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29 Settembre 2007

News

Dieci edizioni del “INTERNATIONAL AWARD ARCHITECTURE IN STONE”
42° Marmomacc, Verona 4/7 ottobre 2007

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Un materiale come sismografo dell’architettura
Quando venti anni fa fu istituito da Marmomacc un premio per l’architettura di pietra era consuetudine attribuire riconoscimenti alle costruzioni che si distinguevano per la quantità di materiali lapidei impiegati nella loro realizzazione, puntando a dar valore a chi aveva scelto semplicemente la pietra come materiale da inserire nella propria opera. In tal modo si pensava di assolvere efficacemente ad uno scopo commerciale contribuendo anche alla diffusione e alla cultura del materiale.
La sua associazione con l’architettura storicista di quegli anni, nella semplificata versione postmodernista, aveva invece ancor più allontanato la possibilità di pensare in modo nuovo all’uso di questo materiale come “parlante” un proprio linguaggio, in un certo senso autonomo.
La differenza di questo nuovo evento “promozionale” rispetto alla precedente impostazione risiede invece nella convinzione che l’uso dei materiali lapidei debba essere rigorosamente legato all’architettura di qualità, fornendo per questa via un approccio diverso alla pietra, fondato sulla qualità del suo impiego più che sulla quantità.
Si tratta in sostanza di mettere in luce ed evidenziare opere nelle quali la pietra diviene un elemento identitario dell’architettura capace di conferire a tutta la costruzione un carattere proprio e distintivo.
Operando questa inversione di linea si è resa necessaria un’indagine e una selezione a cadenza frequente, biennale, ad opera di una giuria, anch’essa di qualità.
A partire dal 1987 sono stati riuniti a scegliere le opere i migliori storici e critici internazionali tra i quali Kenneth Frampton, Francesco Dal Co, Werner Oechslin, Vittorio Magnago Lampugnani, Ignasi de Solá-Morales, Christian Norberg-Schulz, Fulvio Irace.
Si è così costituito un osservatorio criticamente attrezzato che nel corso di due decenni ha operato una ricerca della migliore produzione architettonica ove fossero impiegati materiali lapidei secondo un percorso trasversale che ha saputo declinare i diversi linguaggi comparsi sulla scena internazionale.
Dai convenzionali e immateriali piani delle superfici “ventilate” degli anni ottanta alla massiva matericità delle pietre a spacco, miranti a conferire gravità alla massa muraria, fino all’uso di grandi blocchi lapidei composti in arcaico ordine trilitico, una serie infinita e straordinariamente innovativa di invenzioni linguistiche ha radicalmente mutato il panorama dell’architettura di pietra.
Le esperienze dell’ultimo decennio in particolare hanno aperto nuovi percorsi che sempre più frequentemente entrano in sintonia con le più avanzate ricerche della mutevole scena contemporanea.
Usare la pietra in modo nuovo è divenuta una prassi costante che ha coinvolto anche i grandi maestri dell’architettura contemporanea da Rafael Moneo ad Arata Isozaki, da Hans Hollein a Kengo Kuma, ma anche molti giovani architetti che uniscono la pietra ai nuovi materiali nella loro ricerca formale.

Opere premiate alla 10a Edizione del Premio Internazionale Architetture di Pietra 2007

PAOLO DAVID
Piscinas do Atlantico, Madeira, Portogallo, 2005

Motivazione della Giuria: “L’intervento di David che utilizza la pietra lavica, materiale costruttivo tradizionale dell’isola di Madeira, stabilisce un intimo legame con l’intenso paesaggio atlantico in continuità e accordo con la sua precedente opera, la Casa das Mudas, anch’essa costruita con la stessa pietra.
L’architettura, una grande “stanza” lapidea a cielo aperto che si affaccia sull’oceano, si lega alla morfologia del luogo rimodellandola e connettendola attraverso nuovi percorsi, agli spazi urbani e al paesaggio dell’isola.”

