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22 Gennaio 2010

Opere di Architettura

La pietra “pretagliata” e la ricostruzione in Francia dopo la Seconda Guerra Mondiale

La figura dell’architetto francese Fernand Pouillon è ormai conosciuta e studiata, come dimostrato anche dal contributo di Vincenzo Pavan “Costruzione e materiali nell’opera di Fernand Pouillon”. Meno nota, perlomeno in Italia, è invece la situazione generale che permise allo stesso Pouillon, ma anche ad altri architetti, di utilizzare la pietra naturale durante la ricostruzione in Francia nel secondo dopoguerra. Si cercherà di riassumere, qui di seguito, alcuni dei tratti salienti di questo fenomeno industriale e architettonico, durato circa un ventennio, al fine di evidenziare come il passaggio all’industrializzazione nello sfruttamento delle pietre naturali fu reso possibile grazie ad un approccio scientifico all’intero settore (estrazione, trasformazione, messa in opera e progettazione) da parte di architetti, ingegneri e imprenditori.
Il caso francese è significativo perché la pietra naturale fu utilizzata quasi esclusivamente per la realizzazione di strutture portanti di edifici di abitazione, a dimostrazione della competitività, anche sul piano economico, di questa soluzione costruttiva. Inoltre, è necessario segnalare l’ottimo stato di conservazione di questi edifici in confronto ad altri, loro contemporanei, realizzati con materiali diversi.

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Copertina delle pubblicazioni del CSTB e della rivista Bâtir dedicate alla pietra pretagliata [Germain, J. éd. 1950 e Bâtir, n.17, novembre 1951]

La ricostruzione in Francia
Dopo la Liberazione (la città di Parigi fu liberata il 25 agosto 1944), la ricostruzione in Francia, come in molti altri paesi, fu una necessità: 420’000 edifici d’abitazione erano stati distrutti e 1’900’000 danneggiati [Lucan, J. 2001:36]. Il 16 novembre 1944 fu fondato un nuovo organo di Stato per garantire l’organizzazione generale della ricostruzione: il Ministero della Ricostruzione e dell’Urbanistica (MRU) [Lucan, J. 2001:36]. I grandi progetti per quartieri di alloggi collettivi iniziarono negli anni Cinquanta, a seguito di una prima fase della ricostruzione realizzata nell’urgenza.
La pietra naturale aveva riscosso un discreto successo sin dalla prima ricostruzione, iniziata dopo l’invasione tedesca del 1940, soprattutto grazie agli architetti che promuovevano un ritorno ad un’architettura di carattere “francese” [Lucan, J. 2001:26]. Fu però durante i primi due decenni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale che il settore lapideo francese si trasformò in vera e propria industria e che la pietra naturale si affermò come uno dei principali materiali per la costruzione di edifici. Una delle cause principali di quest’affermazione fu la quantità ridotta d’energia necessaria per l’estrazione e la lavorazione della pietra naturale, una risorsa facilmente reperibile sul suolo nazionale, a differenza di materiali come l’acciaio e il cemento, necessari per la realizzazione del calcestruzzo armato.

