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22 Aprile 2014

Distretti lapidei

Territori di pietra

Si è appena conclusa la prima fase del workshop Territori di Pietra che in settembre porterà alla fiera Marmomacc di Verona sei studenti selezionati all’interno del laboratorio di progettazione del secondo anno del corso di Design del Prodotto Industriale, tenuto dai professori Vincenzo Pavan e Raffaello Galiotto. Gli esiti progettuali di questo workshop, svoltosi tra l’8 e il 12 aprile tra i comuni di Lesina, Apricena e Poggio Imperiale (FG), e che ha riguardato anche gli studenti di altre 9 università italiane aderenti a Stone Academy, verranno ripresi ed ampliati in seno alle singole università nel corso dei prossimi mesi.

Non potendo qui trovare spazio il doveroso elenco degli enti promotori, delle aziende partner e soprattutto delle persone che con il loro lavoro hanno reso possibile l’organizzazione di questa importante esperienza di formazione e di progetto, si rimanda alle prime due immagini dell’articolo, lasciando qui scritto, come in una nota, che il ringraziamento di chi ha rappresentato l’università di Ferrara durante questa prima fase di lavori, va a ciascuna delle persone il cui nome compare nel manifesto e nel programma.


Clicca sulle immagini per ingrandire

La non ordinarietà di questa esperienza è da ascriversi in prima istanza alla natura di questi luoghi, i quali fanno parte di un comparto marmifero (ove marmo è da intendersi in senso commerciale e non geologico *ndr) unico per la sua diffusione e secondo in Italia per volumi estratti solo al comparto di Carrara.


L’intero comparto marmifero di Apricena così come appare da Google Earth


Cava di proprietà di Passalacqua Marmi. Sono visibili infiltrazioni rosse di marna e banchi orizzontali di pietra di Apricena, un calcare compatto e impermeabile all’acqua. Questa impermeabilità comporta il ristagno delle acque piovane di cui talvolta si rende necessario il pompaggio.


Una delle cave più estese, di proprietà del gruppo Franco Dell’Erba (quella che ha dato il marmo per il santuario di San Pio progettata da Renzo Piano).


Il paesaggio di cava: un ravaneto a ridosso della grande cava del gruppo Dell’Erba.


Piccoli blocchi in attesa di essere ridotti in lastre presso uno dei laboratori vicini ai siti di estrazione (foto di Antonio Stante).


Macchinari per la segagione della pietra di Apricena (foto di Antonio Stante).


Filo diamantato per il taglio della pietra (foto di Antonio Stante).


I celebri archi strutturali in bronzetto di Apricena progettati da Renzo Piano per il santuario di San Pio a San Giovanni Rotondo, (visitato durante il secondo giorno di workshop).

Sotto la guida del docente organizzatore prof. Domenico Potenza, originario di questi luoghi, i docenti, gli studenti ed i tutor che hanno preso parte al workshop sono divenuti testimoni di una attività estrattiva con oltre un secolo di vita la quale ha interessato fino ad ora una superficie di oltre 14 km quadrati. Le foto documentano la presenza di cave abbandonate negli anni 60 (quando le gru Derrick non consentivano di approfondire gli scavi oltre i 30 metri) di numerose cave attive che solcano la crosta terrestre anche per un centinaio di metri in verticale, di frantoi per la riduzione degli inerti che vengono poi impiegati nella costruzione di sottofondi stradali e di enormi ammassi di blocchi di scarto e frammenti di roccia di ogni dimensione che prendono il nome di Ravaneti.


I ravaneti, visibili anche dall’autostrada Adriatica, per quanto mutevoli e provvisori per loro stessa natura, costituiscono quasi in un paradosso, uno degli elementi fondanti di questo paesaggio.


