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14 Ottobre 2009

Design litico

Il design litico di Angelo Mangiarotti

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Variazioni (1966-71), vasi in marmo di Angelo Mangiarotti per Skipper, Henraux, Pedretti. (foto Davide Turrini)

L’attenzione sul design dell’oggetto in pietra appare oggi indebolita, in modo particolare nel nostro Paese dove invece è stata estremamente significativi dal secondo dopoguerra fino a tutti gli anni ’80 del secolo scorso, allorquando alcuni importanti progettisti si sono impegnati nell’ideazione di prodotti dall’alto valore formale e funzionale, connotati da una capacità espressiva contemporanea declinata attraverso processi tecnologici innovativi, nel più rigoroso rispetto delle caratteristiche della materia litica.
Emblematica di questa situazione è stata l’esperienza culturale e operativa di Officina, nata in Italia, a Pietrasanta, ma sviluppatasi in una prospettiva di contatti internazionali in cui si sono intrecciate le storie personali di Erminio Cidonio – a capo della sede apuo-versiliese della multinazionale dei lapidei Henraux per tutti gli anni ’60 del Novecento e guru di una breve ma intensa stagione di sintesi tra creatività e spirito imprenditoriale – con quella di critici militanti come Pier Carlo Santini, di galleristi orientati tra Roma e New York come Carla Panicali titolare della Marlborough ed, infine, con quella di designer e artisti del calibro di Arnaldo e Giò Pomodoro, Gastone Novelli, Alicia Penalba, Angelo Mangiarotti. A tale cantiere d’arte, con l’obiettivo di rinnovare e riqualificare l’oggetti in marmo, vengono invitati a lavorare artisti di ogni tendenza, che operano nella più ampia libertà, utilizzando forme estremamente complesse e processi tecnologici inabituali. La mostra collettiva Forme 67, che si tiene nel 1967 a Pietrasanta, è il risultato di tale attività e raccoglie prototipi di oggetti d’uso di Gino Casentino, Lorenzo Guerrini, Franco Libertucci, Francois Stahli, oltre che di Pomodoro, Novelli, Mangiarotti e della Penalba.
Nel fertile contesto che si delinea a partire dalle sperimentazioni di Officina prendono avvio singoli percorsi progettuali, come quelli di Mario Bellini, Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Enzo Mari, Renato Polidori e Tobia Scarpa, che portano a consistenti risultati in termini di innovazione formale e tecnologica del prodotto e che ancora oggi rappresentano un riferimento metodologico e operativo vivo e attuale per eventuali ricerche presenti e future sul design dell’oggetto litico. Tra tutti questi percorsi quello di Angelo Mangiarotti è di particolare rilevanza per la quantità e la qualità dei progetti approdati ad un effettivo instradamento verso le linee produttive.

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Dettaglio di un tavolo Eros. (foto Davide Turrini)

Sin dagli esordi negli anni ’50, l’attività di Mangiarotti è contrassegnata da una particolare attenzione ai materiali e al problema della produzione industriale: ripercorrendo l’ampio catalogo di realizzazioni del progettista milanese nell’ambito dell’architettura, del design come anche della ricerca scultorea, emerge con evidenza un filo conduttore secondo cui la soluzione dei problemi funzionali, ergonomici e strutturali parte inevitabilmente dalla analisi di un dato formale e delle proprietà intrinseche della materia; Mangiarotti «arriva al design di prodotto attraverso l’architettura, più in particolare attraverso la prefabbricazione industriale e le tecniche di montaggio a secco, risolvendo i problemi di statica mediante l’ingegnerizzazione. L’oggetto principale del suo interesse è infatti l’industrializzazione: dalle tecniche dei vari sistemi di assemblaggio egli fa nascere moduli e giunti applicabili sia all’architettura che al design, specie al design destinato all’architettura d’interni […]. La sua logica di progetto trae fondamento dalla funzione e dall’uso dell’oggetto finale, la cui forma tuttavia non è il puro e semplice risultato di un razionalismo ortodosso, il frutto dell’uso razionale del materiale giusto e delle relative tecniche di costruzione. La logica mangiarottiana è molto più complessa e tiene conto anche di altri fattori, come la composizione fisica dei materiali, la quale influenza la forma che verrà alla luce. […] Un’altra caratteristica da ricordare è la capacità di Mangiarotti di esaltare l’aspetto sensuale degli oggetti attraverso la giusta scelta dei materiali, sostenuta da una sensibilità formale, intuitiva e fortemente espressiva che situa i suoi lavori, in egual misura, nell’ambito della razionalità e in quello della soggettività. Una delle qualità che fanno di lui un designer attuale è il suo dono di saper stare al passo con le tecniche più avanzate in uso nel campo della cultura materiale, lavorando per esempio sul taglio della pietra con l’ausilio di macchine a controllo numerico. Dalla sua capacità di applicare a un settore le conoscenze acquisite in un altro settore nasce una pratica trasversale che si estende a tutti i campi nei quali egli opera: ambiente, architettura, architettura d’interni, design di prodotto, arte»1.

