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16 Aprile 2015

Design litico

I dispositivi costruttivi del travertino: Pavimentazioni


Piazza Garibaldi (2003-04) a Cetona, di Davide Benedetti e Stefano Borsi. Viste d’insieme della piazza e disegno della tessitura del campo pavimentale.

Il muro acquisisce spazio all’ambiente incontaminato esterno agendo nella terza dimensione, quella dell’altezza, ritagliando volumi d’aria e luce utili agli usi dell’uomo; ma è comunque al suolo che si gioca in termini lapidei la competizione più diretta con la preesistenza naturale. È del resto improprio far coincidere una pavimentazione con il solo materiale di sua finitura superficiale, poichè il piano pavimentale pone a sistema una serie di strati sottostanti, di cui la miscela equilibrata delle componenti e più in generale la fattura a regola d’arte, incidono decisamente sulla complanarità finale, sulla tenuta nel tempo, sulla resistenza alle maggiori compressioni e dilatazioni dello strato di usura, a contatto con i calpestii pedonali o con gli usi carrabili.
Il supporto dei lastricati lapidei può essere tradizionalmente continuo, come nel caso di getti, malte o sabbie, con inerti di diverse granulometrie, oppure discontinuo, come nelle occasioni solitamente pedonali, sollevato su sostegni di varia natura, a creare una separazione areata fra vero calpestio e base naturale. Nel primo caso gli spessori delle lastre, pur sempre necessariamente rapportati per dimensione ai carichi caratteristici da sostenersi, trovano un alleato prezioso nella buona composizione degli strati sottostanti; nel secondo invece le maggiori responsabilità ricadono sulle capacità della sola lastra, sui suoi spessori e resistenze specifici. La progettazione dei piani pavimentali richiede dunque particolare attenzione e precisione tecnica, se non vero e proprio calcolo, a partire dalla natura del suolo prima ancora di arrivare alla lastra tagliata dal blocco.


Trattamenti superficiali delle lastre di travertino per pavimentazioni.

La precisione è inoltre condizione necessaria del progetto pavimentale poiché, anche nei casi delle pose apparentemente meno complesse, o di quelle in cui addirittura si ricorra al materiale non ancora ricondotto a lastra e magari spontaneamente posato senza vero e proprio disegno predefinito, sono molteplici le specificazioni ineludibili, specialmente per gli spazi esterni. Ne sono alcuni esempi le eventuali diversità degli strati di supporto, le particolarità geometriche e dimensionali delle superfici d’intervento, gli usi riservati ad utenze differenziate, le pendenze naturali od artificiali sempre necessarie per la raccolta delle acque meteoriche, i salti di quota, i pezzi speciali per bordure o per compluvi, le attenzioni particolari per utenze con difficoltà motoria e localizzativa, l’integrazione d’elementi d’arredo altrettanto lapidei oppure naturali, le combinazioni con materiali altri. Tutte queste variabili riconducono quasi sempre il progetto pavimentale lapideo alla redazione di un casellario o quantomeno di un abaco, in cui ogni lastra è definita in dimensione e finitura superficiale, sia dei suoi piani sia delle sue coste.


Piazza Garibaldi (2003-04) a Cetona, di Davide Benedetti e Stefano Borsi. Viste d’insieme della piazza e disegno della tessitura del campo pavimentale.

Gli intarsi pavimentali travertini segnano così in modo preponderante i centri storici di alcune importanti città italiane, particolarmente le più prossime alle vene di cava maggiormente note.
Ci riferiamo specialmente ai cuori di Roma, Siena, Ascoli Piceno, L’Aquila, i cui estesi e preziosi calpestii lapidei, per traslato, vengono di conseguenza associati idealmente ad un modo non solo locale, ma del tutto italiano, d’intervenire nei centri cittadini. Scendendo dalla scala urbana a quella abitativa, un modo mediterraneo d’approccio al tema pavimentale, e pure consecutivamente senz’altro italiano, è quello degli sconfinamenti inter-esterni, secondo cui verande e patii estendono all’aperto le zone per le attività diurne delle residenze, od al contrario i soggiorni abitativi estendono negli interni gli spazi vivibili normalmente collocati all’aria aperta1.
La differenza tecnica nella posa di un pavimento lapideo destinato ad un interno anziché all’uso esterno, risiede nella generale condizione planare e nei minori spessori di lastra possibili in funzione dei supporti, solitamente affidabili, noti e resistenti. Ciò consente anche, per i fissaggi, di poter alternativamente ricorrere a collanti speciali anziché alle malte di natura cementizia, così come di poter eventualmente ridurre ai minimi percepibili a vista le dimensioni di giunti e fughe fra lastre, in funzione delle minori escursioni termiche e delle minori dilatazioni attese entro ambienti chiusi, prestazionalmente controllati. Da un punto di vista spaziale, l’ulteriore differenza rispetto alla pavimentazione d’esterni è costituita dalla perimetrazione mediante mura od elementi d’involucro come vetrazioni: all’aria aperta infatti il bordo delle superfici di progetto pavimentale può anche non essere verticalmente predefinito in modo altrettanto marcato.


Schemi compositivi di pavimentazioni in travertino con lastre quadrate e rettangolari.

Nella fase attuale in cui il camminare, azione connaturata all’uomo e che da sempre ne ha determinato l’idea di misura geometrica ed il tempo d’acquisizione dello spazio2, pare essere attività indebitamente sempre più confinata, esperita nei soli spazi aperti alla volta delle scoperte visive dei paesaggi costruiti ovvero di quelli naturali, i luoghi interni si sono tramutati sempre più in spazi dello stare, spazi via via dimensionalmente contenuti, nei quali si è raggiunti o si raggiunge qualcuno o qualcosa senza doversi spostare. In parallelo, alle superfici pavimentali lapidee anche interne possono allora dischiudersi possibilità e ruoli di maggiore impegno scenografico, ad aggiornare le più tipiche soluzioni del tutto e soltanto planari primariamente vocate alla deambulazione e, quanto a finitura superficiale, di piatta incontaminazione dell’epidermide levigata e liscia, in favore di scelte di maggiore variabilità e maggiore contenuto espressivo. La ricchezza di cromie e di vene dei travertini senesi implementa il ventaglio di possibilità d’accostamento, secondo le molteplici geometrie di posa.

di Alberto Ferraresi

Leggi anche I dispositivi costruttivi del travertino: Rivestimenti

Note
1 Gio Ponti, “Antica casa all’italiana”, in Amate l’architettura, Genova, Vitali e Ghianda, 1957, pp. 303.
2 Francesco Careri, Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Torino, Einaudi, 2006, pp. 167.

Il presente saggio è tratto dal volume Travertino di Siena a cura di Alfonso Acocella e Davide Turrini

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