Frantoi

La ragione per cui sono stati concentrati in questo luogo tanti docenti e ricercatori, assieme agli studenti di 10 università italiane, è quella del superamento di una concezione ormai anacronistica della gestione del territorio: il quadro normativo di riferimento è infatti fermo al regio decreto 1443 del 1927 che per i comparti estrattivi (la nomenclatura fa in verità uso del termine “miniere” *ndr) prevede un ripristino, dal punto di vista del paesaggio, delle condizioni precedenti all’avvio delle attività di cavatura, principale motivo per cui gli scarti vengono ammassati per decine di anni a ridosso delle cave in attesa di rinterro. Terre e rocce da scavo sono tra l’altro ancora classificate come rifiuti, mentre la loro natura, o non foss’altro la loro commerciabilità, mostrano come siano da considerarsi al più un sottoprodotto dell’attività estrattiva.
Numerosi altri elementi concorrono a dimostrare la debolezza di questa antica concezione di ripristino del paesaggio: ad esempio il fatto che cave “esauritesi” negli anni ’60 divengano oggi nuovamente utilizzabili grazie alle nuove tecnologie, ma anche la vastità stessa del territorio interessato dalle trasformazioni e l’amplissimo arco di tempo all’interno del quale esse stanno avvenendo (non è ad oggi possibile effettuare alcuna previsione giacché il materiale lapideo nel sottosuolo abbonda e i ritmi dell’estrazione sono regolati dal mercato).


Cava abbandonata negli anni ’60 e parzialmente ricoperta (zona Tre Fossi).

La mira di chi opera per la salvaguardia del territorio, ma anche nell’interesse delle aziende di questo comparto, che costituiscono colonna portante dell’economia locale, è quella di progettare l’attività estrattiva come un ciclo di vita culminante non con una sorta di rattoppo paesaggistico deciso a priori, decine di anni a monte della cessazione delle operazioni di estrazione in un dato luogo, ma con progetti di scala territoriale e architettonica che possano crescere e vivere in queste aree alimentando il comparto stesso.
Alessandro Reina, docente presso il politecnico di Bari ha presentato un nuovo strumento urbanistico ancora in fase di elaborazione del quale è uno dei principali redattori: il PRAE.
Tramite il PRAE (piano regolatore delle attività estrattive) verrà regolamentata l’attività di estrazione e resa possibile la realizzazione di un sistema di progetti, quali quelli che sono stati chiamati a delineare gli studenti delle 10 facoltà ospitati ad Apricena.
Il professor Reina, il quale auspica che tramite questo strumento possa essere messo in atto un cambio di paradigma da “riqualificazione del territorio” a “riciclaggio del territorio”, ha indicato come linea guida di questo pensiero il motto Recycle Reuse Reduce.
Questa è dunque la materia sulla quale gli studenti sono stati chiamati a produrre le loro considerazioni, perseguendo l’elaborazione di strategie per ridurre il consumo delle risorse, per il riutilizzo e il recupero dei bacini e a sostegno di un ciclo economico che possa prevedere svariate possibilità di evoluzione, ma che non possa in alcun modo significare un mero e miope consumo di risorse.
Sperando di riuscire a suscitare l’opportuna curiosità nei confronti di questi progetti, che per quanto frutto delle riflessioni maturate nell’arco di pochi giorni hanno beneficiato di numerose e illustrissime revisioni, ci si astiene dalla pubblicazione dell’ottimo materiale prodotto ad Apricena invitando i lettori a visionarlo tra qualche mese, quando sarà stato affinato ed implementato, in occasione di Marmomacc (24/27 settembre 2014).
A risarcimento simbolico di questa voluta omissione, un’ultima galleria fotografica che documenta, al di là degli aspetti paesaggistici e geologici fin qui illustrati, l’aspetto umano, di condivisione e partecipazione che ha caratterizzato le intense giornate di lavoro tra Lesina, Apricena e Poggio Imperiale.


Il professor Potenza introduce la presentazione della tesi di laurea degli architetti Nicola Violano ed Erika Pisa.


Fasi di lavoro all’interno di Casa Matteo Salvatore (Apricena), che ha ospitato gran parte delle attività diurne.


Momenti di revisione con l’architetto Fernando Baldassarre, autore di una lezione durante il workshop.


Revisione dei progetti con il professor Vincenzo Pavan.


La mattinata dell’ultima giornata di workshop è stata dedicata alla presentazione delle analisi e dei progetti elaborati ad Apricena.


Foto di gruppo scattata presso la cantina vinicola Passalacqua che ha ospitato docenti e studenti in occasione della lezione dell’architetto Carlo Pozzi.

Per un approfondimento si rimanda all’articolo del professor Vincenzo Paolo Bagnato su fupress.

di Gianluca Gimini

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