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Veduta parziale della Piscinas do Atlantico (© FG+SG – Fotografia de Arquitectura)

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Il progetto si sviluppa su un’area in parte occupata da una piccola industria di conservazione di prodotti ittici e in parte utilizzata per la produzione del sale.
Un possente muro in pietra lavica delimita il perimetro delle Saline e crea continuità al circuito dei sentieri che costeggia il mare (Camino de Trincheira), contestualizzando fortemente il sito.
Una piattaforma in calcestruzzo con una precisa geometria si rapporta con il mare, opponendosi ed evidenziando le irregolarità della costa. Alla quota più alta, il fabbricato del ristorante fa da contrappunto all’orizzontalità dello spesso muro.
Le vedute panoramiche che si ottengono attraverso strette feritoie, permettono di far entrare una parte di mare nella “grande stanza” a cielo aperto, creando un’intensa relazione tra l’interno e l’esterno e amplificando la visione dell’Atlantico.
Materiali lapidei utilizzati: pietra basaltica

JAN OLAV JENSEN & BØRRE SKODVIN
Mariakloster, Monastero Cistercense, Isola di Tautra, Ttondheimsfjord , 2006

Motivazione della Giuria: “Il progetto degli architetti Jensen e Skodvin è riuscito a dare forma ad un monastero in modo convincente, un’opera contemporanea e senza tempo, attraverso l’utilizzo di forme semplici e materiali ugualmente elementari che si sono integrati in modo “moderno” alla tradizione fondata sulla regola di S. Bernardo. Il risultato è un’architettura limpida e universale, fuori dalle mode che riporta attuali temi che sembravano abbandonati e che interpreta quello che oggi significa la semplicità e la povertà come valori spirituali e non come mode.”

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Fronte del Monastero cistercense (© Studio Jensen & Skodvin)

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Il progetto ha origine nel 1997, con la scelta di nove suore di trasferirsi nell’isola di Tautra, antica sede cistercense, per fondare un monastero femminile. L’architettura che vediamo oggi è il risultato di un commovente e talvolta difficile dialogo tra gli architetti Jensen e Skodvin e le necessità materiali e spirituali dell’ordine. La difficoltà principale era quella di realizzare un’opera capace di accordare le caratteristiche di spoglia semplicità e della rinuncia consapevole delle decorazioni, tipiche dell’architettura cistercense, con le esigenze dell’architettura contemporanea; da ciò dipendono le scelte di impiegare il legno per gli interni e la maggior parte degli ambienti del monastero, lasciando alla chiesa il ruolo di cardine dell’intero complesso attraverso l’utilizzo del rivestimento in ardesia norvegese. La policromia delle lastre lapidee, composte in una sorta di patchwork che allude alla variazione dei blocchi di pietra nella massa muraria dell’ antica costruzione tettonica, richiama, in chiave assolutamente contemporanea, le grandi chiese in pietra dell’ordine cistercense. Il materiale lapideo locale e il legno rafforzano anche il profondo legame tra architettura e paesaggio, tra Uomo e Natura, sottolineato dall’utilizzo della vetrata absidale come punto di vista verso l’esterno, su cui si staglia l’altare in pietra nera.
Materiali lapidei utilizzati: ardesia norvegese

RAFAEL MONEO
Ampliamento del Banco de España, Madrid, Spagna, 2006
Motivazione della Giuria: “L’opera di Moneo risulta provocatoriamente “mimetica” rispetto ad un contesto internazionale teso verso una esasperata autoreferenzialità degli architetti; questa infatti si inserisce con modestia nel tessuto urbano di Madrid, completando il corpo ottocentesco dell’edificio, senza soffocarlo ma subordinandosi ad esso interpretandone le partiture compositive e costruttive, entro le quali si è dispiegato l’uso della pietra modellata nella facciata.”

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Ampliamento del Banco de España. Spaccato. (© Studio Moneo)

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Il progetto nasce da un concorso indetto nel 1978 dal Banco de España, per l’ampliamento della sede principale di Madrid, che non venne realizzato perchè il progetto allora vincitore venne considerato troppo radicale, in quanto prevedeva la demolizione dell’edificio preesistente. Dopo venticinque anni il progetto è stato riconsiderato in base ad un programma più articolato, che prevedeva la costruzione di 4736 mq su quattro piani, e ad un più sensibile inserimento urbano. Il punto di partenza è diventato l’edificio del XIX secolo, letto attraverso lo studio dell’evoluzione temporale dei meccanismi compositivi usati dai precedenti architetti, di cui il progetto vuole essere l’ultima fase. Da queste intenzioni nascono le principali scelte progettuali e costruttive, tra cui la realizzazione del nuovo angolo a partire dalla griglia compositiva dell’edificio ottocentesco, nel quale sono stati abilmente inseriti elementi di scultura contemporanei, e la scelta di impiegare lo stesso materiale usato nell’edificio originale. In questo caso il granito posto in opera con grandi elementi in massello sostenuti con l’ausilio di ancoraggi metallici che riprendono l’antica carpenteria al posto di moderni profilati estrusi.
Materiali lapidei utilizzati: Calcare Alconera, Marmo di Carrara, Granito di Alpedrete, Arenaria Bateig

