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17 Aprile 2012

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Luce e Materia
La mostra

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Un affascinante gioco
di specchi e di trasparenze
per esplorare il rapporto
tra luce e materia litica

La lavorazione del marmo e delle pietre è sempre stata condizionata dalla luce, il lapicida lavorava la superficie a volte in modo liscio, a volte rigato, scanalato, con lo scopo di ottenere precisi effetti di luce e di ombra.
Ho progettato questa mostra “Luce e Materia” con lo scopo di evidenziare alcune caratteristiche ottiche di due particolari marmi, estremamente diversi tra loro, direi antitetici: il Nero del Belgio di La Merbes Esprimont e il marmo chiaro di Vigaria della Solubema.
Il primo viene estratto in territorio belga da una antica miniera sotterranea, il secondo è di provenienza portoghese da un sito a cielo aperto.
Il percorso della mostra si snoda attraverso una sequenza di stanze in cui sono disposte le opere marmoree progettate e realizzate per far risaltare due aspetti specifici di questi materiali: la riflessione e la traslucenza.
Le opere sono state progettate con l’ausilio di computer e realizzate con macchinari a controllo numerico e, dove necessario, con un intervento manuale di lucidatura.
La riflessione è quel fenomeno per cui un raggio luminoso che urta su una superficie liscia viene proiettato indietro secondo determinate leggi, restituendo così l’immagine di ciò che gli sta davanti. Il Nero del Belgio è un marmo compatto, vitreo, nero e una volta lucidata la superficie è assai specchiante. Gli oggetti in mostra in Nero del Belgio esplorano la tematica dello specchio giocando con le riflessioni frammentate, le distorsioni, le anamorfosi, citando qualche storico esempio. Nello specchio la luce viene respinta, al contrario, il nero la assorbe, la luce e questi oggetti specchianti sono permeati di questa ambigua dualità arricchita ulteriormente dalla dualità della realtà e il suo doppio.

La traslucenza è la capacità che ha un corpo di farsi attraversare dalla luce diffondendola. Il marmo di Vigaria è particolarmente traslucente, in tal modo la luce penetrandolo ne svela le profonde trame metamorfiche, velate di rosa, grigi freddi bianchi opalescenti o addirittura strisciate di verde malachite.
Questa sua proprietà, che aumenta al diminuire dello spessore, è stata lo spunto per creare degli oggetti litici luminosi, lastre scavate, assottigliate in funzione di creare una figura, una texture geometrica o l’effetto di un’ombra proiettata sul retro o in altri casi lampade illuminanti.
La lavorazione, che è un’operazione di asportazione di materia, non ha seguito i canoni scultorei tradizionali chiaroscurali della luce naturale che proviene dal cielo. Lo scultore infatti ben sa che la pupilla nera dell’occhio si ottiene non con il colore ma altresì scavando un buco, producendo cioè ombra. Nel nostro caso, l’asportazione della materia è avvenuta seguendo un criterio diverso, direi contrario, negativo in senso fotografico, cioè più profonda è la cavità più questa è luminosa.
Se ci riflettiamo per un attimo, comprendiamo che questa materia è venuta alla luce dal sottosuolo dopo un lunghissimo tempo di attesa, durante il quale si è formata e consolidata, impiegando un tempo pressoché infinito, fino a che qualcuno, in un istante qualsiasi, l’ha tolta dal ventre terreno per lavorarla ed ammirarla.
Di colore nero, come se si fosse impregnata dell’oscurità della terra profonda, oppure bianca e cristallina, pronta per emergere al sole come un fiore che sboccia, questa materia, una volta lavorata, assottigliata o lucidata, assume caratteri diversi: si trasforma. Durante questo processo metamorfico si rivela sorprendente ed affascinante.
Questa straordinaria esperienza, condotta nel tentativo di manifestare le caratteristiche ottiche dei due materiali, ha rivelato nuovi e stimolanti aspetti a me sconosciuti, ciò a dimostrazione delle enormi potenzialità espressive del marmo: materia antica ancora da scoprire.

Ingresso
All’ingresso addossato ad una parete verde si trova un grande specchio in marmo Nero del Belgio a calotta sferica contornato da una serie di altri piccoli specchi incavati disposti a raggera. E’ una citazione di uno specchio ritratto nel celebre dipinto di Jan Van Eyck, Ritratto dei coniugi Arnolfini, in cui il pittore ritrae lo specchio, l’immagine riflessa dei soggetti e simultaneamente l’immagine di se stesso. Gli specchi disposti intorno alla calotta sferica sono bombati ad incavo, le immagini multiple che essi producono sono molteplici e capovolte.

