli, assume un aspetto “vissuto”, quasi come se fosse consumato dal passare tempo e dall’utilizzo.


Lastre di travertino senese con finitura anticata e lavorazione di burattatura del travertino in uno stabilimento di Rapolano Terme.

Sempre per sfregamento si attua la lucidatura, cioè il rasamento della pietra con abrasivi a grana finissima che conferiscono polimento e brillantezza a superfici già levigate. Tale processo di finitura è quello attualmente più evoluto dal punto di vista dell’industrializzazione e dell’automazione e si esplica con apposite macchine di due principali tipologie: le lucidatrici a lastra fissa ad una testa, manuali o automatiche con banchi di lavoro che possono alloggiare pezzi di dimensioni massime di 200×350 cm; le lucidatrici e lucidacoste rettilinee a tunnel, con batteria di 12-18 teste operatrici, e con piano di lavoro costituito da un nastro scorrevole.
Questi ultimi impianti entrano quasi sempre a far parte di linee produttive polifunzionali e complesse, dove possono essere seguiti da scanner capaci di rilevare in automatico ogni semilavorato che esce dal processo di finitura; le immagini così ottenute possono essere impiegate nel controllo di qualità dei difetti e del colore e nella composizione di un magazzino digitale on-line che agevola la commercializzazione dei prodotti. Esistono inoltre lucidatrici automatiche per oggetti torniti che possono operare la finitura su pezzi del diametro massimo di 50 cm e della lunghezza di 100 cm. Le teste abrasive lucidanti di tutte le attrezzature sopra descritte sono perlopiù costituite da cristalli di diamante o da carburo di silicio legato con carbonato di magnesio. La lucidatura può essere effettuata anche grazie al montaggio di apposite mole lucidanti sui centri di lavoro CNC.
In passato ottenuta strofinando manualmente a secco la superficie della pietra con blocchetti abrasivi, la sabbiatura viene invece eseguita oggi con l’applicazione di un getto di aria compressa miscelata a sabbie, o graniglie metalliche, o corindone, o palline di vetro.


Lastre di travertino di Rapolano variamente scanalate e rigate producono diversi effetti chiaroscurali e materici.

Proiettando il flusso abrasivo, additivato o meno con acqua, sulla materia litica si produce un finissimo tracciamento erosivo puntiforme che conferisce alla superficie del travertino una particolare “vellutata” morbidezza al tatto e agli effetti della luce incidente.
Attraverso il controllo dell’energia del getto idrico è poi possibile utilizzare le macchine water jet per ottenere varie tipologie di trattamento superficiale della pietra con l’asportazione soltanto di pochi millimetri di materiale. I parametri che permettono di variare la tipologia finale del risultato sono la pressione del getto, la sua velocità di scorrimento, la portata di abrasivo, nonché la distanza dell’ugello dalla superficie. Aggiornati studi sperimentali specialistici hanno individuato curve di previsione dell’effetto finale del trattamento, cioè della larghezza e della profondità del
cratere creato dal getto, in funzione della variazione dei parametri sopra elencati 21. L’effetto dei trattamento che si possono ottenere con l’applicazione superficiale della water jet al travertino è simile a quello dei trattamenti di sabbiatura o bocciardatura meccanica; rispetto a tali operazioni tradizionali, la water jet limita l’energia di percussione trasmessa al materiale e quindi riduce lo stress sullo strato lapideo, consentendo di trattare anche lastre di spessore inferiore ad 1 cm che altrimenti sarebbero soggette a sollecitazioni critiche con rischi di lesioni. Inoltre, al contrario della sabbiatura e della bocciardatura tradizionale, la water jet consente di intervenire su areole di superficie anche molto limitata, con larghezze inferiori ad 1 cm, ottenendo effetti più o meno “morbidi” di lieve enfatizzazione o più accentuata scorticatura della tessitura porosa del materiale.


La preparazione della malta e le diverse fasi di stuccatura automatizzata e manuale del travertino senese.

