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13 Dicembre 2010

Opere Murarie

La costruzione muraria. Tettonico/Stereotomico*

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Il picco di capo Masullo con Casa Malaparte a Capri

Il capitolo su Muri di pietra, posto in apertura dei temi correlati all’uso dei materiali litici, è fra i più importanti della lunga serie attraverso cui si è voluto strutturare il nostro lavoro. Ad esso è affidato il compito di introdurre il lettore, proponendogli un lento avvicinamento, alla tematica ricca e variegata de L’architettura di pietra partendo da un passato molto lontano. Il filo delle analogie da noi intessute fra cultura progettuale contemporanea e quella del passato – di un passato spesso “remotissimo” – vuol sostenere una tesi semplice, elementare, ma per noi fondamentale, legata al valore di permanenza dell’architettura muraria; l’ipotesi di fondo è che si può comprendere meglio l’architettura di pietra dell’oggi solo se si ha di fronte lo scenario variegatissimo delle esperienze del passato, in quanto la prima non nasce né improvvisamente, né dal niente.
I casi antichi sottoposti all’attenzione del lettore, le similitudini e i confronti avanzati – a volte con “distanze” temporali e geografiche apparentemente inconciliabili fra loro – rappresentano, per noi, non tanto (e non solo) un fatto di curiosità erudita od antiquaria quanto il mezzo, il luogo “fisico” e “mentale”, di approfondimento delle relazioni fra le “cose” fondamentali alla maturazione di una sensibilità e di una cultura connesse alla costruzione muraria. La nostra tesi – in estrema sintesi – è che l’architettura di pietra sia inevitabilmente radicata nei “tempi” e nella “lezione” degli Inizi.
Una restituzione dell’originario e dei suoi archetipi, visti non tanto attraverso una lettura “formalistica” bensì nella profonda concettualità di fondo, è l’obiettivo vero della nostra trattazione. Il muro di pietra – indagato a partire dai suoi primi modi costruttivi – è proposto come uno dei concetti fondativi dell’architettura; lo scenario della lunga durata, di un eterno presente, alimenta così l’orizzonte dell’analisi da noi sviluppata.

Il carattere dell’architettura è fondamentalmente determinato dai materiali e dalle modalità connettive che mettono in “forma costruttiva” le specifiche risorse disponibili. Benché i materiali impiegati storicamente in architettura sono stati, da sempre, numerosi – e ancor più allargati quantitativamente si presentano nella nostra epoca contemporanea – la gamma delle soluzioni strutturali non è altrettanto vasta quanto la possibilità di scelta dei materiali stessi. Quando si tratta di sfruttare le proprietà meccaniche dei corpi disponibili in natura i tipi di strutture tendono a ridursi in un numero estremamente limitato di famiglie anche se, poi, all’interno di ognuna di esse, c’è molto spazio per la variazione, l’interpretazione, se non proprio del funzionamento statico, quantomeno della soluzione di costruzione con risvolti non irrilevanti sul piano della forma architettonica.
Il processo storico indirizzato a modificare il luogo naturale ed inospitale in un microcosmo protetto (e poi, via via, progressivamente “intenzionalizzato” con specifici connotati funzionali, estetici, simbolici) si attua nell’architettura delle origini attraverso due archetipi costruttivi fondamentali, e per certi versi oppositivi: da una parte l’intelaiatura lignea sottile, leggera lineare, “giuntata” nei nodi di connessione, sollecitata a tensione; dall’altra la struttura muraria – di terra, di argilla, di pietra – dotata di massa, di continuità materica sottoposta prevalentemente a sforzi di compressione. Il primo procedimento di costruzione può essere valutato come il sistema tipico dei paesi nordici, il secondo delle civiltà del mondo mediterraneo che hanno sviluppato, fin dalla più remota età, una concezione dell’architettura sfruttando la durezza, la massa, l’indistruttibilità della pietra che si presenta con caratteristiche intrinseche tali da resistere nel tempo e “segnare così la terra per l’eternità”. 1