Un precedente storico. La costruzione in pietra a Parigi all’epoca di Hausmann
La tradizione francese nella costruzione in pietra è sicuramente una condizione imprescindibile per lo sviluppo industriale del periodo studiato: sarà qui evocato il caso della costruzione a Parigi all’epoca di Hausmann. In effetti, già in questo periodo, per far fronte alla grande quantità di edifici da realizzare, non vi fu una rivoluzione nelle tecniche e nei materiali, ma piuttosto un’evoluzione “industriale” nei processi di produzione e messa in opera, come evidenziato dagli studi di François Loyer sugli edifici parigini del XIX secolo [Loyer, F. 1987]. La pietra naturale restava il materiale edilizio per eccellenza, utilizzata in forma di conci squadrati su tutte le facce e apparecchiati secondo il modello dell’opera quadrata isodoma. I conci, prodotti per segagione, erano trasportati a Parigi grazie ai nuovi mezzi di trasporto (chiatte e treni) e messi in opera tramite nuovi tipi di gru. La facilità di trasporto permetteva l’approvvigionamento in pietre naturali di diverso tipo e così la costruzione della struttura degli edifici fu articolata, soprattutto attraverso l’impiego di pietre “dure” per gli zoccoli [Loyer, F. 1987:162] e della “pierre meulière” che, legata con malte idrauliche, permetteva di realizzare le fondamenta e i muri divisori [Loyer, F. 1987:162]. Le pietre “dure” erano dei calcari compatti che permettevano di innalzare dei muri di grande altezza riducendone lo spessore e aumentando così la superficie utile delle abitazioni: un’economia di materiale e di superficie, come evidenziato anche da Charles Garnier, architetto dell’Opera di Parigi [Garnier, C. 1985:110].
Parallelamente si assistette ad un aumento delle dimensioni dei conci: alla fine del XIX secolo erano d’uso corrente elementi di lunghezza dai 2 ai 3 metri per un metro d’altezza [Loyer, F. 1987:164] e 50 centimetri di spessore1. La sbozzatura dei conci era eseguita direttamente in cava o nei laboratori di trasformazione e spesso si ricorreva alla prefabbricazione di elementi normalizzati per i fregi e le modanature, riducendo così le fasi di scultura in cantiere [Loyer, F. 1987:164].
Questo periodo può quindi essere considerato come il punto di partenza per lo sviluppo industriale del settore della pietra naturale francese, durato circa un secolo.

La basi per uno sviluppo industriale. Muratura e prefabbricazione
Come scritto da Yvan Delemontey [Delemontey, Y. 2007], la rinascita dell’utilizzo della pietra naturale come materiale edile iniziò in Francia prima della fine della guerra grazie al nuovo interesse portato da alcuni architetti verso la muratura. Una tecnica costruttiva che aveva perso d’attrattiva dopo la Prima Guerra Mondiale a causa dell’affermarsi delle strutture in ossatura di calcestruzzo armato o acciaio, proposte dalle nuove generazioni di costruttori. Le necessità imposte dalla ricostruzione permisero di rivalutare la muratura grazie alla sua facilità di esecuzione e alle risorse ridotte necessarie alla sua realizzazione. Il protagonista di questa rinascita fu Pol Abraham, presidente della Commissione per la Normalizzazione della Muratura, che promosse un ritorno a questa tecnica attraverso un approccio industriale e scientifico. Non a caso, nel numero 9-10 dell’anno 1943 che la rivista “Techniques et architecture” consacrò alla muratura, uno dei contributi più importanti fu quello di Pol Abraham intitolato “Difesa e illustrazione della muratura” [Abraham, P. 1943]. Nello stesso numero si trovavano due articoli che trattavano dell’importanza della normalizzazione della muratura [Vitale, F. 1943] e del ricorso a tecnologie industriali per la ricostruzione, oltre a due contributi nei quali figura anche la pietra naturale: “I materiali da costruzione” [Demaret, J. 1943] e “La produzione moderna della pietra squadrata” [Déribéré, M. 1943]. L’industrializzazione dei processi produttivi e il ricorso a elementi normalizzati ripetibili sembrava essere la sola risposta possibile alla domanda crescente di nuovi edifici. Questa posizione fu difesa, sempre dallo stesso Pol Abraham, attraverso l’articolo “Muratura” da lui pubblicato nel numero 1-2 dell’anno 1945, dedicato alla normalizzazione, della rivista “Techniques et architecture”. L’anno seguente, sempre Abraham, pubblicò il suo libro “Architettura prefabbricata” [Abraham, P. 1952] nel quale spiegava che la normalizzazione, nel caso della muratura, si concretizza con il ricorso alle dimensioni modulari applicate a un numero ridotto di elementi, che devono adattarsi alle dimensioni normalizzate degli edifici. Gli elementi devono essere prefabbricati e la normalizzazione deve essere applicata anche ai metodi di messa in opera, per ridurre i tempi di realizzazione e ogni forma di improvvisazione e ritocchi.

