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27 Novembre 2008

Design litico

… d’acqua e ombra

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Il lavabo Fukuoka disegnato da Hikaru Mori per PIBA Marmi. (foto Peppe Misto)

“4 maggio. Dopo il bagno colazione con i coniugi Ueno, la signora Gernier e Shimomura. Un regalo da lui: un libro. Foto per la stampa in giardino. Pranzo a casa. Poi con i coniugi Ueno e Gernier a palazzo Katsura. Recinto in bambù. Cortile e ingresso di palazzo Katsura. (…) Di una bellezza commovente sino alle lacrime: giardino movimentato, pontile trasversale, piante di azalee a destra – mondanità, a sinistra – differenziazione. Infinito e così ricco di relazioni che si resta sopraffatti.
(…) Edificio privo di individualità, tutto appare eguale. Proporzioni calcolate sui sedili. Giardino! Sentiero che porta alla casa del tè: 1) paesaggio; 2) ruscello idilliaco; 3) pietre – striscia di sabbia con lanterna, “lontananza”.
Disposizione dei sedili nella sala d’attesa, si conversa senza avere nessuno di fronte. Sentiero 4 pietre aspre, respingenti, “riflettete!”. Lungo ponte di pietra sopra l’acqua, casa del tè sopraelevata. Raffinata armonia. Per entrare si deve quasi strisciare. Qui nessun “imperatore”.
(…) E’ stato forse il compleanno più bello. “Asahi” ha scritto: non voglio un’escursione, ma qualcosa di serio, e quindi palazzo Katsura; ha ragione”1.
Sono le atmosfere e le sensazioni annotate telegraficamente da Bruno Taut nel suo diario di visita alla villa imperiale di Katsura a ricondurci al Giappone, alla magia delle sue architetture commisurate alle proporzioni umane e dei suoi giardini secchi o acquatici, modellati sulle linee di paesaggi rocciosi e marini.
Compiamo tale avvicinamento ancora una volta per osservare l’opera di Hikaru Mori, designer nipponica che da tempo ha intrapreso nel nostro Paese un percorso creativo del tutto originale, proponendo una collezione di elementi per il bagno in pietre naturali intitolata “Stone likes water”.
A Katsura i sentieri lastricati, i ponti monolitici e i lavacri per la cerimonia del tè lambiti dai ruscelli, così come le spiagge sassose delle insenature costiere giapponesi riproposte in miniatura nelle distese di ciottoli, parlano di un antico rapporto dell’uomo con la pietra e l’elemento liquido; si tratta di un legame primigenio con il mistero e la forza della natura di cui Hikaru Mori oggi si riappropria per celebrare sommessamente, all’interno delle nostre case, una bellezza materica semplice e nuda, segnata da impercettibili inclusioni e venature, sfumata da lievi e irregolari porosità, che non svanisce col passare del tempo ma che trova nelle mutazioni date dall’invecchiamento una inesauribile fonte di ricchezza e rigenerazione.
Ecco allora che la seduta Nagoya (cubica e caratterizzata dall’impercettibile incavo della faccia superiore), la vasca Wabi (in cui un vuoto ellittico si inscrive obliquamente in un parallelepipedo di pietra) e il lavabo Fukuoka (dove l’acqua scorre in una caditoia nascosta), si vanno ad aggiungere ad alcune nuove varianti di Kobe, Kyoto e Osaka, modelli già progettati dalla designer per la stessa collezione ingegnerizzata e prodotta dal brand PIBA Marmi.
Tutti questi elementi litici trasmettono un’idea di sostanziale massività; le loro forme elementari sono delicatamente animate da minime asimmetrie, da inattese assialità oblique; le loro superfici sono accuratamente texturizzate e accostano per contrasto stesure lisce e setose a piani ruvidi increspati da serrate scanalature ripetute. Giocando con poche studiate lavorazioni di finitura, Hikaru Mori imbastisce un sottile gioco di contaminazioni materiche e sensoriali, dà vita a pietre legnose, o a pietre tessili, creando una scena minimale affinchè il racconto dell’acqua si possa sviluppare indisturbato e possa parlare i suoi molteplici linguaggi, fatti di colori, suoni e temperature sempre mutevoli.