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Disegno di Angelo Mangiarotti per il lavabo in marmo Lito 3

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Le opere di Mangiarotti diventano così di volta in volta, nei vari settori applicativi, modelli di riferimento per i loro aspetti di razionalità concettuale, di modularità assemblativa, di essenzialità e originalità formale. Per stare alla produzione in cui egli impiega i materiali litici nei vasi in marmo Variazioni (1971) il progettista si limita a schizzare la forma irregolare dell’impianto e affida alla capacità espressiva della fresatura artigianale l’interpretazione dell’oggetto solido finito. Le serie dei tavoli modulari Eros (1971), Incas (1978) e Asolo (1981), realizzate rispettivamente in marmo, pietra serena e granito, rappresentano l’apice della ricerca sui mobili con incastri a gravità, perfettamente calibrati alla scelta del litotipo impiegato che suggerisce particolari soluzioni, lavorazioni e finiture. Così Eros, il cui nome allude al giunto maschio-femmina, è una serie di tavoli dove i piani appoggiano su gambe tornite dalla sezione tronco-conica, in punti di giunzione ad asola aperta la cui forma è il risultato della logica elisione di quelle parti che non sopporterebbero la pressione dell’incastro. Nella serie Incas il disegno dell’incastro “asseconda la richiesta” della pietra serena di lavorazioni più semplici fatte di tagli lineari e spigoli retti; l’assemblaggio del piano con gli elementi di sostegno avviene poi, sempre per gravità, secondo un elementare schema trilitico. Asolo indaga infine le elevate caratteristiche di resistenza fisico-meccanica del granito in un design minimale a cui il progettista perviene attraverso un’approfondita conoscenza della materia impiegata; in questo caso infatti i tavoli presentano ripiani con due sole “asole” in cui si innestano due lastre/montanti dello stesso spessore; il bloccaggio del piano è determinato dalla forma trapezoidale dei montanti, l’inclinazione di questi ultimi aumenta inoltre la stabilità dell’insieme configurato come la pura enunciazione di un meccanismo statico-geometrico.

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Clizia, seduta in marmo di Angelo Mangiarotti. (foto Davide Turrini)

Nella seduta per esterni Clizia (1990) il progettista esplora poi le potenzialità delle lavorazioni con macchine a controllo numerico: da un unico blocco di marmo, attraverso sagomatori a filo CNC che consentono tagli precisi e complessi di pezzi special moulded, è possibile ottenere elementi di seduta dove il profilo superiore coincide con quello inferiore, riducendo scarti, costi e tempi di produzione. Le più avanzate tecnologie di taglio della pietra stanno alla base anche della concezione di una consistente serie di sculture realizzate da Mangiarotti nel corso di oltre vent’anni di ricerca e sperimentazione su corpi litici che sono riguardabili al contempo come opere scultoree astratte e come prototipi di pezzi di design, progettati razionalmente ed eseguiti grazie ad processi industriali. La scultura Cono-Cielo (1987), realizzata per il nuovo ingresso della Fiera di Marina di Carrara, è costituita dalla sovrapposizione di elementi tronco-conici di dimensioni decrescenti ricavati da un unico blocco di marmo delle dimensioni di 250x250x100 cm; la composizione è montata semplicemente sovrapponendo gli elementi i cui spessori e le cui inclinazioni vanno a diminuire verso l’alto e tendendo un cavo di compressione tra la base e il vertice della struttura. Anche le sculture Presenze, La Galleria e Il Percorso, tutte realizzate alla fine degli anni ’90 per Marina di Carrara, sono ottenute per scomposizione di un unico blocco marmoreo in più parti attraverso tagli liberi effettuati con macchine programmate a controllo numerico. La perfezione, la continuità e la fluidità dei tagli permettono di ottenere profili coincidenti tra masse contigue, contrapposizioni di corpi plastici, aggetti e arretramenti, effetti particolari di luce/ombra e vuoto/pieno.