Il materiale. Le rocce calcaree
Classificazione e regolamentazione
Le rocce sfruttate per produrre la pietra pretagliata furono, in primo luogo, le rocce calcaree, a causa dell’abbondanza di giacimenti accessibili sul territorio francese e nella regione di Parigi, unita alla facilità di applicare a queste rocce dei metodi meccanici di estrazione.
La maggior parte erano calcari appartenenti alle formazioni del Giurassico inferiore e medio, del Giurassico superiore oolitico, del Cretaceo superiore e del Luteziano [Germain, J. éd. 1950:4]. L’Associazione francese per la normalizzazione (AFNOR), diretta da Pol Abraham, sviluppò una normativa per le prove e la classificazione delle rocce calcaree. Per ogni roccia fu redatta una scheda comprendente: le caratteristiche tecniche e fisiche (densità, resistenza al gelo, resistenza alla compressione, porosità, coefficiente di imbibizione, resistenza all’usura e lavorabilità); l’aspetto, attraverso delle fotografie; la classe petrografica; la tessitura; la classe di durezza (secondo una scala da 1 a 14); i campi d’impiego, secondo le condizioni climatiche, e delle informazioni sui giacimenti e le cave sfruttate. La definizione delle classi di durezza era un’indicazione fondamentale per determinare quali tipi di rocce potessero essere estratti tramiti i nuovi metodi meccanici: furono scelte le classi da 1 a 6, comprendenti i calcari da teneri a compatti (densità da 1’470 a 2’270 kg/m3 e resistenza alla compressione da 50 a 390 kg/cm2) [Germain, J. éd. 1950].

Formati normalizzati
Un altro compito per l’Associazione francese per la normalizzazione fu quello di definire le dimensioni dei diversi formati per la produzione in serie della pietra pretagliata. Lo spessore dei conci di pietra da utilizzare per la costruzione di strutture portanti e delle facciate non doveva unicamente essere definito da ragioni statiche, ma anche garantire la migliore resistenza agli agenti atmosferici e un adeguato comfort termico, acustico e igrometrico. Per quel che riguarda il comfort termico, si invocò soprattutto l’elevata inerzia termica della pietra naturale, in grado di ridurre le fluttuazioni della temperatura interna rispetto a quella esterna e, a seconda dello spessore scelto, di garantire una temperatura superficiale interna costante e corrispondente a quella media giornaliera [Germain, J. éd. 1950:7]. Queste considerazioni derivavano da studi precedenti, come quello presentato e discusso nel numero 9-10 del mese di settembre-ottobre 1943 della rivista “Techniques et Architecture” da André Hermant, dal titolo “Sull’influenza della massa sur l’abitabilità delle costruzioni” [Hermant, A. 1943]. Lo spessore scelto per gli elementi in pietra pretagliata fu di 40 cm per le facciate e 30 cm per i muri divisori, tutti aventi funzione portante. Le dimensioni per la lunghezza e l’altezza dei conci furono stabilite rispettando i rapporti modulari: una condizione necessaria per ridurre gli aggiustamenti in cantiere. Vi furono diverse serie di formati, ma tutte le dimensioni erano comprese fra quelle dei tre tipi stabiliti dalla Direzione dei Lavori del Ministero della Ricostruzione e dell’Urbanistica: conci piccoli, di 25 cm di altezza, 40 cm di spessore e 20 cm di lunghezza; conci medi, 40x40x60cm, e conci grandi, 75x40x100cm [Germain, J. éd. 1950]. La tendenza fu quella di privilegiare l’utilizzo di conci di grandi dimensioni, grazie alle apparecchiature di sollevamento presenti sui cantieri, che formassero almeno una superficie di mezzo metro quadrato di facciata [Bonnome, C. et Léonard, L. 1959: 1404]. Gli spessori correnti permettevano la costruzione con conci di pietra tenera di edifici di tre o quattro piani al massimo [Bonnome, C. et Léonard, L. 1959: 1404], ma il ricorso a pietre più dure permise di raggiungere anche gli undici piani, come dimostrato dagli edifici della Résidence le Parc à Meudon-la-Forêt (1957-1962) dell’architetto Fernand Pouillon.

