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19 Ottobre 2015

Opere di Architettura

Complesso polifunzionale dell’ex stazione di Porta Vittoria, Milano
Fabio Nonis


Il dettaglio di alcune torri del complesso (fotografie di Clara Judica)

Le radici dell’intero nuovo complesso, profonde tre piani sotto terra, imbrigliano la velocità degli attuali trasporti su rotaia; tutta l’area era originariamente interessata dal trasporto ferroviario, gravitante nel raggio d’azione dell’ex stazione di Porta Vittoria. Le sistemazioni ipogee svelano a loro volta il sottile equilibrio giocato ad ogni livello del nuovo complesso, in cui statico e dinamico, razionale e organico, opaco e traslucido, fisso e mobile, tradizionale e innovativo, si fronteggiano prevalendo reciprocamente l’uno sull’altro.
I binari segnano ancora la superficie, offrendo spunti per la progettazione del verde e per la conservazione della memoria entro il disegno complessivo coinvolgente alcuni isolati adiacenti. All’emersione del costruito dal suolo il complesso accetta le regole del luogo, lasciandosi irretire nel sistema di camminamenti e cordolature propri della città metropolitana milanese; secondo i regolamenti locali viene impiegata pietra di Luserna.
In essi si materializza il modo litico di avvicinamento al nuovo complesso da parte della città, coinvolgendo perimetralmente l’attacco a terra dell’edificato, modellandosi non solo quanto a sistema pavimentale ma estendendosi all’arredo urbano, a plasmare sedute e vasche di contenimento del verde.
La scalettatura dei volumi verso il parco di viale Umbria apre la possibilità a piazzali d’ingresso in lastre lapidee, le cui geometrie riorganizzano le diverse giaciture presenti e future. Pavimentazioni in pietra di Luserna incrociano calpestii in pietra lavica, ingaggiando il primo confronto sulle tonalità del grigio. La pietra lavica abbraccia alla base il complesso con il suo colore scuro e la sua omogeneità cromatica. Negli affacci a soleggiamento diretto l’ombra si riversa sulla pietra lavica rendendola ancora più scura e marcando in modo più netto lo stacco fra base e sviluppo verticale delle nuove architetture soprastanti. La fascia orizzontale basamentale arretra rispetto gli allineamenti esterni secondo diverse profondità. In taluni casi la cortina lapidea si fende con squarci per ampi varchi pedonali, o lascia spazio a frangisole metallici su disegno a filtrare la luce naturale sulle ampie vetrazioni retrostanti.


L’attacco a terra con i lapidei caratteristici (fotografie di Clara Judica)

Allo sguardo d’insieme il complesso mostra atteggiamento unitario, aprendosi volumetricamente verso il parco e ricompattandosi verso la città costruita. Oltre la fascia in pietra lavica, salendo in verticale al cielo si trova nuova fascia orizzontale beige, più estesa quanto a ingombri e impronta a terra, ma assai più eterea per la pressoché nulla rugosità superficiale, per il colore solare e la maggior evidenza delle nuances delle lievi venature.
Prima milanese, poi lombarda per tramite del percorso professionale di Ignazio Gardella, la teoria figurativa delle facciate razionalmente squadrate composte per fasce orizzontali, sovrapposte, di materiali e colori differenti, con integrazione di parti cieche e traforate, approda rivisitata in porta Vittoria, ripercorrendo secondo nuova necessità i ragionamenti già propri dell’affaccio sud del Padiglione d’Arte Contemporanea a Milano e del Dispensario antitubercolare ad Alessandria.
La prima fascia scura, dal basso, in pietra lavica/basalto dell’Etna, prevede lastre incollate su muratura, lastre con spessore variabile dai 2 cm tipici, ai 3 cm per i davanzali. La fascia più chiara si discosta fisicamente e concettualmente dai supporti retrostanti: in pietra croata beige imperiale, le lastre sono posate a secco, con spessore 3 cm.


Dettaglio dell’attacco a terra Clicca sull’immagine per allargare

Le geometrie, regolarmente squadrate e precise, sono dinamiche nel loro continuo crescere in altezza ed espandersi in impronta a terra. I lapidei sono sempre posati a correre, in diversi formati ripetuti in sequenza, mai placidamente statici. La fascia chiara in beige imperiale si slancia in senso verticale a determinare nuovi volumi abitati, e pure prosegue perimetralmente il proprio tracciato orizzontale esteso a tutto il complesso. Come statue poggiate sul basamento alla scala urbana, crescono verso l’alto edifici a torre, connotati ciascuno separatamente da applicazioni estese e monotematiche di altri materiali naturali. Ulteriore energia si sprigiona al contatto ravvicinato fra materiali differenti.
La precisione stereotomica dei volumi, le scelte cromatiche precisamente assegnate a definite porzioni di costruito, l’effetto chiaroscurale prodotto dalle quinte più arretrate e dai giochi d’ombra, richiamano con le opportune distanze spazio-temporali certa ricerca di Donald Judd.
Il raffronto con la città si risolve in modo empatico; l’intero isolato si plasma secondo i caratteri e le opportunità dei suoi quattro affacci principali: aperto e ricco di traguardi visivi verso il parco di futuro impianto, netto e verticale verso via Cena, ammiccante agli esiti alti dell’architettura moderna milanese all’incrocio verso via Cervignano, modellato e scultoreo al versante opposto. Le due testate, verso città e parco, incarnano particolarmente lo spirito dell’intervento, nella loro reciproca apparente contrarietà e nella capacità d’interpretazione del ruolo giocato dall’architettura in ogni occasione svelata dal progetto.


L’insieme da viale Umbria (fotografie di Clara Judica). Clicca sull’immagine per accedere alla scheda del progetto

[photogallery]portavittoria_album[/photogallery]

di Alberto Ferraresi

Vai al sito dello studio Nonis
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Vai al sito del nuovo complesso di Porta Vittoria
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Vai all’approfondimento sul Dispensario antitubercolare
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