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Elementi della collezione Stone likes Water, disegnati da Hikaru Mori nel padiglione PIBA Marmi al 43° Marmomacc di Verona. (foto Peppe Misto)

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Poichè “la pietra ama l’acqua e da essa è riamata”, l’elemento liquido si distende sulla materia litica, e si rivela di volta in volta libero, forte e transitorio, o imbrigliato, discreto e immobile. Così, ancora una volta, il bagno diviene il luogo dove stabilire un rapporto intimo con il corpo attivato dalla stimolazione sensoriale nel segno dell’acqua, attraverso la quale incorporiamo l’energia del movimento scrosciante, o la quiete di un lento scorrimento, o ancora la dimensione riflessiva di uno specchio statico.
In spazi rituali privati, formali e fortemente simbolici, in cui le pietre sono disposte con attenzione a rappresentare inerzia, densità ed equilibrio, Hikaru Mori ci invita ad un piacere dato dal contatto con le cose del mondo, ci accompagna in ambienti umidi e in atmosfere pastose dove il primato della sensazione visiva cede il passo al prevalere delle stimolazioni sensoriali tattili e uditive, poichè le presenze litiche da lei disegnate prediligono una luce fievole, soffusa, o anche, le innumerevoli tonalità della sua negazione: l’oscurità.
Per comprendere l’universo oggettuale giapponese, e quindi la poetica della designer, bisogna infatti ritornare ai concetti del wabi-sabi, che abbiamo in passato introdotto, o al pensiero e all’estetica zen, da cui discendono evidentemente gli ultimi oggetti della collezione: è importante assumere la piena consapevolezza che tali idee sono basate su di un tentativo di armonizzazione dei sensi operato storicamente dalla cultura nipponica in un atteggiamento oppositivo rispetto a quello occidentale a lungo basato sulla iper-stimolazione visiva e sulla atrofizzazione delle altre sfere percettive. Questa armonia è stata spesso ricercata nei templi, nei monasteri, nelle case delle geishe, nelle abitazioni della gente comune, in una equalizzazione – o in un azzeramento – della componente luminosa che di frequente si è tramutata in un’oscurità più o meno spessa, radiosa non di luce ma di altri stimoli sensoriali, forti e penetranti quanto le più spiccate sensazioni visive.
Di queste atmosfere permeate delle differenti qualità dell’assenza di luce, Junichiro Tanizaki ci invita a cogliere il mistero: “la spoglia eleganza delle stanze giapponesi è fondata, per intero, sulle infinite gradazioni del buio. Può accadere che una nudità così estrema sconcerti un occidentale. Che beltà può celarsi in quattro muri grigi, senza decorazione alcuna? Osservazione ragionevole, che mostra tuttavia come l’occidentale non abbia penetrato enigmi e giochi dell’ombra”.2

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La vasca Wabi disegnata da Hikaru Mori per PIBA Marmi. (foto Peppe Misto)

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BIOGRAFIA HIKARU MORI
Nata a Sapporo in Giappone nel 1964, Hikaru Mori si laurea in architettura nel 1987 presso l’Università Statale di Tokyo Geijytsu Daigaku dove consegue anche, nel 1991, il dottorato di ricerca. Successivamente si trasferisce a Milano per frequentare il corso di specializzazione in architettura d’interni all’Istituto Europeo del Design; nella stessa città intraprende dal 1993 l’attività professionale in proprio, aprendo uno studio e occupandosi parallelamente di architettura e design.
Dal 1997 forma con Maurizio Zito il gruppo ZITO+MORI che opera nel settore della progettazione di opere di architettura, giardini e allestimenti.
Hikaru Mori ha disegnato la collezione di lampade Iota per Nemo e per Lucitalia ha progettato Adam, innovativo sistema di piastre multiuso a soffitto in cui possono trovare alloggiamento una serie di servizi e corpi illuminanti di diverse morfologie; tra le sue principali realizzazioni di architettura si ricordano le cantine per l’azienda Feudi di San Gregorio nei pressi di Avellino e la cantina Bisceglia a Potenza.3

di Davide Turrini

Vai a: Pietre Wabi-Sabi
Vai a: PIBA Marmi

Note
1 Bruno Taut, “Diario giapponese, 1933”, p. 331, cit. in Katsura. La villa imperiale, a cura di Virginia Ponciroli, Milano, Electa, 2004, pp. 396.
2 Junichiro Tanizaki, Libro d’ombra, Milano, Bompiani, 2007, p. 41, (I ed. giapponese, 1935).
3 Per le opere di Hikaru Mori si rimanda a: Stefano Casciani, “Se un giorno in primavera un avventore…”, Domus n. 880 – Speciale Convivialità, 2005, pp. 40-51; Maria Cristina Tommasini, “Calligrafia geometrica”, Domus n. 909, 2007, pp. 98-101; Vincenzo Pavan, Tre architetture con la pietra, Chiampo, PIBA Marmi, 2008, pp. 77.

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