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Estratto di una tabella per stabilire le dimensioni dei conci e schemi di apparecchiatura muraria [Germain, J. éd. 1950]

Messa in opera
La messa in opera dei conci era realizzata, per quelli di grandi dimensioni, tramite apparecchiature di sollevamento, oppure manualmente. Nelle murature realizzate tramite conci grandi ogni elemento formava l’intero spessore della parete, mentre, per i conci piccoli, si procedeva ad un’apparecchiatura “per testa e per taglio”, secondo degli schemi appositamente sviluppati [Germain, J. éd. 1950:23-25]. Per la posa si ricorreva a spessori in legno al fine di garantire una perfetta messa a livello del concio e a malta sia per i giunti orizzontali che verticali, di spessore variabile fra 4 e 30 mm.

L’evoluzione di una tecnica tradizionale
Industrializzazione e normalizzazione dello sfruttamento della pietra naturale
Il settore della pietra naturale, sostenuto dal rinnovato interesse verso la costruzione in muratura, sviluppò questi princìpi industriali grazie agli sforzi congiunti dell’Associazione francese per la normalizzazione e del Centro scientifico e tecnico dell’edilizia (CSTB). Già nel 1950 fu possibile pubblicare un sunto delle esperienze condotte sino ad allora in questo ambito, intitolato “I calcari teneri pretagliati” [Germain, J. éd. 1950]. L’anno prima, il 1949, l’Istituto tecnico dell’edilizia e dei lavori pubblici aveva pubblicato un libro dell’ingegnere Pierre Noël dal titolo “La pietra materiale del passato e dell’avvenire” [Noël P. 1949] che trattava proprio delle nuove tecniche per l’estrazione meccanica. Lo stesso autore pubblicò nel 1951 un articolo, sullo stesso tema, nel numero di novembre della rivista “Bâtir”, della Federazione nazionale dell’edilizia e delle attività connesse [Noël, P. 1951]. Pierre Noël fu anche l’autore, alla fine degli anni Sessanta, del volume “Tecnologia della pietra da taglio. Dizionario dei termini correntemente impiegati nell’estrazione, l’utilizzo e la conservazione della pietra da taglio” [Noël, P. 1968]. Questo periodo di rinascita fu sicuramente all’origine del capitolo scritto da René-Michel Lambertie all’interno del suo “L’industria della pietra e del marmo” a proposito dell’attualità di questo materiale, dove sono citate, tra le grandi realizzazioni contemporanee, le «molte abitazioni buon mercato costruite in pietra» grazie alle «tecniche industriali d’estrazione, taglio, manutenzione» che rendono questo materiale «alla portata dei più» e a dei prezzi che «sono ormai molto competitivi» [Lambertie, R. 1965].

Razionalizzazione dell’estrazione e del taglio. Le macchine
Lo sviluppo delle fasi produttive si fece soprattutto attraverso quello delle macchine per l’estrazione e il taglio. Le nuove segatrici furono costruite secondo un principio estrattivo largamente diffuso in Francia, ovvero quello del taglio tramite “aguille”, un piccone lungo 3 a 4 metri, o fioretti piantati per percussione con la mazza. Questo fu il caso delle prime segatrici Lefèvre (dal nome di un imprenditore attivo negli anni Quaranta a Bonneuil-en-Valois nell’Oise) o delle perforatrice tipo Marcerou. Lo sviluppo successivo fu quello che portò alle segatrici a catena, simili a quelle ancor oggi in uso: delle macchine semplici come le prime prodotte dalla ditta Korfman o più complesse, come quelle sviluppate da Paul Marcerou per permettere, in due fasi successive, tagli verticali e orizzontali. Lefèvre e Marcerou brevettarono inoltre delle seghe, dei fili e dei telai, per la produzione in serie. Paul Marcerou sviluppò anche una segatrice a catena portatile da utilizzare per la suddivisione dei conci in cantiere o in cava. Le macchine sviluppate in Francia costituiscono un caso diverso da quello degli altri paesi, soprattutto l’Italia, perché, in questi ultimi, macchine all’apparenza simili furono prodotte nell’ottica dell’estrazione di blocchi di grandi dimensioni. Fu il caso, per esempio, dello sviluppo avvenuto in Italia del filo elicoidale e, in seguito, di quello diamantato, che ha oggi trovato una largo campo d’applicazione nelle cave del mondo intero. In Francia invece si preferì puntare su tecnologie, come quella delle segatrici a catena e a disco, che permettevano una maggiore velocità di estrazione per blocchi di dimensioni ridotte.