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Sculture Variazioni (1996), ideate da Angelo Mangiarotti e realizzate in marmo con macchine a controllo numerico. (foto Davide Turrini)

La produzione scultorea di Mangiarotti è fatta quindi di oggetti ripetibili, assemblabili, che danno ancora una volta soluzioni a problemi strutturali, di incastro e di montaggio; i riferimenti alle forme pure di Arp e Brancusi sono chiari, come palese è il confronto che il progettista milanese cerca con le sperimentazioni di Max Bill, tuttavia le sculture mangiarottiane «non postulano equilibri preconcetti, bensì rivelano la ricerca di relazioni dinamiche, nella tensione tra energia, materia e spazio, nella dualità e interazione di interno ed esterno e di pieno e vuoto, in una condizione sempre attiva che non rinuncia alla razionalità della nostra cultura, ma ne nega l’assiomatica non verificabilità»2.

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Il tavolo litico Incas in mostra nel cortile della Casa del Mantegna a Mantova. (foto Davide Turrini)

L’opera di Mangiarotti alla Casa del Mantegna
Il 12 settembre scorso, nella Casa del Mantegna a Mantova, in concomitanza con il Festivaletteratura, si è aperta una mostra antologica dedicata all’opera dell’architetto e designer milanese. Attraverso 80 progetti l’allestimento ripercorre l’intera carriera di uno dei grandi maestri del progetto italiano del Novecento, ancora attivo ai giorni nostri, a quasi novant’anni. In mostra numerosi materiali originali provenienti dall’Archivio – Fondazione Angelo Mangiarotti di Milano, come gli emozionanti disegni a mano libera, i tanti modelli di studio, molte fotografie originali, oltre a diversi oggetti e alcune sculture.
Due le sezioni tematiche, corrispondenti ai due piani della Casa del Mantegna:
Al piano terreno, la sezione “Progetto come Scultura”. Angelo Mangiarotti, che negli ultimi vent’anni ha molto prodotto nel territorio puro della scultura, ha in realtà da sempre mostrato un approccio al progetto di architettura e di design libero e rigoroso insieme, fluido e matematico al contempo.
Al primo piano, la sezione “Progetto come Costruzione”, che indaga la particolare caratteristica di Mangiarotti – architetto di formazione ma ingegnere nell’anima – di immaginare sistemi costruttivi che permettano sviluppi infiniti e liberi delle architetture progettate. Accanto ai sistemi costruttivi prefabbricati (per i quali Mangiarotti è famoso in tutto il mondo), dai primi anni Sessanta (Facep del 1964 e U70 Isocell del 1969) fino alle ultime ipotesi di grandi strutture elaborate in anni recenti (S99 del 1999 e Monolite del 2000), non mancano i progetti di architetture d’eccezione, come la Chiesa Mater Misericordiae a Baranzate (1957) e il Padiglione per Esposizioni alla Fiera del Mare di Genova (1963).

Sede della mostra: Casa del Mantegna, Via Acerbi 47, Mantova
Durata: 12 settembre – 8 novembre 2009
Orario: dalle 10.00 alle 13,00 e dalle 15.00 alle 18.00 (lunedì chiuso)
Ingresso: Euro 5,00
Telefono: 0376360506
Catalogo: a cura di Beppe Finessi, Corraini Edizioni, Euro 24,00
Vai a: www.casadelmantegna.it

di Davide Turrini

Note
1 Francois Burkhardt, “Sul design” p. 220, in Beppe Finessi, Su Mangiarotti. Architettura Design Scultura, Milano, Abitare Segesta, 2002, pp. 240.
2 Luciano Caramel, “Sulla scultura” p. 238, in Beppe Finessi, op. cit.

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