ANTONIO JIMÉNEZ TORRECILLAS
Completamento della Muralla Nazarí, Granada, Spagna, 2003-2006
Motivazione della Giuria: “Un intervento minimo e minimalista per chiudere una breccia di quaranta metri aperta alla fine dell’Ottocento sulle antiche mura che collegano l’Alhambra con il quartiere Albaicin. Senza cadere nello storicismo o nel falso storico Jimènez Torrecillas utilizza frammenti di lastre di granito locale per realizzare un nuovo tratto di muraglia che nasconde al suo interno un percorso segreto reso magico dalla luce che filtra e trapassa le doppie pareti porose.”

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Veduta interna al completamento della Muralla Nazarí (© Vicente dell’Amo)

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La muraglia a gradoni, eretta nel XIV secolo, cinge il villaggio gitano di Albaicin, diviso da un profondo vallone dall’Alhambra. Un terremoto nel 1885 apriva una breccia di circa quaranta metri, trasformando il sito in una discarica a cielo aperto. La successiva incuria ha trasformato il sito in una discarica a cielo aperto.
L’architetto si è limitato a ripristinare la volumetria preesistente, introducendo però un’invenzione che ha superato l’ipotesi di una ricostruzione storicista. Dopo la bonifica e la piantumazione di agavi e fichi d’India, ha tamponato il muro con una trama serrata di grandi lastre di granito, della medesima dimensione e sezione, impilate senza un disegno apparente, ponendo tra uno strato e l’altro un manto ridotto di malta ad alta resistenza, con uno spessore scomparso a costruzione terminata.
Questa stratificazione ritaglia, tra una lastra e l’altra, parcelle di vuoto: una tessitura di roccia e ombra dove filtrano frammenti di luce che riprende i passaggi degli antichi palazzi della città.
Per chiudere la breccia sono stati utilizzati 112 metri cubi di granito, pietra che ben si armonizza con il colore del muraglione medievale in tapial, antico sistema costruttivo che utilizza muri di terra pressata.
Materiali lapidei utilizzati: Azul Extremadura; Rosa Porriño

BENIAMINO SERVINO
Rimodellamento di casa bifamiliare, Pozzovetere, Caserta, Italia, 2001-2006

Motivazione della Giuria: “L’opera di Servino è stata valutata complessivamente come espressione di una coerente azione di rinnovamento culturale che trae i propri spunti critici da una contemporaneità in grado di riflettere valori e caratteri identitari. Nel semplice edificio di Pozzovetere la tradizione si libera in una partitura architettonica che rifiutando lo storicismo sottolinea l’importanza della storia interpretata come sviluppo di una specifica cultura regionale.

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Casa bifamiliare, Pozzovetere. Particolare dell’opera muraria. (© studio Servino)

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In questo progetto Servino affronta un tema tipologico già trattato in precedenza: il rimodellamento di un edificio preesistente, ma di recente costruzione.
La casa si sviluppa come volume compatto, ma coerente con le forme rigorose dell’edilizia locale, con aperture irregolari, che creano sfalsamenti di piano nella massa muraria di tufo giallo.
Il progettista ha ridotto al minimo le soluzioni spaziali e tecnologiche per concentrare tutta la tensione sulla filigrana sottile delle facciate e sulla loro consistenza materica e linguistica. L’intensità progettuale è giocata in pochi, calibrati elementi che rimandano a scomodi interrogativi sul ruolo del disegno e della forma in architettura oggi.
Riferimenti culturali e iconografici di Servino sono i casolari abbandonati nelle campagne del casertano ed i muri sbrecciati, stratificati e carichi di memorie: segni elementari e minimi, che marcano cambiamenti invisibili. Un patrimonio di impressioni si sovrappone al lessico del Moderno: la realtà guida sottilmente l’azione progettuale, dettando pause e silenzi.
Materiali lapidei utilizzati: tufo giallo campano, marmo

NELLO APRILE, CINO CALCAPRINA, ALDO CARDELLI, MARIO FIORENTINO, GIUSEPPE PERUGINI
Mausoleo delle Fosse Ardeatine, Roma, Italia, 1944-1949

Motivazione della Giuria: “Il tema drammatico dell’eccidio nazista del 1944 nelle antiche cave di pozzolana sulla Via Ardeatine, sembrava prestarsi alla consueta retorica celebrativa dei monumenti funebri. Al contrario si è imposta nel progetto un’immagine forte, perentoria e densa di pathos. Il materiale lapideo nudo e trattato con arcaica semplicità, che avvolge i muri di cinta, i pavimenti e le gallerie della cava, si carica di una insolita forza espressiva nella associazione con la grande “pietra tombale” in cemento trattata a scalpello come un gigantesco monolito sospeso.”