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Disegni delle segatrici a catena tipo Marcerou e Korfman, e della segatrice portatile tipo Marcerou [Germain, J. éd. 1950]

Fra gli industriali della pietra naturale che svilupparono i processi meccanici d’estrazione, la figura di Paul Marcerou merita un approfondimento. Dapprima direttore della “Société fraçaise de la pierre normalisée et prétaillée” (SFNTP) e, dopo il suo scioglimento, della “Société des carrières et tailleries du Bassin Parisien” (SCTBP) e della “Société méridionale d’exploitation des carrières de pierre de taille” (SMECPT)2, Paul Marcerou lavorò, sin dagli anni Trenta del XX secolo, allo sviluppo di macchine leggere per l’estrazione di pietre tenere e dure [Germain, J. éd. 1950; Delemontey, Y. 2007]. Marcerou iniziò le sue sperimentazioni in due cave: una in Normandia, à Fleury-sur-Orne, e l’altra nella regione di Parigi, a Méry-sur-Oise, nelle quali l’estrazione avveniva tramite diversi tipi di batterie di perforatrici ad alimentazione elettrica. I blocchi estratti erano, in seguito, suddivisi secondo le dimensioni normalizzate grazie a telai muniti di seghe a nastro. Grazie all’esperienza acquisita in queste due cave, Paul Marcerou vinse il concorso, indetto nel 1948 dal Ministero della Ricostruzione e dell’Urbanistica, per attrezzare con nuove macchine le cave per la produzione di pietra pretagliata normalizzata. L’obiettivo era una produzione annua di 10’000 m3 per ogni cava [Delemontey, Y. 2007]. In seguito a questo successo, Paul Marcerou acquisì i diritti di sfruttamento per diverse cave abbandonate nell’Ovest e nel Sud della Francia, fra le quali quelle del Pont du Gard e di Fontvieille. Quest’ultima fu attrezzata con una nuova “macchina marcerou”, costituita da una serie di seghe a catena, che permetteva di realizzare contemporaneamente più tagli rettilinei paralleli. I blocchi estratti presentavano quindi, già all’estrazione, due facce lisce e parallele e delle dimensioni precise, derivanti dai formati normalizzati. Questa cava, in grado di produrre 10’000 m3 al mese [Delemontey, Y. 2007], fornì la pietra per la maggior parte dei cantieri dell’architetto Fernand Pouillon, sia in Francia sia in Algeria.
Quest’industrializzazione dei processi di produzione permise di aumentare la quantità di pietra naturale disponibile sul mercato e di ridurre l’investimento in tempo e in mano d’opera, ciò al fine di assicurare l’approvvigionamento dei cantieri e la riduzione del prezzo del materiale.
La produttività di una cava equipaggiata con apparecchiature “moderne”, rispetto ad una tradizionale, era di circa quaranta volte superiore [Noël, P. 1951:14]. La produzione giornaliera passo da 10 m3 per banco a 40 m3, con una diminuzione da 20 a 10 del numero di operai. Pierre Noël fece un’analisi del rendimento della “Grande Carrière” de Saint-Vaast-le-Mello, una cava a cielo aperto la cui produzione annua passò da 3’400 m3 con 35 operai a 10’000 m3 con 10 [Noël, P. 1951]. L’apparecchiatura comprendeva, per ognuno dei due banchi coltivati, una gru tipo “derrick” da dieci tonnellate con un braccio di 20 m, due segatrici a catena munite di lama di 2,10 metri e di segatrici a catena portatili, tipo Marcerou, per la suddivisione dei blocchi estratti.