Sala degli specchi
Questa sala rossa raggruppa otto specchi in marmo Nero del Belgio. Il primo è un grande disco circolare dalla superficie deformata, si tratta infatti di uno specchio deformante, la cui superficie distorce l’immagine riflessa con sorpresa e divertimento dello spettatore.
Altri quattro specchi circolari seguono questa tematica, le superfici ondulate e diverse di ciascuno deformano, o comprimendo o capovolgendo l’immagine riflessa.

Nella terza parete altri due grandi specchi allungati deformanti giocano con l’intera figura del visitatore. Nella quarta parete un lungo specchio rettangolare piano costellato di calotte sferiche in rilievo e in incavo specchiano l’ambiente circostante moltiplicandolo e capovolgendolo.

Sala dell’anamorfosi
Una grande sala nera completamente rivestita di marmo Nero del Belgio, a pavimento una figura distorta e poco comprensibile intarsiata di marmo di Vigaria.
Al centro un maestoso cilindro di marmo nero lucido al disopra del quale vi è posto un vaso dalle forme classiche, culminante con una coppa a calotta sferica. All’interno un ricco mazzo di rose vere.
Il visitatore si rispecchia a terra sul pavimento nero lucido e sul cilindro al centro deformandosi vistosamente sulla superficie curva dove contemporaneamente appare, chiara e distinta, l’immagine dell’intarsio a pavimento. Si tratta di un grande disegno anamorfico che secondo precise regole ottiche si deforma per restituirsi nella visione corretta su una superficie curva.
Alle pareti il gioco continua, le immagini multiple si frammentano in una miriade di quadrotti in marmo nero lucido inclinati in varie direzioni un gioco di specchi disorientante e moltiplicato all’infinito.

Passaggio luminoso
Un passaggio leggermente prospettico ci conduce verso la stanza successiva.
Ai due lati, lastre di marmo Vigaria lucide retroilluminate, dalle quali si colgono figure in movimento. Sulla parete destra si scorgono una molteplicità di figure umane o più precisamente le loro ombre come se dalla parte opposta la lastra illuminata da un sole al tramonto ne svelasse la presenza. Nell’altra parete un’ombra di fronde di alberi in movimento si sovrappone alla dorata materia marmorea di Vigaria. Le lastre fungono da vetrate e lasciano trasparire una luce dorata mentre il marmo si mostra con tutte le sue venature sedimentarie portate alla luce.

Sala delle lampade
La sala celeste si presenta costellata di lampade dalla luce dorata, sospese a diverse altezze che s’accendono e si spengono con ritmi alternati pulsanti. Le lampade sono costituite da un paralume in marmo massello di Vigaria, lavorato con scalfitture ritmate e là dove si assottiglia il materiale traspare maggiormente la luce. Gli oggetti luminosi sono formalmente uguali uno all’altro ma contemporaneamente unici perché unico è il disegno che il marmo porta su di sé, mai uguale a se stesso.

Sala delle lastre illuminate
Il grande salone dispone tre grandi lastre di quattro metriquadrati e di spessore consistente, scavate ed illuminate. Si apre con una prima grande lastra verticale.
La lastra è lavorata su un un lato: un bassorilievo ricco di solchi e protuberanze, la superficie è satinata e di color biancorosata. Girandoci attorno si scorge l’altro lato. Da qui la lastra è retroilluminata e ci appare la venatura ambrata del marmo, osservando più attentamente su un secondo livello di lettura si scorge un’immagine di tendaggio ondulato come se fosse incluso nel marmo stesso. Su questa tenda, su un terzo livello di lettura si scorge un’ulteriore figura, un’ombra di fronde d’albero che si proiettano sul tessuto. Ritornando sul retro il bassorilievo informe visto inizialmente prende senso, ogni rilievo è un’ombra, ogni incavo una luce.

La seconda lastra è posizionata al centro del salone. E’ lavorata da entrambi i lati. La luce colpisce intensamente la superficie fresata, anche in questo caso il bassorilievo è di difficile comprensione, andamenti piani seguono rilievi più accentuati. La luce si dissolve, si accende dall’altro lato, ora la lastra è retroilluminata e ci appare come per magia un’immagine fotografica. Il capo e il volto di un bimbo, un’immagine fetale scritta dentro la materia, contenuta all’interno di questa membrana primordiale dalle sembianze di un tessuto vascolarizzato. Il marmo si fa corpo.

La terza lastra si presenta con una superficie liscia e piana, illuminata omogeneamente. La luce si dissolve e appaiono dei punti luminosi via via più intensi, ne compaiono altri, è uno sciame di luci dalla forma quadra, qua e là più grandi o più piccole, più intense o più fioche. Forse le luci di una città velata.
Sul retro, la superficie lavorata è cosparsa di incavi quadri differenti per dimensione e profondità.

Raffaello Galiotto

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