Planimetrie di dolmen pugliesi: (a) Tavola dei Paladini; (b) Bisceglie; (c) Cisternino; (d) Placa; (e) Scusi

Già l’architettura delle culture primitive mediterranee si distingue per l’uso di grandissime pietre. Siamo di fronte alla tradizione che comunemente indichiamo come “costruzione megalitica” in cui la materia lapidea, pur impiegata rudimentalmente nella sua la naturalità di partenza, risulta in qualche modo sottoposta ad un processo di trasformazione, di adattamento, di intenzionalizzazione applicativa.
In queste prime manifestazioni all’uso della pietra – qualli i menhir, i muri ciclopici, le tombe a tholos – il materiale costruttivo esprime e simbolizza la solidità, la permanenza, la durata delle rocce e delle montagne che “recintano” il Mediterraneo di cui ci ha parlato splendidamente Fernand Braudel:
«A partire dall’era primaria, milioni e milioni di anni fa, a una distanza cronologica che sfida l’immaginazione, un largo anello marino (la Teti dei geologi) si estende dalle Antille al Pacifico e taglia in due, nel senso dei paralleli, quella che sarà, assai più tardi, la massa del Mondo Antico. Il Mediterraneo attuale è la massa residua delle acque della Teti, che risale quasi alle origini del globo.
E’ a spese di questo Mediterraneo molto antico, assai più esteso di quello attuale, che si sono formati i corrugamenti violenti e ripetuti dell’era terziaria. Tutte queste montagne dalla Cordigliera Betica al Rif, all’Atlante, alle Alpi, agli Appennini, ai Balcani, al Tauro, al Caucaso, sono uscite dall’antico mare. Hanno eroso il suo spazio, hanno utilizzato a loro vantaggio i sedimenti depositati nell’immenso incavo del mare, le sue sabbie, argille, arenarie, i suoi calcari spesso prodigiosamente spessi e anche le sue rocce profonde, primitive. Le montagne che racchiudono, soffocano, barricano, suddividono il lungo litorale marino, sono la carne e le ossa della Teti ancestrale. (…) Lo spazio mediterraneo è divorato dalle montagne. Eccole giungere fino ai litorali, abusive, ammassate le une contro le altre, ossatura e fondale inevitabile di ogni paesaggio».2


Tomba dei Giganti ad Arzachena

Oltre che orizzonte geografico e visivo del Mediterraneo le montagne, con le loro rocce, costituiranno risorse preziose, offriranno materie adeguate alle prime manifestazioni del monumentalismo architettonico quale può considerarsi il megalitismo primitivo legato alle potenzialità di lavorazione offerte dagli avanzamenti della metallurgia del rame e del bronzo. L’intera area mediterranea sarà coinvolta da questo fenomeno proteso a segnare il paesaggio antropizzato attraverso grandi monoliti – i menhir sottoforma di pietre erette verticalmente, i dolmen muri paralleli coperti con lastre orizzontali – rintracciabili anche nei territori posti in prossimità dei mari del nord (i cromlech bretoni, o gli allineamenti e i circoli di menhir di cui Stonehenge, presso Salisbury in Inghilterra, rappresenta il più impressionante complesso). Ulteriori testimonianze di questa cultura primitiva all’uso rappresentativo e simbolico della pietra sono le tombe collettive a camera, coperte nei casi più scenografici da false cupole realizzate con elementi litici aggettanti gli uni sugli altri fino al culmine della costruzione.
Vi è, da tempo, intorno a questo insieme di prime manifestazioni costruttive – valorizzative rispettivamente del legno e della pietra – un acceso e controverso dibattito che mette in campo la disputa intorno agli archetipi primi dell’architettura. L’origine della disciplina è stata, infatti, di volta in volta, vista dai teorici dell’architettura nella capanna “arborea” primitiva (la mitica “Casa di Adamo” in Paradiso) o nella caverna ctonia originatasi naturalmente nella roccia, a cui le tombe a tholos direttamente sembrano inspirarsi. Ma vi è anche chi, come Vittorio Gregotti, sulla scorta di quanto già avanzato dallo Choisy, lega prioritariamente ai menhir, ai grandi megaliti di pietra disseminati in tutto il Mediterraneo, il primato della nascita alla visione monumentale, simbolica, dell’architettura :
«Prima di trasformare un appoggio in una colonna, un tetto in timpano, prima di collocare una pietra sopra l’altra, l’uomo ha posto la pietra sul terreno per riconoscere un sito nel bel mezzo di un universo sconosciuto: al fine di tenerne conto e di modificarlo. Come ogni atto di accertamento questo richiedeva movimenti radicali e un’apparente semplicità». 3