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Due immagini d’epoca raffiguranti l’utilizzo delle segatrici nelle cave di calcare [Noël, P. 1968]”

Gli esempi costruiti. Un approccio quantitativo
I quartieri di abitazione progettati dall’architetto Fernand Pouillon in Francia e in Algeria sono sicuramente i più conosciuti per l’impiego della pietra “pretagliata”, ma alla stessa epoca ne furono costruiti altri che, insieme ai primi, testimoniano ancor oggi della qualità e della resistenza dei materiali impiegati. È da evidenziare il fatto che la maggior parte degli edifici sono degli alloggi popolari: in effetti la grande disponibilità e i prezzi ridotti del materiale, uniti ai costi ridotti di manutenzione, permisero di utilizzare la pietra anche per questo tipo di edifici. Lo stesso Pouillon affermò che la pietra naturale pretagliata era il materiale più adatto per la costruzione di edifici residenziali perché «costruire un aeroporto in pietra sarebbe imbecille, per non dire una follia. Ma imporsi delle strutture dinamiche per inserirvi dei tre locali più cucina in edifici di tre a dieci piani, non è meno aberrante» [Pouillon, F. 1968:174]. Senza alcuna pretesa di essere esaustivi, si citeranno qui di seguito alcuni esempi che permettono di rendere conto dell’ampiezza del fenomeno: quartiere d’abitazione a Sarcelles, architetti Labourdette e Boileau, di 8’000 appartamenti (21’000 m3 di pietra per strutture portanti e 12’000 m2 di rivestimenti per le facciate); HLM di Nanterre, architetto Hummel, di 600 appartamenti; quartiere di Massy-Antony, architetti Sonrel e Duthilleul, di 10’000 appartamenti; HLM a Beauvais, architetto Labourdette, di 300 appartamenti; HLM Bel-Air di Angoulême, architetti Chaume e Laliard, di 500 appartamenti; HLM Soyaux di Angoulême, architetti Simon e Poncelet, di 10’000 appartamenti; quartiere CIL a Orléans, architetto André Bazin, di 600 appartamenti; HLM la Résidence Maryse-Bastié e Rotonde, a Tours, di 530 appartamenti; HLM a Châtellerault di 500 appartamenti; HLM a Marsiglia, architetto Louis Olmeta, di 810 appartamenti; HLM di Aix-en-Provence, architetto Louis Olmeta, di 600 appartamenti; HLM a Caën, architetto Guy Pison, di 1’116 appartamenti [Lambertie, R. 1965:112-115; Delemontey, Y. 2007: 126].
Possono essere inoltre aggiunti all’elenco i quartieri d’abitazione progettati e realizzati dall’architetto Fernand Pouillon: ricostruzione del Vecchio Porto di Marsiglia, 700 appartamenti (1949-1953); Les Sablettes, Tolone, 150 appartamenti (1950); quartiere d’abitazione di Aix-en-Provence, 159 appartamenti (1952); Cité Buffalo, Montrouge, 466 appartamenti (1955-58); Cité Victor Hugo, Pantin, 282 appartamenti (1955-57); Résidence le Parc, Meudon-la-Forêt, 2’635 appartamenti (1957-62); Cité Point du Jour, Boulogne-Billancourt, 2’260 appartamenti (1957-63). Dello stesso architetto, in Algeria: Cité Diar-es-Saada, El Madaina, 800 appartamenti (1953); Cité Diar-el-Mahçoul, El Madaina, 1’800 appartamenti (1954); Cité Climat de France, Algeri, 3’500 appartamenti (1955); Cité de Valmy et Cité Lescure, Oran, 800 appartamenti (1957) [Bonillo, J. éd. 2001; Dubor, B. éd. 1987; Lucan, J. éd. 2003].
Gli edifici costruiti, esclusi quelli di Fernand Pouillon, constano di 33’556 appartamenti, ai quali si aggiungono i 13’552 di Pouillon, per un totale di 47’108.