Ibridazione
Negli ultimi decenni, in un crescente numero di settori del vasto ambito produttivo dei lapidei, la pietra è stata oggetto di processi di ibridazione nei quali è stata accostata e intimamente legata con altri materiali per soddisfare esigenze di assottigliamento, alleggerimento e di miglioramento delle sue proprietà strutturali ed estetiche. Tale positivo sincretismo materico può essere necessario per migliorare le qualità di resistenza e lavorabilità di lapidei fragili o con tessitura discontinua; esso si attua con i cosiddetti procedimenti di resinatura in cui la pietra accoglie al suo interno resine sintetiche che dapprima, allo stato liquido, ne impregnano la struttura alveolare o fessurata, penetrandone gli spazi interni più microscopici, poi, essiccandosi e solidificandosi, entrano a far parte della materia litica stessa rimanendone imprigionate. Gli impianti industriali di resinatura, idonei al trattamento automatico di blocchi, lastre e filagne, rappresentano l’applicazione più aggiornata del settore che consente di conseguire risultati combinati per ciò che riguarda il rafforzamento, la lavorabilità e il miglioramento delle qualità estetiche. Tra le numerose pietre che traggono beneficio dal consolidamento con resine si trovano anche alcune tipologie di travertino particolarmente pregiate e caratterizzate da un disegno fortemente venato; nella filiera produttiva del distretto rapolanese esse vengono sottoposte a processi di consolidamento tramite incamiciatura dei blocchi con uno strato costituito da resine epossidiche o poliuretaniche. Tale processo, realizzato per spruzzatura del consolidante sulle facce del blocco, consente poi di ridurre l’elemento in lastre che risultano così incorniciate da un frame di resina capace di rendere la compagine del materiale molto più solida.
Per travertini con problemi strutturali più lievi è sufficiente realizzare un consolidamento delle lastre attraverso il cosiddetto processo di retinatura, nel quale una rete sintetica di pochi millimetri di spessore viene incollata tramite resine sulla faccia tergale del pezzo destinata a non rimanere a vista. In generale è possibile affermare che per pietre con porosità elevata ma con sostanziale buona compattezza strutturale, come i travertini, gli effetti dell’ibridazione risolvono sì reali problemi di consolidamento ma molto più diffusamente migliorano la lavorabilità e la lucidabilità dei materiali.


Stuccatura e levigatura di bordo realizzata in un laboratorio rapolanese su di una lastra in travertino.

È il caso del processo di stuccatura con malte che viene applicato all’80% dei prodotti in travertino ed è finalizzato a chiudere i pori della pietra per rendere la superficie del materiale omogenea, compatta e quindi meglio lavorabile e lucidabile. Le malte impiegate per la stuccatura hanno legante perlopiù cementizio e sono arricchite con ossidi per raggiungere la tonalità cromatica dominante del travertino a cui vanno applicate. L’utilizzo del legante cementizio fa si che il processo di stuccatura si sviluppi in più giorni attraverso diverse fasi successive interrotte dai tempi di asciugatura e ndurimento dello stucco. Oggi i processi di stuccatura del travertino sono semi-automatizzati: l’apporto umano tuttavia è sempre necessario poiché la porosità caratteristica del materiale può essere assai variabile per dimensione, diffusione e profondità, e deve quindi sempre essere analizzata da un operatore esperto; le macchine che agiscono distribuendo lo stucco in modo omogeneo sulla superficie dei semilavorati non compiono quindi un lavoro che si può ritenere definitivo, un ultimo passaggio di ritocco manuale è quasi sempre necessario.


Lastra di travertino di Rapolano rinforzata con retinatura.

Ulteriori azioni di ibridazione dei travertini sono rappresentati dai numerosi trattamenti chimici che possono essere applicati ai prodotti finiti e che mirano a conferire al materiale una correzione dell’aspetto estetico, o a rendere più “profonda” e brillante la tessitura materica e colorica della pietra con esaltatori cromatici, opacizzanti o brillantanti, vernici ad “effetto bagnato”, o ancora a difendere il travertino da agenti di degrado con idrorepellenti e protettivi di varia natura.

di Davide Turrini

Il presente saggio è tratto dal volume Travertino di Siena a cura di Alfonso Acocella e Davide Turrini

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