Tomba dei Giganti ad Arzachena

I grandi megaliti già assumono e sviluppano alcuni caratteri che saranno poi sempre alla base dell’architettura muraria: il “posizionamento” solenne della pietra, il suo proporsi come materiale duro che si oppone al deperimento; la condizione del poggiare e del sostenere attraverso la solidità e la stabilità; la forma massiccia degli elementi della costruzione posti a gravitare verso terra, a “radicarsi” addirittura in essa. Siamo di fronte ad un nuovo mondo artificiale che viene alla luce attraverso l’impiego di una materia naturale.
Se nei menhir l’elevazione “discontinua” dei monoliti conduce ad artefatti, a strutture non “chiudenti”, tendenzialmente “aperte” nello spazio naturale, nei dolmen siamo di fronte all’idea di una spazialità più “inclusiva” prodotta da pareti massive composte da blocchi di pietra. Qui il sistema megalitico anticipa la tecnica matura della stereotomia (da steros, solido e tomia, taglio) la quale procede alla formazione della struttura per “masse” e per “volumi” dati in continuità materica lungo gli assi orizzontali e verticali attraverso una sommatoria di strati composti da elementi di pietra, più o meno regolari, ma sempre pesanti e “chiudenti”.
Di contro, su un diverso scenario geografico, qual’è quello rappresentato dalle aree del nord Europa ricche di foreste, si sviluppa maggiormente la concezione tettonica in cui termine deriva dalla parola greca tekton che indica il riferimento diretto al lavoro di carpenteria, di falegnameria. A tale sistema si associa – come Kenneth Frampton ha esaurientemente precisato nel volume Tettonica e architettura – il procedimento strutturale dell’intelaiatura in legno dove si associano componenti di natura leggera e lineare (derivanti dalla materia lignea dei tronchi d’albero) assemblati in modo tale da individuare una maglia strutturale aperta, disposta per “punti” sul suolo da “chiudere” successivamente con tamponamenti.
Questa oppositiva concezione costruttiva, come sarà precisato nel capitolo Colonne e pilastri, produrrà un’influenza diretta sulla stessa architettura di pietra del Mediterraneo leggibile attraverso l’evoluzione della tipologia del tempio greco dove la materia lapidea, introdotta progressivamente in sostituzione del legno, sarà sagomata, disposta e organizzata – sotto il profilo della composizione planimetrica e volumetrica – in modo tale da reinterpretare la forma dell’intelaiatura primitiva lignea degli organismi religiosi di età geometrica.

Alfonso Acocella

Note:
*) Il saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.
1 Kenneth Frampton, “Riflessioni sullo scopo della tettonica” p.26, in Tettonica e architettura, Milano, Skira, 1999 (ed. or. Studies in Tectonic Culture, 1993), pp. 447.
2 Fernand Braudel, “Vedere il mare” p.19, in Memorie del Mediterraneo, Milano, Bompiani, 1999 (ed.or. Les Mémoires de la Méditerranée, 1988), pp.427.
3 Vittorio Gregotti, “Discorso al New York Architectural League” (1982). La citazione è a p. 27 di Kenneth Frampton, Tettonica e architettura, Milano, Skira, 1999 (ed. or. Studies in Tectonic Culture, 1993), pp. 447.

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