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Mausoleo delle Fosse Ardeatine (© Vincenzo Pavan)

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Dopo la rappresaglia del 23 marzo 1944, in cui furono trucidati dalle truppe di occupazione naziste 335 cittadini romani, all’indomani della liberazione di Roma fu indetto un concorso per erigere un monumento a ricordo delle vittime nel luogo stesso in cui avvenne l’eccidio: le cave di pozzolana della via Ardeatina. Dai due gradi di concorso uscirono vincitori ex aequo due gruppi formati da Nello Aprile, Cino Calcaprina, Aldo Cardelli, Mario Fiorentino e da Giuseppe Perugini affiancati dagli scultori Francesco Coccia e Mirko Basaldella. Ai due gruppi fu assegnato l’incarico di un progetto comune che prevedeva la costruzione di un sacrario, la sistemazione del piazzale e il consolidamento delle gallerie fatte esplodere dai nazisti dopo l’eccidio. Il risultato fu una soluzione antiretorica che prefigurava un concetto di “moderno monumento” retto da una forte concezione e da un uso arcaico dei materiali lapidei.
La pietra locale, tufo e pietra sperone per gli esterni e il consolidamento delle gallerie, trattata con estrema semplicità si carica di una insolita forza espressiva.
La grande “pietra tombale” sospesa sul cimitero di bare di granito è in cemento armato e disegna intorno al perimetro rettangolare un’asola di luce che filtrando radente rende la superficie del parallelepipedo, trattata a punta di scalpello, simile a un unico corpo lapideo.
Materiali lapidei utilizzati: tufo romano, pietra sperone, pozzolana, granito

ARCHITETTURA DELLA LESSINIA
Vari comuni della zona montuosa settentrionale della Provincia di Verona
Motivazione della Giuria: “Eccezionale opera collettiva, prodotta da una secolare cultura del buon costruire, l’architettura popolare della Lessinia rappresenta un caso unico e straordinario di uso totale della pietra locale in un ampio territorio.”

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Nucleo rurale della Lessinia (© Vincenzo Pavan)

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L’architettura contadina e il paesaggio antropizzato dei Lessini, ampio territorio montuoso a nord di Verona, è frutto del sapiente e creativo impiego di un materiale litico locale, la Pietra di Prun o Pietra della Lessinia, caratterizzato da una particolarissima struttura geologica.
Si tratta infatti di un calcare sedimentario (nelle due versioni “scaglia rosso veneta” e “rosso ammonitico”) lastreolare, formato dalla sovrapposizione di strati di roccia sottili facilmente separabili e ritagliabili in lastre di grandi dimensioni disponibili a molteplici usi. Con questa pietra,”naturalmente” tagliata, anonimi scalpellini e umili muratori hanno disegnato l’architettura e il paesaggio di vaste aree del territorio montuoso veronese, utilizzandola, sotto forma di lastre e di conci, in tutti gli aspetti delle costruzioni agricole e residenziali, dalle murature ai tetti, alle pavimentazioni, alle scale, alle cornici di porte e finestre. Per l’ampio uso fatto sul territorio, dalle palificazioni dei vigneti ai muri divisori delle proprietà, questo materiale ha dato luogo a una gigantesca opera collettiva di Land Art che non ha uguali nelle aree montuose europee.

MODESTO PIAGGI (1843 – 1928) contadino costruttore
Stalla e ghiacciaia del Modesto a Roverè Veronese, Verona, Italia

All’interno della vasta produzione vernacolare della Lessinia particolare riconoscimento è stato assegnato ad una singolare costruzione:
Si tratta di un piccolo edificio rurale con annessa ghiacciaia, costruito tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, di cui ci è dato conoscere il nome dell'”architetto”, il contadino Modesto Paggi (1843-1928). La stalla, innalzata con la sovrapposizione di enormi lastre di pietra posate “a coltello”, sfrutta l’idea della costruzione lignea per legare tra di loro i monoliti lapidei. L’integrazione con il percorso e il paesaggio circostante rende questa costruzione un’opera architettonica poetica e memorabile.
Materiali lapidei utilizzati: lastrame in pietra della Lessinia e in rosso ammonitico.

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Stalla e ghiacciaia di Modesto Piaggi in Lessinia (© Vincenzo Pavan)

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