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Fotografie di cantiere della seconda tappa del quartiere di 8’000 appartamenti costruito a Sarcelles, Val-d’Oise, dagli architetti Labourdette e Boileau fra il 1955 e il 1970 [Bonnome, C. et Léonard, L. 1959]

di Stefano Zerbi

Bibliografia
Abraham, P. 1943: Défense et illustration de la maçonnerie, “Techniques et architecture”, n.9-10 La maçonnerie (I), septembre-octobre 1943, pp. 229-238.
Abraham, P. 1945: Maçonnerie, “Techniques et architecture”, n.1-2 Normalisation, janvier-février 1945, p. 29.
Abraham, P. 1952: Architecture préfabriquée. Deuxième édition, (“Etudes de synthèse et de documentation. L’actualité technique”), Parsi, Editeur Dunod, pp.140.
Bonillo, J. éd. 2001: Fernand Pouillon. Architecte méditerranéen, Marseille, Editions Imbernon, pp. 256.
Bonnome, C. et Léonard, L. 1959: L’industrialisation du bâtiment, in: Dubuisson, B. éd. 1959: “Encyclopédie pratique de la construction et du bâtiment. Tome II”, Paris, Librairie Aristide Quillet, pp. 1371-1423.
Delemontey, Y. 2007: Industrialiser la pierre, “AMC”, n.172, septembre 2007, pp. 120-126.
Demaret, J. 1943: Les matériaux de construction, “Techniques et architecture”, n.9-10 La maçonnerie (I), septembre-octobre 1943, pp. 241-252.
Déribéré, M. 1943: La production moderne de la pierre de taille, “Techniques et architecture”, n.9-10 La maçonnerie (I), septembre-octobre 1943, pp. 269-270.
Dubor, B. éd. 1987: Fernand Pouillon. Architetto delle 200 colonne, (“Documenti di architettura 23”), Milano, Electa, pp. 142.
Garnier, C. 1985: A travers les arts. Précédé de Les ambiguïtés de Charles Garnier par François Loyer, (“Les classiques français de l’histoire de l’Art”), Paris, Picard Editeur, 1985, pp. 279 (edizione originale del 1869).
Germain, J. éd. 1950: Les calcaires tendres prétaillés, (“Cahiers du centre scientifique et technique du bâtiment. 70”), Paris, Centre Scientifique et Technique du Bâtiment, pp. 37.
Hermant, A. 1943: De l’influence de la masse sur l’habitabilité des constructions, “Techniques et architecture”, n.9-10 La maçonnerie (I), septembre-octobre 1943, pp. 258-262.
Lambertie, R. 1965: L’industrie de la pierre et du marbre, (“Que sais-je? n.977”), Paris, Presses Universitaires de France, pp. 128.
Loyer, F. 1987: Paris XIXe siècle. L’immeuble et la rue, Paris, Fernand Hazan, 1987, pp. 478.
Lucan, J. 2001: Architecture en France (1940-2000). Histoire et théories, (“Collection Architextes 11”), Paris, Editions du Moniteur, pp. 375.
Lucan, J. éd. 2003: Fernand Pouillon. Architecte, Paris, Editions de l’Arsenal-Picard, pp. 198.
Noël, P. 1949: La pierre matériau du passé et de l’avenir, Paris, Institut technique du bâtiment et des travaux publics, pp. 112.
Noël, P. 1951: Equipement moderne d’une carrière de pierre de taille à ciel ouvert, “Bâtir. Revue technique de la fédération nationale du bâtiment et des activités annexes”, n.17, novembre 1951, pp. 12-14.
Noël, P. 1968: Technologie de la pierre de taille. Dictionnaire des termes couramment employés dans l’extraction, l’emploi et la conservation de la pierre de taille, Paris, Société de diffusion des techniques du bâtiment et des travaux publics, pp. 373.
Pouillon, F. 1968: Mémoires d’un architecte, Paris, Editions du Seuil, pp. 484.
Vitale, F. 1943: Maçonneries normalisées, “Techniques et architecture”, n.9-10 La maçonnerie (I), septembre-octobre 1943, pp. 253-255.

Note
1 Citazione di Emmanuel Eugène Viollet-Le-Duc alla nota 7 del capitolo III, “Les beautés de la technique”, dell’opera di François Loyer [Loyer, F. 1987:222].
2 Quest’ultima esiste ancora con il nome di “Carrières de Provence” e si dedica allo sfruttamento di quattro cave: Castillon du Gard, Vers Pont du Gard, Estillade a Oppède e Fontvieille. I grandi quartieri realizzati negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo sono ancora presenti come costruzioni di riferimento della società. Sito internet: http://www.carriere-pierre-provence.com (visitato il 27.07.2009).

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